Baricco scrive? Non lo sapevamo

Baricco scrive? Non lo sapevamo

Baricco scrive? Non lo sapevamo

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Baricco scrive? Non lo sapevamo

Oceano o mare? Credit Mary Blindflowers©

 

La mentalità di massa che segna il fallimento della scuola italiana recita che, se pubblichi con un grosso editore, fai letteratura perché l’editore è grosso, un processo automatico che banna la capacità critico-neuronale del lettore, appiattendo tutti i significati della vera scrittura. Poi, se lo scrittore pubblicato da qualche malato di mente tesserato collocato al posto giusto e al momento giusto, pubblica a getto continuo, diventa con il tempo a sua volta, un grande maestro e organizza ovviamente a pagamento, d’accordo con editor che contano e che smazzano la loro ghiotta parte, corsi in cui insegna agli altri un’arte che nemmeno lui conosce. Nascono così i corsi di scrittura creativa, che sono occasioni paganti per conoscere editor importanti, editor che senza il profumo dei soldi, nemmeno si accorgerebbero di te, ma che solleticati dal fruscio melodioso delle banconote, improvvisamente ti vedono e magari, tra un’unzione dei piedi e l’altra, ti pubblicano pure, facendoti entrare nella rosa dei ricchi scrittori costruiti a tavolino, quelli noti, di cui si occupano i giornali, quelli che dall’editoria riescono a trarre profitto senza sapere necessariamente scrivere. E tutto questo come se prima dell’istituzione dei corsi di scrittura creativa, non siano mai esistiti scrittori degni di essere chiamati tali.

Ma vediamo come scrive chi insegna scrittura creativa in Italia. Uno a caso, Alessandro Baricco. Abbiamo letto Seta, che, secondo alcuni, è uno dei suoi migliori romanzi. C’è nel testo il tentativo di provare una scrittura poetica, attraverso la ridondanza, un vecchio metodo che consiste nel ripetere a breve distanza le stesse frasette ad effetto, per creare un’aura poetica. Un procedimento che a tratti sfocia, però, nell’ingenuo loop e fa esclamare al lettore: “Ma non me l’avevi già detto? Non sono mica un idiota, ho capito!”. Scrive Baricco:

Hervé Joncour aveva finito col guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile. Per vivere Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta. Era il 1861… Hervé Joncour aveva 32 anni. Comprava e vendeva. Bachi da seta”.

Insomma abbiamo capito che il personaggio del libro comprava e vendeva bachi da seta. Per chi però avesse ancora qualche dubbio, l’autore precisa: “Hervé Joncour comprava e vendeva i bachi quando il loro essere bachi consisteva nell’essere minuscole uova”. Sarebbe stato troppo difficile scrivere che “Hervé Joncour comprava e vendeva i bachi quando erano ancora minuscole uova”, senza dover ripetere ossessivamente e sgradevolmente il verbo essere due volte nello stesso rigo. Un tentativo mal riuscito di ipnosi del lettore?

Il libro si compone di frasi brevi e nervose giocate sulla ripetizione inutile che serve ad allungare un brodetto di per sé sciapo nell’intelaiatura, scarso in una scrittura frammentata, stucchevolmente deprimente nella trama elementare in cui si mescolano elementi triti come il fascino per l’esotico unito alla filosofia spiccia e terra terra dell’idealizzazione dell’amore nutrito dal viaggio verso mitiche terre lontane.

Ma andiamo oltre. Perché anche in altri libri dell’autore troviamo lo stesso asfittico procedimento stilistico della ridondanza. Per esempio ne La Sposa giovane dove, dopo un davvero brutto incipit, si legge:

Sole velato, brezza leggera, decide, così sarà. Allora ridiscende il corridoio, questa volta dedicandosi alla parete prima ignorata… Buongiorno, sole velato, brezza leggera… Non esiste più, fino a quando riappare, immutato, nella sala delle colazioni… Con gli odori del sonno tra i capelli e nei denti ci incontriamo nei corridoi… Dispersi dal sonno obbligato… sfociamo a pian terreno nella sala delle colazioni… un mare apparecchiato è infatti la tavola delle colazioni… evidente è il senso, la calamità a cui si è scampati, il sonno… per cui intorno alla tavola delle colazioni non è raro vedere decine di persone…”.

Il lettore ha come l’impressione che l’autore sia a corto di sinonimi e parole. Impiega due pagine a ripetere famiglia, sonno e tavola delle colazioni per dirci in pratica che la famiglia si riuniva la mattina dopo il sonno notturno, attorno ad un tavolo. Tanti giri di parole per dirci la stessa cosa che poteva esprimere in un solo semplice rigo, come se avesse necessità di scrivere qualcosa ripetendola all’infinito, così per riempire le pagine di segni neri, nel caso l’eventuale lettore, scambiato per un ritardato mentale, non capisse bene.

E ancora:

Si interruppe quando la Sposa Giovane entrò nella sala, e lo fece non tanto perché la Sposa giovane fosse entrata nella sala ma perché vi era stata introdotta da un allarmante colpo di tosse… senza dover ricorrere alla violenza, un colpo di tosse o raramente due, accompagnava i suoi gesti come un suffisso…”.

A che scopo ripetere due volte il soggetto?

Una prosa inutile, chiassosamente vuota, che ignora il dono prezioso della simbologia profonda e della sintesi, un nulla fritto condito dal nome di qualche grosso editore che però non fa lo scrittore.

Scartavetriamo ora il tono e la congruità dello stesso con i livelli dei messaggi che Baricco vuole lanciare al mondo; prendiamo questo passaggio da “The Game”: io sapevo che stava misurando la disfatta di un’intera civiltà, la mia. Capii in quel momento che da grande non avrebbe letto i giornali cartacei e che a scuola si sarebbe rotto i coglioni a palla”. In un testo dove si vuol far partire il messaggio della nascita di una società tecnologica con una velocità diversa da quella dei docenti scolastici, si sceglie una metafora gergale assolutamente di dubbio gusto, con un colloquialismo becero e gretto; qualcuno ci sa spiegare in effetti che significa “rompersi i coglioni a palla”? Avevamo sentito usare questo tratto colloquiale per indicare il volume altissimo di un video o radio diffusore. Questi sono i riferimenti riportati dal dizionario di Lingua Italiana Treccani:  “n. pop. Locuz. a palla, al massimo, a tutta velocità: sentire la musica a p.mettere la radio a p.gli piace il brivido di andare a palla in macchina!; oppure avere gli occhi a p., sgranati; per la prima volta Baricco confina l’espressione al volume degli attributi di un discente… Un vero innovatore…

E che dire quando si ripropone di spiegare che la scuola non capisce le regole del Game e continua a giocare al gioco di una volta: con un atteggiamento che “mescola un’enorme quota di dignità e fierezza con una dose incredibile di ridicolo (…) segna a gioco fermo ogni volta che apre le porte al mattino”: qualcuno capisce che vuol significare la metafora del gol da annullare rapportata al contesto dell’incomprensione delle novità tecnologiche? Chi segna a gioco fermo mostra non di non capire le regole, ma sovente di provarci a prenderle in giro; e poi aprire le porte al mattino non rende, così come sta scritto, l’idea dell’inizio delle attività scolastiche, bensì quella risibilmente poetica di far entrare la luce del giorno all’interno delle aule. Questo per far intendere che indugiare sulle metafore anziché agevolare la comprensione di un testo sovente la rallenta, oscurandola.

Passiamo a “Novecento”:

Il Virginian era un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché”. Tre volte tre dichiarative introdotte dall’uso impersonale del verbo dire camuffato alla terza persona plurale del presente indicativo: eravamo abituati ad un concetto di stilistica equivalente a quello della poikilìa delle strutture sintattiche, ma tant’è…l’effetto a vedere il film che Tornatore ne ha tratto è questo:

Ho visto al cinema, ormai decenni fa, la trasposizione cinematografica tratta da questo monologo a opera di Baricco. Ricordo che chi era con me in sala, a tratti, ha avuto attacchi di sonnolenza… non è proprio un film né una storia avvincente”.

Per carità, il lettore poco oltre così si esprime, quando, spinto dalla curiosità, ha acquistato il libro di Baricco dopo averne visto al cinema la trasposizione sceneggiata a cura di Tornatore: “La scrittura e narrazione di Baricco hanno su di me un potere cullante e rilassante come le onde del mare, Noi ci permettiamo di dissentire… Baricco ci innervosisce… proprio come una over-exposition allo iodio marino…

E questo signore vorrebbe insegnare agli altri a scrivere nella famosa scuola Holden? La scuola dei ricchi per i ricchi scrittori costruiti a tavolino?

Ma perché Baricco scrive? Noi pensiamo sia soltanto un businessman che spaccia il business per letteratura impanando l’aria fritta.

Se questo è quello che sforna la grande editoria, siamo messi male.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

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