Stendhal e Manzoni, i rimaneggiatori

Antique Handmade Bone Dominoes in the wood box, 1890 ca., cm. 18 x 6, weight gr. 389.

Stendhal e Manzoni, i rimaneggiatori

Di Mary Blindflowers©

Antique Handmade Bone Dominoes in the wood box, 1890 ca., cm. 18 x 6, weight gr. 389.

Giochi ottocenteschi 1890 ca., credit Antiche Curiosità©

 

Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle (Grenoble il 23 gennaio 1783 – Parigi 23 marzo 1842 ), diede alle stampe nel 1839 La Certosa di Parma, che secondo le fonti fu dettato in soli 52 giorni ad un copista. Il romanzo piacque a Balzac:

“Il sig. Beyle ha scritto un libro dove il sublime scoppia di capitolo in capitolo. Ha prodotto, nell’età in cui gli uomini trovano di rado argomenti grandiosi, e dopo avere scritto una ventina di volumi estremamente spiritosi, un’opera che forse sarà apprezzata soltanto dai cuori delle persone realmente superiori. Infine ha scritto il Principe moderno, il romanzo che Machiavelli avrebbe scritto, se fosse vissuto nell’Italia del XIX secolo e ne fosse stato messo al bando”.

Però Balzac, a questo suo commento critico positivo, aggiunse anche l’espressione Supprimez Parme! Al Balzac sembrava che i personaggi non si armonizzassero bene con l’ambientazione parmense, che qualcosa stridesse nel contesto: “l’esprit ne consent pas à rester à Parme”.

E il giudizio del Balzac non era affrettato, infatti La Certosa di Parma non era completamente farina del sacco di Beyle. Il sacco da cui egli aveva saccheggiato era una cronachetta romana, non parmense dunque, una cronachetta intitolata Origine delle grandezze della famiglia Farnese da cui Stendhal ha preso la trama, rimaneggiandola e ampliandola per dare alla luce il suo romanzo. Il documento, le cui copie nostrane sono conservate nel codice capponiano 31, (fasc.IX, cc. 99-100) della Biblioteca Vaticana, e nel ms. Vittorio Emanuele 415 della Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma (ff. 69-73), “è un piccolo scritto il cui assunto è ben dichiarato: vuol mostrare che la casa Farnese, al momento in cui l’autore scrive… non sarebbe quello che era se una “femina” non “avesse prostituito il suo onore”, se cioè Paolo III Farnese, il suo fondatore, non avesse avuto per provvidenza nella sua straordinaria carriera una parente affezionata che era la concubina onnipotente del famigerato Alessandro VI…”1.

Stendhal era un collezionista, amava raccogliere cronache, resoconti di processi, “descrizioni di giustizie”, come venivano chiamate all’epoca, e storie di drammi in genere. Scrive Luigi Foscolo Benedetto nel suo libro La Parma di Stendhal:

“Chi abbia un po’ esplorato, nelle biblioteche romane, le raccolta di cui parliamo non può non esser convinto che a Roma particolarmente è esistita, che vi ha cioè avuto un’esistenza particolarmente brillante, quella che potremmo chiamare “cronaca tragica”, la cronaca nera di tempi in cui non esisteva il giornalismo alla moderna. Alludo a brevi composizioni per sé stanti, per lo più manoscritte ed anonime, redatte generalmente da un puro cronista (sempre nel senso giornalistico della parola), per informare sul fatto tragico che ad un dato momento appassionava l’opinione pubblica” (p. 11).

Si trattava di un giornalismo avant la lettre di cui Beyle non disdegnava le trame. La sua collezione di cronache era tutt’altro che trascurabile, infatti.

La vicenda della Certosa si basa su una trama praticamente copiata dalla cronaca de l’Origine, scritta da un libellista anonimo. L’adattamento della cronaca romana all’ambientazione parmense, spiega le perplessità di Balzac circa la necessità della soppressione di Parma.

Del resto la riproduzione di trame provenienti da documenti preesistenti, non è mai stata una novità in letteratura, si trattava di una sorta di plagio autorizzato. Anche il tanto osannato Manzoni non ne fu esente, infatti nella prima parte dei suoi Promessi sposi ha letteralmente copiato tutta la struttura narrativa di un processo istruito nel 1605-1607 contro uno scapestrato rampollo della famiglia signorile degli Orgiano, accusato di violenza sessuale da ben cinquanta donne. Del documento originario si riconoscono tutti gli elementi presenti nell’opera manzoniana: i bandi contro i bravi, le prepotenze nobiliari che esigevano lo jus primae noctis, l’inadeguatezza delle autorità.

Vittore Branca, Gaetano Cozzi e Gino Benzoni così si sono espressi sulla questione: «La coincidenza dei fatti emergenti da tale Processo con quelli narrati da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi è tale da rendere plausibile e legittima l’ipotesi che egli, nella fase di gestazione ed avvio del suo romanzo, avesse potuto prendere visione del fascicolo processuale istruito dalla suprema magistratura veneziana. L’intelaiatura narrativa del capolavoro manzoniano […] corrisponde difatti, in buona misura, alla più complessa vicenda processuale che si svolse nel piccolo villaggio vicentino negli anni 1605-07. […] L’analogia tra la struttura narrativa dei due testi è tale che possiamo considerare il Processo contro Paolo Orgiano ben più di una semplice fonte che il Manzoni poté consultare per scrivere il suo romanzo»2.

Molti miti intoccabili della letteratura, andrebbero probabilmente ridimensionati e riportati sulla terra. Ovviamente la scuola omette perché deve istruirci ad una verità fittizia, fatta di miti di cartone conservati sotto una teca di falsità.

1 Luigi Foscolo di Benedetto, La Parma di Stendhal, Sansoni, 1950, pp. 90-91.

2Il Processo a Paolo Orgiano (1605-1607) A cura di Claudio Povolo, con la collaborazione di Claudia Andreato, Valentina Cesco, Michelangelo Marcarelli Collana: Fonti per la storia della Terraferma veneta, 19, 2003.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

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