Notazioni sulla d eufonica

Notazioni sulla d eufonica

Notazioni sulla d eufonica

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Notazioni sulla d eufonica

Il rumore del silenzio, credit Mary Blindflowers©

 

Sulla d eufonica molto si è scritto. Le vecchie grammatiche ne consigliavano l’uso per evitare fenomeni di sgradevole cacofonia. L’Accademia della Crusca così si esprime in proposito:

L’uso della ‘d’ eufonica, secondo le indicazioni del famoso storico della lingua Bruno Migliorini, dovrebbe essere limitato ai casi di incontro della stessa vocale, quindi nei casi in cui la congiunzione e la preposizione precedano parole inizianti rispettivamente per e per (es. ed eccoad andaread ascoltare, ecc.). Si tratta di una proposta di semplificazione coerente con molti altri processi di semplificazione cui è sottoposta la nostra lingua, ma dobbiamo comunque tener presente che la eufonica non è un elemento posticcio, ma trova la sua origine nella struttura originaria delle due parole interessate che in latino erano et ad”.

A dir il vero il termine eufonico non rappresenta stricto sensu il fenomeno fonetico e stilistico che avviene in questo caso il cui vocabolo specifico è epitesi, dal greco ἐπιτίθεμι, io pongo dopo, significando l’aggiunta di un suono oppure di una sillaba alla fine di una parola.

Così si esprime Maurizio Pistone in “Questioni di Grammatica italiana” (https://www.mauriziopistone.it/testi/discussioni/gramm01_d_eufonica.html), citando il Satta p. 461 e inglobando nella problematica non solo la congiunzione coordinante e e la preposizione semplice a, ma anche la disgiuntiva o: “Due congiunzioni, e, o, e una preposizione, a, consentono l’aggiunta di una d per legarsi meglio alla parola che le segue e che comincia con vocale. Ma è sempre necessario scrivere edodad? Ripetiamo un consiglio: usare la d quando la vocale iniziale della parola seguente è la stessa: ad andareed Europaod obbligare; non usarla quando la vocale iniziale della parola seguente è diversa: a esempioe ioo anche; non usarla nemmeno quando, pur essendo la vocale iniziale della parola seguente la stessa, vi sia nei dintorni un’altra d a dar noia all’orecchio: a Adamoe educatoo odore.
Un consiglio, sia ben chiaro, e non una regola, e nemmeno una regoletta; tanto più che è difficile fare le regolette contro l’uso di un certo Manzoni. Al quale piaceva abolire la d anche davanti a vocale uguale: a accudirea andaree esclamòa aiutarvi.
La verità è che questa consonante detta eufonica appunto per il compito di dare un buon suono alla lettura non ha altra norma che quella dell’orecchio, e in simili sottigliezze l’orecchio può talvolta rimanere indifferente. Addirittura accade che uno scrittore il quale per un pezzo ha avversato la d eufonica cominci a usarla. Giovanni Arpino, per esempio. Prendete ’Un delitto d’onore’ (1961), e vi leggerete a Atripaldaa avanzarea ascoltarloa aiutarlaa avvicinarlaa accarezzarlaa aspettarlaa annuirea Avellino. Poi prendete ’Una nuvola d’ira’ (1962) e vi leggerete ad accennaread Angeload andaread accontentarsi. (*)
Sicché è difficile trovare lo scrittore fermo e coerente in un senso o nell’altro. Abbiamo cercato di racimolare un elenco di avversatori e uno di fautori della d eufonica; pare che ne facciano volentieri a meno Mario Tobino, Cesare Pavese, Romano Bilenchi, Giovanni Comisso, Arrigo Benedetti, Carlo Laurenzi, Libero Bigiaretti, Tommaso Landolfi (ma si fa presto a dirlo: questi scrive ad adorare), Indro Montanelli e il già detto Arpino. Con una certa frequenza si trova invece nella prosa di Alberto Moravia, Giuseppe Berto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Vasco Pratolini, Carlo Cassola, Paolo Monelli, Raffaele La Capria.”

La realtà è che la lingua odierna tende ad evitare tutte le eufonie, forse proprio per l’abitudine ad imbastardire i suoni originari del nostro idioma, così avvezzo ad evitare in origine gli iati, mediante la contaminazione con vocaboli di ceppo anglosassone, dove la frizione di consonanti è frequentissima; ecco dunque che scompaiono le epitesi, le epentesi (inserimento di suoni all’interno di una parola (inghilese, similemente), le protesi (inserimento di vocale ad inizio di parola iniziante con s impura: in Iscozia, in Isvezia, per iscritto, in isposa, ecc.).

L’illustre professor Migliorini, però, dovrebbe sapere che la sua regola della e e della a non è universale, dato che in alcuni casi genera un suono non proprio soave, per esempio sarebbe meglio dire e editore piuttosto che seguire la regola e dire ed editore. Inoltre fior di scrittori usano la d eufonica anche con parole che la d dovrebbe precedere, non iniziano né con e né con a, per esempio : “io e te, te ed io”. La d non è cacofonica, per nulla, però secondo l’Accademia della Crusca, sarebbe un errore. In realtà la cosa migliore da fare per capire se sia il caso di usare una d eufonica, è rileggere la frase a voce alta, per capire come suona all’orecchio. “Sono andato ad Ostia” non genera cacofonia, quindi non si capisce perché la d dovrebbe essere abolita.

Alcuni odiano a tal punto la d eufonica da generare cacofonia abolendola del tutto, eppure “case e edifici” suona decisamente peggio di “case ed edifici”, e meglio dire “fino ad adesso” che non “fino a adesso”, meglio ancora “ad uso e consumo” di “a uso e consumo”.

In pratica vige la regola dell’orecchio, non quella di Migliorini.

C’è chi si spinge oltre, affermando addirittura che una d eufonica in più porterebbe un editor a rifiutare un manoscritto, precludendo all’autore la possibilità di pubblicare.

Abbiamo sorriso di fronte ad una simile facezia. Affermare questo significa sic et simpliciter, ignorare completamente il mondo della media e grande editoria dove spesso e anche molto volentieri, non importa un fico secco dei refusi o di come scrivi, importa chi ti manda e chi ti raccomanda, se poi non sai scrivere ci pensa il ghostwriter o l’editor a sistemare ed eventualmente riscrivere il tutto in modo da far fare una quasi bella figura all’autore.

Secondo voi un editor di partito fa il processo alla pulci dei manoscritti? Boccia un manoscritto perché trova un dà, terza persona del verbo dare, senza accento, un qual è errato, oppure una d eufonica in più? Ma in quale pianeta vivono i benpensanti che scrivono queste castronerie? Su una delle lune di Giove? In un mondo che non c’è? A cosa servono allora i correttori di bozze? A regolare la temperatura del condizionatore d’aria dentro una casa editrice? O a portare il caffè con un minuetto ed un inchino e un passettino di danza agli editor? Correggono le bozze, appunto, eventuali errori, refusi ed imprecisioni che è impossibile non trovare in un manoscritto.

Siamo seri, piuttosto, ed affidiamoci ai nostri sensi, quando si tratta di decidere l’uso della d eufonica. Per una d non si perde la cappa che spesso non si guadagna per una perfetta e limpida scrittura, ma per operazioni di ben altra lucidatura politica.

I teoremi di lana caprina su come presentare al meglio un manoscritto per non incorrere nelle risate di un editor, lasciano veramente il tempo che trovano, un tempo ostile alla vera scrittura, in un mondo in cui spesso si decide ancora prima della stesura di un libro, che quel libro deve essere scritto e pubblicato, perché deve portare il nome di un certo autore che dovrà essere redatto in un certo modo.

Gli editor secondo voi stanno a tediarsi per una d eufonica?

Gli editor, se non vi presenta nessuno, non vi leggono nemmeno. Mettetevi l’animo in pace, dunque, e scrivete evitando semplicemente la cacofonia.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

Post a comment