Le etichette dell’intellettuale di gruppo

Collection of Vintage Rare Medicine Glass Bottles, 1950

Le etichette dell’intellettuale di gruppo

Di Mary Blindflowers©

Collection of Vintage Rare Medicine Glass Bottles, 1950

Le etichette, credit Antiche Curiosità©

 

La rigidità dottrinale, il punto fisso, il chiodo inossidabile appuntato sul cranio del monotematico monolite a due zampe, e poi la relativa etichettatura, un nome, una garanzia, un marchio a denominazione di origine controllata che identifica immediatamente, in modo che si sappia subito con chi si abbia a che fare e da che parte si stia.

Il letterato schierato e mai isolato, ha bisogno del gruppo per esprimere la propria opinione, confortato, lisciato e pettinato in ogni suo atteggiamento, da una bandiera che aderisce a precise correnti ma non d’aria, correnti piuttosto asfittiche che prevedono una dinamica da pesce a nuoto sincrono, tutti movimenti uguali, senza alcun errore. Una brusca interruzione della sinfonia decisa, può compromettere i rapporti con gli altri componenti del gruppo o comportare addirittura l’estromissione. Si ragiona così con la logica del branco, a sfavore di una individualità che perde l’abitudine al ragionamento e sacrifica un po’ del suo vero sé per la dinamica collettivo-sgomitante di natura filosofico-settaria o partitica.

Nascono così sulla scia del nome i filosofi euclidei o marxisti, gli intellettuali epicurei, i poeti avanguardisti, i narratori parmenidei, i pittori spazialisti, etc. a cui talvolta si aggiunge il prefisso neo come garanzia di novità. Il punto fisso da sbandierare è il personaggio di riferimento, di solito molto illustre, assai famoso ma anche famigerato nel caso di dittatori e ipnotizzatori di masse, un personaggio da esibire come un jolly ogni volta che si parla, si affronta un’intervista sui propri libri o su quelli degli amici.

L’etichetta di seconda mano, da una parte, limita fortemente la creatività, ingabbiando il pensiero dentro uno schema prefissato da altri, che diventa un totem, una specie di divinità intoccabile, contro la cui intangibilità cozzerebbe qualsiasi ragionamento evoluto; dall’altra offre il vantaggio dell’agnizione, un riconoscimento di riflesso che è dato dalla forzata identificazione con il personaggio noto da imprinting, di cui si diventa come un prolungamento estetico-morale, anche se quel personaggio è vissuto in un’epoca in cui ancora non era stata inventata nemmeno l’automobile, non esisteva il computer e si guardavano le stelle a occhio nudo, mentre si sezionavano i corpi degli impiccati per capire come fossero fatti dentro, cercando di intuire durante i sogni se la Terra calcata dal piede umano e non solo, fosse piatta.

L’auto-etichettatura con nome celebre è diffusissima nel mondo letterario e il passaggio da questo imbottigliamento programmato al fanatismo e all’intolleranza verso chi non aderisce al punto fisso, è davvero molto breve.

Se ad un filosofo parmenideo diceste che l’essere potrebbe anche non essere, che probabilmente non siamo nemmeno, dato che la certezza di esistere nessuno la porta dentro la tasca della giacca, vi scaglierà anatemi, vi dirà che l’essere è perché l’ha detto Parmenide e che nessuno al mondo può osare contestare, chi contesta non capisce nulla, perché non si pensa ciò che non è, e via dicendo. Vi riempirà la testa di certezza ontologiche che non vi sentite di condividere in alcun modo.

Se provate a spiegare ad un poeta definitosi neo-avanguardista che forse c’era del marcio anche nelle avanguardie italiane e una palese adesione agli ideali antidemocratici di certe dittature, e che il prefisso neo magari potrebbe essere usato per salvare ciò che vi era di buono e affondare le cose negative, vi dirà che non ci sono state mai cose negative, non c’è stata colpa nemmeno nella scelta della dittatura perché bisogna considerare il periodo storico e non pensare col senno di poi. In realtà, anche col senno di prima, avrebbero potuto fare scelte diverse, ma non le fecero e il periodo storico c’entra poco, piuttosto si trattava di stare sul carro del vincitore, comodo, caldo, accogliente. La storia si aggiusta a seconda delle necessità, si smussano opportunamente gli angoli, si nasconde la polvere sotto il tappeto degli anni e delle stagioni, e l’etichetta è pronta, ad uso e consumo dell’artista medio che applica a se stesso il medesimo ragionamento che si fa per un vino d’annata. Una bottiglia senza etichetta che valore ha? Magari dentro c’è il vino più buono del mondo, ma a chi può interessare se non c’è un segno distintivo che la definisca? Chi rischia di comprare un vino senza nome?

Il vino etichettato e imbottigliato rimane dentro i confini dell’universo di vetro che si è costruito e vede solo attraverso quel vetro, precludendosi la possibilità di un’interpretazione trasversale e disinteressata del mondo, un punto di riflessione che vede oltre quello che si vede dietro l’etichetta coprente e protettiva di uno schermo che ubriaca ed obnubila.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

 

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