Iperrealismo pseudo-arte, potere

Iperrealismo pseudo-arte, potere

Iperrealismo pseudo-arte, potere

 

L'iperrealismo è la pseudo-arte del potere

Vendesi pesci veri per veri dipinti iperrealisti, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

L’iperrealismo è la pseudo-arte del potere

 

L’arte contemporanea estremizzata nell’atto di cogliere l’aderenza alla realtà fino all’iperrealismo che, partendo da una più o meno bella foto, oppure semplicemente disegnando limitatamente a ciò che si vede, secondo un virtuosismo puramente tecnico, diventa la negazione dell’arte stessa, negandosi nell’innocuità, per abbandonarsi alla volgare riproduzione del reale di cui si può e forse anche si deve fare a meno, dato che la fotografia è stata inventata da un bel po’ di tempo. Resta come un vuoto contenutistico e creativo, un’insanabile assenza di significati simbolici, sempre nell’ordine del non-pensiero a cui ormai è deciso che bisogna abituare i fruitori. C’è una latitanza completa della rielaborazione creativa a favore di un giochetto da prestigiatore il cui unico scopo è far dire allo spettatore, “caspita, che abilità, sembra una foto!” Eh sì, sembra una foto, forse perché alla fine lo è.

Il compito dell’arte non è più quello di riprodurre ma di astrarre creativamente. E non è una novità questa nemmeno a livello di estetica filosofica. Si chiede Susanne Katherina Langer, se la forma è presente già a livello di percezione, che differenza c’è tra la percezione di un oggetto nell’ordinarietà e quella dello stesso oggetto nell’opera d’arte? La forma artistica non veicola soltanto significati letterali. Se ci si limita alla riproduzione si annulla completamente il processo creativo che è la base dell’arte contemporanea: “Un’opera d’arte è una forma individuale offerta direttamente alla percezione. Ma è un tipo speciale di forma perché sembra essere qualcosa di più di un fenomeno visivo”.

L’arte non può avere un rapporto convenzionale con la significazione né può limitarsi a imitare la concretezza materiale dell’oggetto elevato a significante. Così “ogni vera opera d’arte ha la tendenza ad apparire dissociata dal suo ambiente mondano. L’impressione più immediata che essa crea è un’impressione di alterità rispetto al reale: di un’illusione in cui si dispiega la cosa, l’azione, la frase o il fluire di suoni che costituisce l’opera”. Le qualità sensibili dell’oggetto vengono astratte dal loro linguaggio quotidiano perché il fine ultimo dell’arte è la significanza, non la bellezza, almeno non più e da parecchio tempo. È ingenua o in malafede la ricerca da parte del fruitore della somiglianza dell’arte con il quotidiano, non è sulla base dell’aderenza al reale percepito che si giudica il valore di un artista. L’estetica non ha mai sostenuto che arte sia identificabile con questo concetto infantile di bellezza da riproduzione. Scrive Langer: “la teoria artistica ha superato da tempo lo stadio ingenuo, ed ogni pensatore serio è ormai consapevole che l’imitazione non é né il fine né il criterio della creazione artistica”. Accade quindi che per raggiungere forti significati emozionali più della tecnica imitativa, possa risultare estremamente efficace la trascendenza dell’imitazione per il raggiungimento di un forte effetto di astrazione in vista di una trasformazione che ha come fine l’espressione di un moto sensorio attraverso le vibrazioni di colore, le sfumature, il posizionamento degli oggetti irrispettosi delle prospettive accademiche e dell’aderenza al reale, per cogliere movimenti simbolici di pensiero, relazioni, tensioni, in barba ad ogni esperienza riproduttiva. Il simbolo nell’arte non è né mimesi né espressione di uno stato emotivo dell’artista. L’idea che l’arte sia riproduzione ed emozione nel senso più elementare del termine, è dilettantistica, puerile, superata, e forse nasconde altri interessi, tra cui non ultimo quello di non far pensare. La metafora dell’arte va al di là sia della tensione individuale del suo creatore, sia della rappresentazione dell’oggetto reale, per universalizzarsi in significati che superano la contingenza in quell’oltre che è mistero e significato insieme. L’artista ha il compito di rielaborare il reale e catapultarlo davanti agli occhi del fruitore, trasformato. L’ingenuo spettatore, legato ad una concezione dell’arte che cristallizza se stessa in un monolite senza movimento, sarà quasi disturbato da forme non aderenti al reale, dalla ri-trasformazione dell’oggetto in forme non ordinarie ma pregne di significato, perché per capire la metafora insita in una forma non perfettamente aderente al reale, si richiede uno sforzo mentale maggiore rispetto alla fruizione di una iperrealista buccia di mela ottenuta dipingendo una innocua foto di mela riprodotta su una tela. Ovviamente il profano che guarda un dipinto iperrealista rimane a bocca aperta come davanti a un gioco di prestigio, per la sua somiglianza alla realtà, e anche perché nessuno gli spiega che si parte da una foto che è quello che in realtà sta vedendo. Il trucco c’è e diciamolo si vede pure. Il successo di questa forma di tecnica, perché solo di tecnica si tratta, procede di pari passo con l’entusiasmo per tanta non-letteratura spazzatura che racconta riproducendo la realtà senza alcuna rielaborazione critico-creativa. Si tratta di pasti non digeriti e ri-defecati interi, così come sono, non c’è nessun metabolismo, nessun cervello creativo alla base, nessun intento polemico-sociale, per questo l’arte iperrealista piace tanto al potere, perché non dice nulla e mostra il nulla riprodotto che finge di sembrare qualcosa senza riuscirci.

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