La poesia in gramaglie? Alle sterpaglie

La poesia in gramaglie? Alle sterpaglie

La poesia in gramaglie? Alle sterpaglie

Di Mary Blindflowers©

La poesia in gramaglie? Alle sterpaglie

Vari tipi di poeti, drawing on paper by Mary Blindflowers©

 

 

La poesia è una cosa serissima che non si prende mai sul serio, non il contrario, ossia una cosa poco seria che si prende estremamente sul serio.

Chi non capisce la differenza tra queste due definizioni della poesia non sa nulla.

Se è vero come diceva Bukovsky che la poesia dice troppo in pochissimo tempo o che è molteplicità triturata che restituisce fiamme, per dirla con Antonin Artaud, non esiste una definizione univoca dell’universo poetico, forse proprio perché si tratta di un cosmo sfuggente alle etichettature. Whitman sosteneva che la poesia ha bisogno di un grande pubblico e sembra che questa affermazione trovi perfetto riscontro nei social network dove fiorisce la grande illusione mediatica del poeta nato e cresciuto dal nulla che farebbe successo grazie ai followers. In realtà la massa segue sempre ciò che conosce, e se dietro un personaggio X non c’è nessuno che conta, quel personaggio rimarrà anonimo e potrà postare tutte le poesie che vuole ma il suo pubblico rimarrà ristretto.

La poesia ha forse soltanto bisogno di essere restituita a se stessa, a quella serietà che impedisce di dire tutto è poesia, epigono del qualunquista bisogno di emergere anche senza talento alcuno, sintesi del nullismo a tutti i costi, di un populismo stucchevole che concepisce la democrazia letteraria sotto forma di puro ed ostentato dilettantismo a cui apporre pietosi commenti di sostegno psicologico, come si fa coi malati di mente o coi bambini piccoli che hanno scritto un tenero quanto orribile componimento sulla mamma e sull’alberello del loro giardino.

Tutto è poesia (dall’elminta malato al comignolo roso, dalla radice al frutto, dalla strada che cede al cada cada, dal chiodo alla spada), diventa affermazione parzialmente valida solo se c’è un mediatore che sappia maneggiare gli ingredienti base e trasformali magicamente in simboli, in poche parole se c’è un poeta. Ma chi può sapere chi è poeta e chi no? Ecco il punto. Si arriva allora all’ipotesi del siamo tutti poeti, tutti artisti, tutti bravi manipolatori e demiurghi di una realtà transeunte che riusciremmo a dominare attraverso l’uso e l’abuso della parola scritta.

Ma è veramente così?

Questa tuttologia nullificante che appiattisce e livella, è la qualità che si può attribuire con leggera sicumera alla poesia contemporanea?

La povera poesia diventa una burletta alla mercé di tutti. Tutti infatti scrivono poesie perché sono tutti poeti. Mentre un tempo si limitavano a segnare le liriche sul proprio diario personale o sull’agenda, oggi postano, a gettito continuo, senza tregua, e le definizioni piombano come macigni, poeti, poesie, bravo, sublime, magico, eccezionale, grande.

Così la poesia sfocia in grottesca burla simildemocratica, in una specie di commedia delle maschere, per cui tutti avrebbero il diritto di esprimersi liberamente. Giusto. In questo diritto sacrosanto tuttavia resta un punto fermissimo come le chiare d’uovo montate a neve per una bella torta di compleanno. Nonostante la sovraesposizione, nessuno ha il diritto di essere criticato perché la poesia è diventata una cosa poco seria che però si prende molto sul serio, esattamente come una freddura che dopo essere stata espressa è destinata a non suscitare ilarità, è proibito ridere perché la burla diventa sacra e sul sacro, signori e signore, non si scherza. Tale inviolabile sacralità è la misura di un tempo in cui si è persa completamente la vera serietà della poesia che non è quella di non criticare dopo averla letta, ma bensì il contrario. Un poeta serio non può e non deve prendersi sul serio ma scrivere cose serissime con la leggerezza di chi sa che può essere in ogni momento criticato e perché no? Anche deriso se a qualcuno piace farlo con argomenti validi. Questo perché una poesia che non può essere discussa non è nemmeno poesia, è una burla da manichini mediatici, che fissi davanti alle vetrine coi loro sguardi vitreo-cadaverici, indossano abiti da vendere a chiunque passi.

Ma questa poesia venduta e propagandata come intoccabile, cos’è se non un sintomo di decadenza, lo sgretolarsi del senso stesso della scrittura, uno scherzo di pessimo gusto e poco serio che si prende molto sul serio definendosi sacro?

Siamo al dramma semiserio della finta poesia in gramaglie che finirà inevitabilmente tra sterpaglie.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Post a comment