I poeti giustamente dimenticati

I poeti giustamente dimenticati

I poeti giustamente dimenticati

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

I poeti giustamente dimenticati

Intermezzi, credit Mary Blindflowers©

 

Ci sono libri dimenticati che possono venire riscoperti come perle in un oceano di mediocrità ed altri che farebbero bene a giacere in un angolo negletto di polverose librerie. Uno di questi è il libro di Maria Carmela Siemoni, intitolato “Intermezzi”. Si tratta una raccolta di liriche pubblicate dalla Rebellato nel 1983, collana “Il perno”.

Nel risvolto di copertina è scritto: Chi conosce la poesia della Siemoni, troverà in questo volumetto la coerenza di concetti, con il senso proprio di questa scrittrice “della ineluttabilità della vita nel suo aspetto doloroso” e con evidenti punte di sarcasmo che ne evidenziano il quotidiano andare. L’origine ancestrale nordica della Siemoni, uno spazio di vita di intensa attività culturale (saggistica storica e lirica), sembrano un fattore preminentemente raziocinante… trasmesso per una fondamentale precisione obbiettiva anche nell’abbandono lirico: Poesia che è stata accuratamente definita una fenêtre sur le monde… Non è facile a una frettolosa lettura, penetrare e comprendere i concetti ispiratori di questa donna che in un certo senso rappresenta un caso a sé nella poetica femminile… Forse un forte femminismo nell’assoluta indipendenza del pensiero e nelle verità intuite su ciò che è al di là dell’apparente”.

Dopo aver detto che la sua non è una lirica di miele, ma di sassi e di denuncia, l’autrice ci presenta la poesia che introduce la raccolta:

Preghiera

Non ha rampe di lancio

la mia preghiera

che Ti cerca:

vaga tra i boschi,

tra le nude spiagge,

fra le quotidiane

consuetudini,

acre e nudo,

il mio rozzo grido

cerca di raggiungere

le armoniose voci

della Tua Casa.

Poesia di sassi e di denuncia: effettivamente chi formula questi ermetismi senza senso dovrebbe esser preso a sassate, poiché chi legge dovrebbe almeno trovare entro la cripticità dello scritto un codice di decrittazione di una concettualità così involuta; ma qui che filo si può intravedere? Non ci è dato saperlo! Ignoravamo che abbisognassero pedane di accesso per chi deve formulare preghiere; la poetessa precisa che le sue orazioni non hanno piani inclinati di accesso; ne prendiamo atto, ma vorremmo capire a che serve un mezzo meccanico per la esternazione di una supplica; le iniziali maiuscole dei pronomi personali e possessivi e del sostantivo riferiti al destinatario di questa preghiera deprivata di scivolo d’attracco, sembrano alludere ad una entità sovrannaturale, ma l’autrice non riesce a farci capire l’eziogenesi del suo errare silvestre e marino e del suo urlare selvaggiamente in cerca di dio in codice, rimane asfittica un’euritmia che sarebbe inscritta nella dimora del destinatario (allusione ad una chiesa o ad un’essenza metareale ubicata altrove?): E’ facile fare gli ermetici limitandosi alla lessicalità cifrata; ma se la comunicazione del formulario rimane asfittica il contenuto non si universalizza. Quanto alla denuncia noi ravvedremmo solo l’urgenza di denunciare per lesa poesia chi la pubblica!

Schegge

a un passante qualunque

lanciai una scheggia,

ma non si accorse del lancio.

ne lanciai un’altra

e qualcuno disse:

ci vuol pazienza.

ne lanciai ancora

a un bisonte infuriato

che si agitò frenetico

per la grande offesa.

… ma la sua cotenna

era troppo dura.

Qui abbiamo una poetessa clasmabola, schizabola per iniziativa personale inesplicabile; perché si scaraventano scaglie non si specifica di cosa, ai passanti ignari o ai bisonti innocenti? Non lo spiega, così come non si riesce a comprendere il discrimen nelle reazioni dei vari bersagli; che cosa vuol essere? Una denuncia della incomunicabilità quotidiana e della durezza del cuore degli avventori della quotidianità del protagonista in metafora costituita dal getto del frammento? Se questo è l’intento ne ribadiremmo l’asfissia comunicativa: questa è una poesia che non denuncia niente e muore prima di nascere a nostro modestissimo parere. Denuntiare si compone da dé, preposizione del movimento dall’alto verso il basso, e nuntiare, il verbo della proclamazione, della comunicazione solenne: che elevazione e che annuncio contengono queste 12 linee incorporee?

La verità è che la gente la poesia non la legge perché si pubblicano troppi sedicenti poeti che di poesia sanno ben poco e spacciano la segatura per oro fino.

Come si può commentare una prosa che va semplicemente a capo e chiamarla pomposamente poesia? Chi pubblica questi autori che ancora oggi ingombrano gli scaffali delle librerie, si rende conto del danno che fa alla poesia e ai poeti tutti? Si rende conto di essere causa dell’allontanamento e della disaffezione della gente da questo tipo di produzione artistica?

È davvero un peccato che gli editori non si avvedano dei guasti che stanno da tempo provocando alla poesia, seppellendola sotto un mare di versi mediocri e senza senso e spacciando l’innocuo nulla per qualcosa.

La Signora Siemoni ha pubblicato negli anni 80 e dagli anni 80 ad oggi non è cambiato praticamente nulla, si continua a pubblicare carta imbrattata di parole a caso che seppelliranno definitivamente la poesia e i poeti veri, quelli imbarazzanti e che fanno pensare.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Post a comment