Giovanni Raboni, poeta in prosa

Giovanni Raboni, poeta in prosa

Giovanni Raboni, poeta in prosa

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Giovanni Raboni, poeta in prosa

Scena vuota, credit Mary Blindflowers©

 

Giovanni Raboni (22 January 1932 – 16 September 2004), critico letterario e poeta della nostra generazione. Se fosse vivo infatti avrebbe più o meno la nostra età. A noi personalmente non è mai piaciuto e neppure dispiaciuto più di tanto, lo abbiamo sempre considerato uno di quei poeti senza infamia e senza lode che riempiono le antologie della letteratura italiana con dei testi in prosa come quello che segue:

 

NOTIZIA

Solo qualche parola,

solo una notizia sul rovescio del conto

sbagliato dal padrone.

Forse è tardi, può darsi che la ruota

giri troppo in fretta perché resti qualcosa:

occhi squartati, teste di cavallo,

bei tempi di Guernica.

Qui i frantumi diventano poltiglia.

E anch’io che ti scrivo

da questo luogo non trasfigurato

non ho frasi da dirti, non ho

voce per questa fede che mi resta,

per i fiaschi simmetrici, le sedie

di paglia ortogonali,

non ho più vista o certezza, è come

se di colpo mi fosse scivolata

la penna dalla mano

e scrivessi col gomito o col naso.

 

Analizzando la struttura di Notizia ci accorgiamo tristemente che non c’è un solo verso in questa poesia. Il contenuto forse non manca, sebbene risulti un poco criptico per chi non conosca a fondo il vissuto dell’autore (Che sono questi fiaschi simmetrici? Contenitori per vino allineati su uno scaffale? Fallimenti identici di più soggetti?), le frasi sono sicuramente ben concertate, c’è assenza di leziosità a favore di un linguaggio semplice e scorrevole, ma resta il fatto che siamo di fronte ad un testo in prosa generalmente gestita in elementari coordinate, la cui unica connotazione poetica è quella di andare a capo ogni tanto. Ecco un classico esempio di ciò che dicevamo a proposito delle grandi assenti, lode e infamia. Un testo che non può essere definito scarso, ma nemmeno eccelso, insomma frasi che potrebbero essere state scritte da chiunque. Il mondo della poesia è fatto così, massima parte del successo dipende non da ciò che si scrive, ma da chi lo scrive. Solo il nome dell’autore fa la differenza, se poi il testo non fa cascare dalla sedia per l’entusiasmo, pazienza, resta il nome come suggello e garanzia di qualità, il nome incontestabile che nessuno deve osare criticare perché altrimenti si è invidiosi e livorosi e cattivi.

Abbiamo superato l’età della pazienza e delle ambizioni ad alto costo, perciò siccome stiamo selezionando per motivi di spazio, i libri da tenere e quelli da dar via, dobbiamo decidere se Raboni sia degno di comparire nella nostra modesta biblioteca. Siamo veramente indecisi, non è un autore da buttar via, ma vale la pena tenerlo?

Continuiamo a leggere:

 

ABBASTANZA POSTO

Passa il tempo, ci sentiamo

più grandiosi ogni giorno: però

siamo sempre la gente che tira su il sopracciglio

o si gratta la punta del naso, continuiamo

a pensare che tipi così (quello

che striscia e non ha palpebre quello che fa

l’amore con le forchette e con la corda) siano,

rispetto a noi, qualcuno – a non capire

che c’è abbastanza posto per ciascuno di loro

in ciascuno di noi.

Il  messaggio è sicuramente positivo, continuiamo a non capire che c’è abbastanza posto per ciascun tipo da noi giudicato curioso o strambo in ciascuno di noi. Resta da capire perché la stranezza del prossimo nostro costituisca un’entità da confrontare in maniera vincente in confronto a se stessi. Questo ci sembra significhi l’espressione rispetto a noi. Un termine che gronda di confronto destinato a un risultato impari. Perché quel qualcuno non deve essere paritetico a noi? A noi pare un lessico usato con superficialità. Per non parlare del gergalismo di quell’avverbio “abbastanza” messo davanti ad un sostantivo anziché attiguo ad un molto più fisiologico aggettivo. Resta lo stile che, ancora una volta, è pura prosa. Anche in questo caso non c’è nemmeno un verso che possa indurre il lettore a definire questo insieme di frasi, tecnicamente parlando, poesia.  L’essere andato a capo dopo “ci sentiamo” non fa di quel “passa il tempo, ci sentiamo”, un verso, anche lo stacco sul però ha poco senso, sembra che l’autore sia andato a capo a casaccio, giusto per far capire al lettore che si tratta di una poesia, ma se analizziamo le proposizioni dei due versi e di quello consecutivo: “Passa il tempo, ci sentiamo più grandiosi ogni giorno: però siamo sempre la gente che tira su il sopracciglio”, ci chiediamo strutturalmente dove sia la poesia. Ci troviamo infatti di fronte ad un testo completamente prosaico. E su questo non ci sono dubbi. Eppure Raboni stesso senza mezzi termini e senza dubbi si definiva un poeta: “La vera storia della mia poesia comincia con la rinuncia al sogno di felice autoemarginazione che ha dominato la mia adolescenza e che appartiene, forse, agli inizi di ogni poeta”. E sulla poesia: “L’importante è essere ben convinti che la poesia non è né uno stato d’animo a priori né una condizione di privilegio né una realtà a parte né una realtà migliore. È un linguaggio: un linguaggio diverso da quello che usiamo per comunicare nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo”.

La poesia ha un linguaggio diverso da quello che usiamo nella vita quotidiana. Giusto. Ci si chiede allora perché Raboni, a parte qualche felice intuizione che salva il suo universo poetico dalla banalità, utilizzi spesso e volentieri la stessa prosa che si usa mentre si parla comunemente e in molti casi faccia uno smodato uso delle parentesi tonde. Alcuni versi sfiorano comunque il banale:

I film porno mi annoiano.

Ma andare insieme in uno di quei cinema

dove si fa di tutto

tranne guardarli, dove tutti vagano

come anime in pena

tra fila e fila in cerca di qualcuno,

uomo o donna, pagante o a pagamento,

da portarsi nei cessi,

ah questo no che non mi annoierebbe!

Che versi simili entrino nella storia della letteratura forse è davvero un po’ troppo. Non sempre il contenuto di una poesia è all’altezza del nome sbandierato ai 4 venti dell’autore.

Tra l’altro in questa poesia, come chiama Raboni la sua prosa prevalentemente e infantilmente paratattica, vi è una congiunzione disgiuntiva che scevra due locuzioni semanticamente identiche (pagante e a pagamento) segno di un certo circiterismo lessicale. Ma poi contenutisticamente siamo proprio sicuri che i film porno siano ricettacolo di gente che va ad amarsi negli excusados? A noi non è mai parso di vedere uscire da quei locali, ostello di post-puberi esuberanti e di vecchi allupati, parecchi rappresentanti del gentil sesso. Siamo sicuri che assistere o partecipare ad un carosello simile sia non annoiante?

Restiamo dell’idea di un prosatore ovvio, semplicistico, superficiale nelle scelte fraseologiche e opinabile, francamente opinabile nei contenuti che si pretenderebbero universali di ciò che scrive.

Raboni non lo teniamo, via, facciamo spazio ad altri più degni.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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