L’arte non serve a nulla

L'arte non serve a nulla

L’arte non serve a nulla

Di Mary Blindflowers©

L'arte non serve a nulla

Il reading letterario, Immagine da Sketchbook, by Mary Blindflowers©

 

 

Il classico reading letterario made in Italy, una riunione di signori e signore più o meno ben vestite e azzimate, che declamano le loro poesie e vengono applaudite da signori e signore altrettanto più o meno ben vestite e azzimate che a loro volta vengono applaudite dalle prime, in un circolo vizioso degno del supplizio di Tantalo, sorrisi più o meno di plastica, apericena che provocano il bruciore di stomaco, e autoconvincimento di essere poeti, poetesse, e di fare cultura tra un prosecco e una patatina stantia peggio della loro poesia. Poi, al di fuori di quella specie di circolo chiuso serie una mano applaude l’altra ed entrambe applaudono gli amici, nessuno sa chi siano quei signori e quelle signore che hanno declamato i loro spesso pessimi versi con tanta enfasi e convinzione. Pur sapendo che tanto, varcata la soglia della libreria o del locale che ospita l’evento, nessuno penserà più a loro, perché il mondo della poesia è solo una pia illusione, i signori e le signore insistono e postano ossessivamente le loro foto sui social, nella vana speranza che qualcuno si degni di comprare per simpatia umana il loro ultimo capolavoro letterario.

Il caso peggiore è quello di chi legge da solo i propri versi caricandoli con tutto l’accento della sua origine. Nessun poeta o presunto tale dovrebbe mai leggersi. I readings letterari non servono a nulla, la poesia non serve a nulla. In Italia oltretutto non la legge nessuno. Troppi poeti nella terra dei poeti, troppi apericena, troppi lustrini, e come diceva mio nonno il troppo stroppia. L’amico dell’amico dell’editore che abita dietro l’angolo della via dove risiede anche il cugino della zia del lettore, pubblica; e anche il fratello del parente dell’editor pubblica; e pubblica ovviamente l’amante dell’editor; e il cugino dell’amico del fratello dello zio che lavora nella casa editrice del susino e il frequentatore compulsivo di corsi di scrittura creativa a pagamento scelto dall’editor tra quelli che sono più docili, innocui e mansueti, pubblica; e le divette di youtube pubblicano, e le divette della tv e quelle di instangram che poi invariabilmente sono figlie di qualcuno; insomma tutti sono diventati poeti, per carità senza leggere nulla, perché si sa che un poeta non legge mai un altro poeta, salvo poi ascoltare l’amico poeta ai readings e applaudire come una bambola meccanica che ha ricevuto un impulso elettrico.

La poesia è l’unica moda superata che tutti indossano senza nemmeno comprare.

Fioriscono i concorsi letterari come funghi nel boschetto delle possibilità e qua e là eccoli, i poeti che sollevano il capo dalla terra e sorridono, pagano, si iscrivono, sorridono ancora, vincono spesso con poesie improponibili, votate da giudici che nessuno sa chi siano, sbucati dal nulla per il nulla, e che a volte parlano a malapena l’italiano. Intanto l’editoria pubblica pubblica, due volte ma anche milioni di volte, poesie su poesie che nessuno leggerà, poesie che non compariranno mai nelle vetrine delle librerie, oppure che stanno in vetrina come quei souvenir ingialliti e onnipresenti che non si vendono mai, parole buttate sulla carta giusto per perdere il tempo e riempire i vuoti di senso che questo produce.

A cosa serve poi una poesia di un qualsiasi poeta contemporaneo che nessuno legge? A nulla.

E una poesia di un qualsiasi poeta contemporaneo che tutti leggono, a che serve? A nulla.

Una poesia che non legge nessuno non serve proprio perché il sistema non consente che molti la leggano e se non la legge nessuno resta lettera morta, come se non fosse mai nata, come se non fosse mai stata scritta.

Una poesia che leggono tutti è a sua volta inutile perché se il sistema consente a tutti di leggerla significa che non va oltre l’innocuità controllata, in pratica si può leggere e diffondere perché non dice nulla di interessante o di nuovo o di rivoluzionario.

Del resto la vera rivoluzione è dire quello che tutti già sanno ma nessuno osa dire.

Ecco dunque a cosa serve la poesia. Solo ad alimentare la malattia di chi pensa di non poter smettere di scrivere perché avrebbe il dovere-piacere di comunicare agli altri le sue emozioni.

Altra parola assai di moda quando si parla di poesia e di arte in genere. “Emozione”. L’arte deve emozionare, la letteratura deve commuovere. Emozionare diventa così una parola senza senso, svuotata completamente di significato.

Francamente il ritratto di Enrico VIII di Hans Holbein il giovane (Augusta 1497 – Londra 1543), conservato a Palazzo Barberini, a me emoziona quanto un pitale, tuttavia il fatto che non mi comunichi nessuna emozione, non significa che non sia un’opera d’arte. Anche La Montagna Incantata di Mann mi ha emozionata quanto una margherita secca, tuttavia il fatto che non emozioni me, nulla toglie al valore letterario del testo.

Finiamola dunque con il giudicare l’arte con il metro dell’emozione individuale o dei nostri patemi d’animo.

L’arte non ha nessun dovere verso nessuno, nemmeno quello di emozionare, perché è fondamentalmente inutile, non serve a nulla, facciamocene una ragione.

Potete fare milioni di readings letterari, parlare di buoni sentimenti edificanti, masticare centinaia di pizzette, illudervi di arrivare dritto al cuore umano, con artificiali lacrime e bontà da delirio post-romantico borghese spalmato nei panini assieme agli aperitivi e agli stuzzichini industriali, che si attaccano alle vostre dentiere, ma non illudetevi di fare arte soltanto perché siete tanto buoni e belli e ben vestiti, anche perché al fin della ripresa non siete buoni e non siete belli e forse nemmeno ben vestiti, volete solo che qualcuno vi applauda, volete il centro della scena, l’ego riempito della vostra immaginetta sacra da apporre sulla copertina di libri inutili destinati alla dimenticanza.

Chi dimentica l’utile inutilità dell’arte non fa arte.

L’arte non serve a nulla, proprio per questo è tremendamente utile perché sorvola le comuni e volgari categorie dell’utile e dell’inutile, rendendo utile l’inutile e viceversa.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comment (1)

  1. Giovanna de Luca

    L’utilità, l’inutilità,la capacità di emozionare non sono metri per giudicare un’opera d’arte. Essa porta in sè la sua bellezza, che è altro da noi, non vive nella nostra dimensione

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