Uno scemo ricco è ricco, uno scemo povero è scemo?

Uno scemo ricco è ricco, uno scemo povero è scemo?

Uno scemo ricco è ricco, uno scemo povero è scemo?

Di Mary Blindflowers©

Uno scemo ricco è ricco, uno scemo povero è scemo?

Stupor mundi, credit Mary Blindflowers©

 

Posto un soggetto A dentro un percorso rigido e determinato da seguire quotidianamente come se fosse naturale agire in un determinato modo, il soggetto, attraverso la familiarità e la ripetitività dei propri comportamenti, si sentirà al sicuro, protetto da oggetti e relazioni familiari, da un tempo scandito secondo le regole imposte dall’ordinarietà della sua condizione socio-personale. Questa relativa sicurezza potrebbe sfociare nella noia pedissequa, tuttavia irrinunciabile perché la serenità che deriva dalla certezza e da un percorso già tracciato appare impagabile alla mentalità litica dell’uomo comune che quindi si muove, parla, e agisce secondo determinati schemi spesso non ragionati e imposti dall’alto.

Lo schematismo imbriglia singoli individui e intere società umane dentro una sfera di azioni concesse da separare nettamente da ciò che non è lecito almeno per la propria classe sociale di appartenenza. Perché inutile negarlo, o far finta di nulla, il mondo si divide in ricchi e poveri. Ma se interviene una perturbazione, un’incognita X a rompere l’assetto della normale routine, qualcosa si spezza e a quel punto interviene uno stato di angoscia. Se l’angoscia come diceva Heidegger è l’intuizione del nulla, l’uomo si trova, suo malgrado in una posizione che lo porta ad una riflessione allo specchio, su se stesso e il proprio ruolo nel mondo. Il superamento dell’angoscia avviene soltanto nel momento in cui il dialogo con se stessi ha domande a cui si riesce a rispondere. L’uomo si trova sul bordo di un precipizio e deve scegliere tra buttarsi sotto o confidare nelle proprie forze in modo da raggiungere la libertà, svincolata dalla paura del mondo. La libertà è capacità di dialogo con se stessi, volontà di superamento dell’ostacolo senza confidare in aiuti esterni al sé, i quali nella logica della libertà dovrebbero rimanere incidentali e non fondamentali. Il fondamento infatti di ogni azione libera è la visione di un sé soggetto allo straordinario non protetto dall’humus controllato di una quotidianità scontata, nonché l’indagine sulle proprie reazioni e comportamenti tesi al superamento della sensazione del nulla, insita nell’angoscia. La vertigine della scoperta dell’interiorità, il famoso nosce te ipsum può tradursi in una conquista di libertà oppure in un rifiuto dell’interiorità vera a favore di un dialogo fittizio con se stessi. La vera interiorità ha bisogno di un tempo straordinario perché solo allontanandosi dalla protezione della routine degli schematismi quotidiani, l’individuo libero da infrastrutture che ne condizionano scelte e movimenti, arriva alla conoscenza del sé.

Il tempo ordinario invece è l’abitudine al Super ego, dato uno stimolo A, si reagisce con un altro B, quasi in modo pavloviano, come se fosse un’altra persona a reagire, in una sorta di spersonalizzazione del soggetto preda di movimenti automatici. Il soggetto A sa perfettamente che ad una certa ora del giorno riceverà lo stimolo C e che dovrà rispondere con lo stimolo D secondo la cronaca di una vita annunciata e protetta in cui però l’individuo rinuncia a percorrere le strade profonde della sua stessa interiorità, perché il gioco azione-reazione avviene su basi previste e prevedibili la cui conseguenza potrebbe essere una sorta di assuefazione alla vita come noia passivo-protetta, oppure sfociare in noia reattiva, una sorta di nausea come anticamera dell’angoscia rivoluzionaria, che potrebbe essere stimolo a capire di più e ad allontanarsi dalla routine per capire se oltre l’atmosfera modificata della propria confezione di alimento del mondo precotto da società, relazioni familiari e amicali, condizione socio-economica, ci possa essere anche qualcos’altro.

L’esplorazione può avvenire volontariamente per un cambiamento interiore del soggetto, oppure incidentalmente, per un cambiamento esterno, nel qual caso il fenomeno modifica le condizioni di vita del soggetto.

Ad esempio se A, nato ricco, arrogante, abituato agli agi e alle comodità, perdesse improvvisamente il suo patrimonio e diventasse povero, dovrebbe misurarsi con una condizione per molti ordinaria, ma per lui straordinaria e destabilizzante e inizierebbe a dare attenzione e rinunciare a cose che per lui prima erano semplicemente senza importanza perché scontate, come avere una domestica, un giardiniere, una bella macchina, abiti firmati, frequentare un certo tipo di gente altolocata, etc. A si accorgerebbe che le banalità di Harv Eker “Dai soldi ad un povero e tornerà povero, togli soldi ad un ricco e tornerà ricco”, sono solo stupidaggini scaturite dai luoghi comuni classisti sui poveri che i ricchi hanno tutto l’interesse a che rimangano poveri, in modo che i ricchi diventino sempre più ricchi, tant’è che se un povero ha un’idea geniale ma non ha soldi per metterla in pratica, né nessuno che glieli presti, meno che mai le banche che prestano soldi solo a chi già li ha, è costretto a vendere la sua idea geniale ad un ricco per pochi soldi. Il ricco investe non perché sia più intelligente del povero, ma perché ha soldi di base per investire, compra il brevetto e fa altri soldi che il povero non può fare, non perché come dicono gli uomini d’affari, il povero sia un ebete, ma semplicemente perché non ha mai avuto nessuna possibilità economica nella sua vita, dato che la società classista e il sistema bancario lo costringono a vendere le sue idee al ricco che se ne approfitta.

Allora quando il ricco A diventa povero e sperimenta sulla sua pelle questa povertà, soltanto allora, potrà spararsi un colpo di rivoltella alla tempia dopo pochi giorni o pochi mesi, perché incapace di vedere se stesso, accorgendosi di non valere nulla senza i suoi soldi, di essere sempre stato quei soldi, in una sorta di identificazione soggetto-oggetto molto comune tra le classi abbienti; oppure come seconda opzione  potrà sfidare l’angoscia della nuova condizione, accorgendosi, di aver perso tutto, tranne quel sé che aveva dimenticato di avere, capendo la differenza tra un uomo e un criceto da laboratorio.

Del resto come dicevano i nostri nonni, agli occhi dell’uomo comune sia ricco che povero, uno scemo ricco è ricco, uno scemo povero è scemo. La verità, ossia che uno scemo è scemo sia che sia ricco sia che sia povero, è una variabile che non viene proprio presa in considerazione da nessuno, o quasi, tranne che nella dimensione della straordinarietà.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comments (2)

  1. Claudio

    Le persone ragionano così: “Un ricco non è mai scemo, altrimenti non sarebbe ricco. Un povero non può essere intelligente, se no non sarebbe povero.” È il culto dell’apparenza portato all’estremo, un ragionamento che non tiene conto della mole di privilegi di cui gode un ricco, dell’eredità (non solo patrimoniale ma anche professionale) che ricade sui discendenti quali che siano i loro meriti, della sudditanza dei poveri nei confronti dei ricchi, di tutto il sistema politico e di leggi costruito nei secoli per garantire ai ricchi la loro posizione e impedire che dei poveri li scalzino; infine questo ragionamento non tiene conto della disonestà, che può permettere a un ricco di conservare il suo patrimonio o di incrementarlo anche se è stupido (per fare un esempio, per accettare una mazzetta non c’è bisogno di essere intelligenti, basta essere disonesti). C’è un ulteriore componente che non viene considerato nel ragionamento iniziale, e la cui incertezza è mitigata da quanto sopra, e questa è la fortuna. Ma a causa del perfetto funzionamento del sistema di perpetuazione dei privilegi appena descritto, il rischio che la fortuna riesca ad aiutare in modo efficace un povero, è davvero basso. Diciamo raro.

  2. Claudio

    Insomma, ai ricchi pure la fortuna li aiuta con più facilità.

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