L’oggettivizzazione del soggetto no

L'oggettivizzazione del soggetto no

L’oggettivizzazione del soggetto no

Di Mary Blindflowers©

L'oggettivizzazione del soggetto nell'abbattimento digitale del nemico

Indifferenza, charcoal on paper, by Mary Blindflowers©

 

Un resumé condensato di perle di vita dentro post spesso riferiti simbolicamente a determinati soggetti oggettivizzati nella dinamica volontaria del postante, attraverso lo sfruttamento di immagini tipo presenti in rete, che si copiano, si incollano nella propria bacheca e alludono alla persona da rendere oggetto di scherno, richiamando l’attenzione di un gruppo di amici di riferimento in cui lo scrivente taggante dovrebbe trovare solido appoggio, solidarietà sociale e una bella pacca sulla spalla che gli dica, “stai dicendo bene, bravo, continua così”.

Ammesso e non concesso che anche il soggetto preso di mira nel post e destinato all’oggettivizzazione, ossia a diventare nella dinamica delle menti che intervengono, un oggetto di ludibrio o di risatine, sia non del tutto innocente, ci si chiede perché fare un post di scherno con motivi spesso non chiari e non volontariamente specificati che potrebbero anche scaturire da un torto subito, questo non si sa. Ci si chiede se sia normale che generalmente in questo tipo di interventi social in cui si sbeffeggia un soggetto X, non compaia mai una voce di dissenso che esprima un parere diverso e di non-solidarietà rispetto al post in oggetto e dunque alla volontà fortemente oggettivizzante del postante e dei suoi taggati.

Si crea una sorta di legge non scritta, una legge di intervento che prevede la presenza di una incognita-persona X da mettere al rogo, perché questo sarebbe atto buono e giusto. Una sorta di giustizia fai da te, spiccia e spettacolare. Ognuno ha il compito di attizzare meglio il fuoco, di sistemarlo in modo che faccia più luce o meglio che scaldi l’ego di ciascuno nella convinzione del tutti felici, tutti contenti nella favola digitale del cattivo punito. Ma la realtà virtuale non è la realtà reale e se esiste un cattivo non è nei social che andrebbe punito. Ognuno nel digitale può mettere una bella maschera e indossare i panni del giustiziere del giorno e della notte che fa strage del nemico del momento, buono o perfido che sia questo nemico, torto o ragione che abbia, si crea un inverosimile quanto improbabile trasporto emotivo del soggetto da ardere verso il ludibrio generale di un mondo virtuale, tanto che ciascun taggato che interviene non si rende conto che si sta su un social e che forse le questioni personali, gli attriti tra uomo e uomo, uomo e donna, non si sa, createsi in altra sede, andrebbero risolti nello stesso posto in cui sono nati, e non in un social, dove tuttavia è curioso al limite sondare certi difetti patologici di personalità.

Chi interviene infatti a oggettivizzare il soggetto spesso è oggetto esso stesso, si oggettivizza in modo automatico, seguendo un “così si fa perché devo esprimere consenso” e lo devo fare spettacolarizzandolo, diventando maschera di un teatrino interattivo digitale in cui si è tutti amici, tutti d’accordo, uniti contro il male. Così il taggato medio diventa limite incontrollato di un meccanismo in cui fa finta di ergersi a sapiente del momento, regolatore di coscienze, grande artista della solidale fratellanza d’imperscrutabile abisso, esente da qualsiasi colpa e puro come il viso di un bambino, un soggetto insomma che nella sua qualità di giudice e censore pubblico, può permettersi battute di qualsiasi tipo sulla sanità mentale di X preso di mira dal post. Che il soggetto X sia veramente sano o malato a me non importa, resta il fatto che lo si processa pubblicamente su un social, lo si mette alla gogna e si trasportano sul digitale, cercando di esorcizzarli, e dicendo senza dire, problemi che andrebbero risolti probabilmente in altra sede, dove magari X, possa avere anche la possibilità di difendersi e di dire la sua.

Se però un elemento taggato nel post per caso o per sbaglio, chiamiamolo Y, decide volontariamente ad hoc di essere la voce dissonante nell’idillio generale del “brucia brucia la strega”, e osa criticare uno dei taggati, chiamiamolo zero, che interviene per condannare X, evidenziando il fatto che nessuno è senza peccato, la solidarietà social impone ai partecipanti immediata reazione. Non si può parlare male di zero perché essendo stato bannato tempo fa, non vede i i commenti di Y e quindi non può difendersi. Ovviamente la persona vede benissimo i commenti, data la forte capacità di riferimento degli intervenuti, tant’è che risponde, secondo il copione previsto da Y. Il paradosso è che mentre il soggetto X, oggetto del post non ha nessuna possibilità di controbattere perché è diventato nella logica del postante e dei suoi amici oggetto di gogna e di vendetta, i soggetti che partecipano alla discussione non devono essere messi nella stessa condizione, altrimenti si violerebbe un diritto, il diritto che l’offeso avrebbe di controbattere. Così nel gioco delle parti, a zero sono stati violati i diritti, a X no, secondo la logica perversa che solo gli amici del circolo della canasta non devono essere toccati, gli altri invece possono fungere da pallone da prendere a calci durante un gioco infantile, il gioco social della solidarietà del circolo chiuso che si autocompiace di se stesso, si autoliscia, e si loda, dimenticando qualsiasi elementare etica forma di democrazia e adattando la legge per le proprie vendette personali su un contenitore social che viene utilizzato principalmente come sfogo sociale e che forse potrebbe essere impiegato meglio, secondo una logica più razionale e intelligente.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

https://www.youtube.com/watch?v=GfFPhlC9DBA

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