Vladimir Jakovlevič Propp: dalla favola alle connotazioni sciamaniche

Vladimir Propp

Vladimir Jakovlevič Propp: dalla favola alle connotazioni sciamaniche

Di Pierfranco Bruni©

Vladimir Jakovlevič Propp: dalla favola  alle connotazioni sciamaniche

The Castle, credit Mary Blindflowers©

 

“In un certo reame, in un certo Stato ‘c’era una volta’: è in questo modo tranquillo ed epico che comincia la fiaba. La formula “in un certo reame” indica l’indeterminatezza spaziale del luogo dell’azione, ‘in un certo reame’ è un topos della fiaba di magia e in un certo senso mette in chiaro che l’azione si compie al di fuori del tempo e dello spazio”. È Vladimir Jakovlevič Propp che lo sottolinea. Un antropologo, un filologo che si è occupato di lingua slava, e un linguista russo che ha modulato il senso della favola dando una grande importanza al personaggio. Non interessa chi è il personaggio. Ma cosa fa. Cosa fa uno studioso del folclore?

Ho lavorato, nei miei anni universitari, sul rapporto tra Vladimir Jakovlevič Propp e Claude Levi-Strauss, applicando il confronto tra favola e mito, tra leggenda e ritualità. Da qui il mio interesse verso le antropologie “comparate” in una sinergia stretta con le letterature e con la poetica del metafisico soffermandomi su un pensiero importante di Propp: “Di solito l’oggetto delle ricerche si trova in un ‘altro’ ‘diverso’ reame, che può essere situato molto lontano in linea orizzontale o a grande altezza o profondità in senso verticale”

La favola, con Vladimir Jakovlevič Propp, comincia tra la leggenda e la fiaba. Il percorso letterario diventa infaticabile, indelebile. Ogni parola pronunciata riempie di mito un immaginario che riconquista il senso dell’orizzonte tra le pagine della vita. Senza questo senso, e questo orizzonte, la vita non avrebbe il suo scavo esistenziale. Lo scavo dell’uomo è sempre esistenziale.

Uno scavo in cui nell’esistenza stessa si intrecciano i sogni e, soprattutto, il modo di percepire il quotidiano, il presente e la rappresentazione che viviamo giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. In questo “rappresentarci”, le caratteristiche fondamentali sono costituite dalla ragione, che ci offre un pensiero meditato, e dalla fantasia che non è una finzione o un qualcosa di “non reale”. La fantasia è il giocare con quel senso della memoria nel quale si rintracciano tutti i processi di una vita nel tempo.

La fantasia recupera questo processo della memoria e diventa mito. Il mito è fatto di memoria. In questa rappresentazione affabulatoria il mito ha bisogno di una ritualità e il raccontare stesso diventa ritualità, insieme al linguaggio, al “c’era una volta”.

Ebbe a scrivere in“Le radici storiche dei racconti di fate”: “Prima della rivoluzione il folclore era una creazione delle classi oppresse: contadini analfabeti, soldati, operai e artigiani semianalfabeti. Nel nostro tempo il folclore è, nel vero senso della parola, una creazione popolare. Prima della rivoluzione il folclore era una scienza che procedeva dall’alto verso il basso. Essa consisteva in una specie di filosofia astratta, era cieca dinanzi alla sua dinamica rivoluzionaria, si esauriva nella letteratura e perciò veniva considerata come un ramo degli studi letterari. Nel nostro tempo il folclore è divenuto una scienza a sé”.

La fiaba è in questo rito in cui si riscopre il senso del primitivo del nostro essere, della nostra consapevolezza, per poi rintracciarlo negli anni, ovvero nel tempo. Il tutto è amalgamato dal tempo. Senza la concezione del tempo come memoria non sarebbe possibile vivere il concetto di favola, di fiaba. Raccontare un fatto, che ha la sua dolcezza, la sua tristezza, le sue caratteristiche modulari dell’esistenza, vuol dire entrare in quella placenta umana che è appunto la caratterizzazione della memoria.

Noi viviamo di memoria e siamo fatti di tempo. Questo non significa che ci allontaniamo dal presente, dalla realtà, da ciò che ci tocca vivere e viviamo, ma piuttosto che penetriamo in un’altra dimensione, che è quella onirica. Il rapporto con chi ci appartiene o con chi pensiamo ci possa appartenere (o ci appartiene per consanguineità) è un rapporto in cui il legame tra mito e rito diventa fortemente onirico, in cui il senso dell’onirico è una visione del nostro stare insieme.

Si è sempre cercato di stare insieme, non per paura della solitudine, ma per desiderio di condivisione. Io racconto una favola non per raccontarla a me stesso, bensì per condividerla con l’altro. L’altro mi narra una storia perché ha bisogno di condividerla. Il messaggio puntuale, tra il “c’era una volta”, il “c’è una volta” o il “c’è in questo istante”, è tutto giocato su una visione di tempo – limite e di tempo che va oltre il limite.

Vladimir Jakovlevič Propp è nato a San Pietroburgo il 29 aprile del 1895 e morto il 17 aprile, secondo il calendario giuliano, a Leningrado il 22 agosto del 1970. Tra i suoi testi importanti vanno certamente ricordati: “Le radici storiche dei racconti di fate”, 1949; “I canti popolari russi”, 1966; “Morfologia della fiaba”, 1966; “La trasformazione delle favole di magia”, 1968; “Edipo alla luce del folclore: quattro studi di etnografia storico-strutturale”, 1975; “Comicità e riso: letteratura e vita quotidiana”, 1976; “L’epos eroico russo”, 1978; “Feste agrarie russe: una ricerca storico-etnografica”, 1978; “La fiaba russa: lezioni inedite”, 1984.

Credo che soltanto le pagine della fantasia, che si serve della vita, ci dà la possibilità di comprendere noi stessi, gli altri e ciò che il mito è stato, che è e ciò che il mito ha dettato all’interno del nostro essere presenti nell’istante in cui stiamo vivendo (come in questo istante in cui io sto scrivendo o nell’istante in cui il lettore sta leggendo).

La circolarità è insita nella ritualità. La favola bella è in questa ritualità. Ritrovarsi nella favola, nella fiaba o nella leggenda, significa non essersi persi. Significa aver attraversato smarrimenti, dolori, tragedie, essendosi affidati. Quando la letteratura “parla” significa che ci siamo affidati, perché tutto ciò che viviamo non andrà perso e tutto ciò che abbiamo vissuto non è andato perso. Questo è un segno tangibile di una letteratura che non gioca, bensì che vive. Il tempo del rito diventa il tempo del mito. Diventa il Tempo!

Forse Dino Buzzati deve molto alla “Morfologia della favola” di Propp. “Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo”. Così, con questo inciso, sappiamo anche da dove proviene il “genio” di Italo Calvino.

Comunque è Claude Levi-Strauss che in un saggio del 1960 dal titolo “La struttura e la forma. Riflessioni su un’opera di Vladimir Propp”, individua un tracciato fondamentale su formalismo e strutturalismo”. Chiaramente da Propp a Levi-Strauss si giunge a Pavese passando attraverso Mircea Eliade. Le connotazioni sciamaniche ci sono tutte: …”a dorso di cavallo o d’uccello, in sembianza d’uccello, su una nave volante, su un tappeto volante, sulle spalle d’un gigante o d’uno spirito, nella carrozza del diavolo…”.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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