Essere o non essere poeti?

Il libro

Essere o non essere poeti?

Di Mary Blindflowers©

 

 

Il libro

Il libro, credit Mary Blindflowers©

 

Essere o non essere “poeti”?

Questo è il problema, se sia più nobile fingere di non pensare di esserlo ma continuare a postare poesie da terza elementare frequentata di sera, oppure pensare proprio di esserlo sul serio e continuare a postare poesie da prima elementare frequentata la notte. Difficile capire qual è il confine della falsità e perché i social siano inondati da poesie che finiscono per un’avventura o per l’altra, per una conoscenza o per l’altra, pure per essere pubblicate da certi editori che pensano a loro volta di pubblicare poesia con la P maiuscola tra le rime fiore-amore, tra palpiti di viole e singulti di suore.

Se un soggetto che non ha mai studiato medicina decide improvvisamente di dedicarsi attivamente alla cura di pazienti che credono in lui, viene arrestato per esercizio abusivo della professione; un architetto non può fare progetti senza le adeguate competenze; un restauratore non può restaurare un oggetto antico senza le debite qualifiche; un pescatore non riesce a pescare se non sa nemmeno nuotare e non conosce i vari tipi di rete e le insidie del mare. Invece tutti possono fare i poeti e gli scrittori, anche gente che non ha mai letto un libro in vita sua, decide di scrivere due righe su un social e subito si appone in fronte la dicitura Mario Rossi, poeta, scrittore e artista, polimotore sfaccettato e sfaccettante, bello, educatissimo e aitante… 

I benpensanti amanti del capitale diranno che mentre il medico, l’architetto, il restauratore e il pescatore sono tutti mestieri che pagano più o meno bene, quelle del poeta e dello scrittore non sono professioni accreditate, anzi, la scrittura è solo una forma come un’altra di divertimento ormai globale, una specie di epidemia e congestione delle vie neuronali, che, in alcuni casi servirebbe anche per curare i disagi psicologici o i patemi del grande e tenero animo di chi scrive, oppure addirittura per socializzare nei gruppi poetici, così ci si sente meno soli, nel mondo, tanto la poesia non paga, quando mai si è visto un poeta che guadagna soldi dalla sua poesia? Ma non scherziamo, in Italia poi gli editori non ti pagano nemmeno, lo si fa per la gloria, per gli amici, per il divertimento. Fermo restando che se un soggetto ha necessità di svago può andare a perdersi in un bosco, oppure se ama amusements più pacchiani, può recarsi alle giostre, ammesso e non concesso però che si possa anche non avere l’età per salire sul cavallino che gira su un enorme carillon da parco dei divertimenti, non si capisce lo stesso il motivo di tanto accanimento contro la poesia che comunque è una forma d’arte che richiederebbe un minimo di talento, oltre che di studio.

Il fatto che i poeti spesso siano dei morti di fame, ossia che la poesia non sia un lavoro nel senso classico del termine, nell’accezione imposta dalla civiltà post-aristocratica in cui “lavoro” è per forza tutto ciò che procura guadagno, mentre ciò che non procura guadagno viene catalogato nello scompartimento “divertimenti inutili”, non giustifica affatto lo scempio che si fa della poesia stessa, ossia l’idea fintamente democratica che tutti possano e anzi quasi debbano scrivere poesia, come se gliel’avesse ordinato il dottore, come se fosse una cura, per essere accettati nel gruppo, per far parte necessariamente di qualcosa, per dire: “ecco, ci sono anche io, non dimenticatevi di me!. Sono troppo grande per andare alle giostre, allora tra un gettata di filo all’uncinetto e una partita di pallone, scrivo poesie, ma non sono un poeta”.

Finché il soggetto dichiara di se stesso di non essere un poeta, tutto fila liscio, non appena qualcuno dall’esterno gli fa notare che la sua lirica è un déjà-vu, lo stesso individuo che fino ad un secondo prima ha detto di non essere un poeta, si offende mortalmente. Ma perché? Se non sei un poeta perché ti risenti se qualcuno critica la pessima costruzione dei tuoi versi? C’è perfino gente che ha lo stomaco peloso di criticare Leopardi, il poeta dei poeti, l’inarrivabile; c’è gente che ha il coraggio, per farsi notare, di dire che il pessimismo cosmico non esiste, e tu che non sei, per tua stessa ammissione nemmeno un poeta, quando ti si dice che i tuoi versi possono essere rinvenuti in qualunque romanzetto rosa, ti risenti? Non trovi, caro poeta, che ci sia una contraddizione in questo? Che ci sia qualcosa che non quadri? Né quadri, né fiori, né picche, viviamo semplicemente nell’epoca della confusione, frutto di un protagonismo a tutti i costi, sciorinato sul sagrato delle chiese degli amici, sempre pronti ad applaudire, a sostenere, a mentire, oppure semplicemente a non capire un tubo né di poesia né di letteratura, per non averla mai letta nemmeno in sogno. Il problema è che questo atteggiamento dilettantistico non rimane circoscritto al mondo dei social dove orde assatanate di poeti semianalfabeti, cercando di farsi notare a tutti i costi, postano poesie su poesie in ogni spazio disponibile, definendole tali e subito dopo negando di essersi autoetichettati poeti, no! Quest’atteggiamento è sfociato nell’editoria che cura sempre meno la qualità degli scritti e si interessa sempre meno dei contenuti con un ingresso forzato del dilettantismo nelle pagine scritte che vengono stampate più per conoscenze politiche che per un’attenzione reale al talento. Poi c’è un pullulare di concorsi letterari aperti ai dilettanti allo sbaraglio o ai poeti ufficiali, quelli che pubblicano coi grossi editori, e se così per morte annunciata uno di questi riesce a vincere il primo premio poeta in libertà, immediatamente c’è l’accensione della fiera delle vanità sciorinata a buon mercato sui social per una democrazia dell’appiattimento verso cui spaventosamente ci avviamo, proprio perché siamo prigionieri delle etichette e dei consensi globali di chi finirà per dimenticare anche com’è fatto realmente e fisicamente un libro, perché tanto, in Italia, basta conoscere qualcuno e si pubblica lo stesso; basta avere un amico alla radio e la radio ti intervista per poi non intervistarti più se osi dire qualcosa che esula dal copione programmato; basta avere un amico in qualche testata giornalistica e la testata ti scrive un trafiletto di elogi pur senza averti mai letto perché si sa una mano l’altra l’altra e poi rimangono tutte e due sporche, ma questo poco importa nell’economia globale del dilettantismo che diventa arte nel Paese delle Gozzoviglie per nuove straordinarie meravigliose meraviglie che tutti conoscono ma di cui nessuno parla. Poi di fronte a versi che recitano, i palpiti del cuore mi trafiggono d’amore nel marmoreo affanno… postandoli come novità dell’anno mai vista né sentita, ci sarà chi dirà che nessuno è qualcuno per dire che non sono poesia, e che tutto è poesia perché nessuno sa cosa realmente sia la poesia, quindi anche dire oggi è una bella giornata e mi sono lavata le mani, è fare poesia, in pratica siamo tutti poeti. Poi se chi posta è simpatico, il tenore poetico aumenta esponenzialmente alla simpatia di cui gode il postante. Tutto davvero molto distante e anacronistico, un po’ come i corsi per diventare scrittori che ti insegnano a mettere l’accento sulla è, perché evidentemente le scuole frequentate la notte come in sogno, non hanno prodotto risultati. Così uomini e donne di buona volontà e portafoglio gonfio, escono da quei corsi ufficialmente col titolo di scrittore, mentre ufficiosamente hanno soltanto maneggiato con cautela da vassalli degli ingranaggi, volti soprattutto all’unzione degli editor che organizzano i corsi e che vengono riveriti con inchini e lodi sperticate, al 90 per cento, false.

Essere o non essere poeti?

A conti fatti, meglio darsi all’ippica.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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