L’incipit secondo Turturiello

L’incipit secondo Turturiello

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

 

L'incipit

I filosofi, credit Mary Blindflowers©

 

L’autunno avanza con i suoi soliti acciacchi per noi che abbiamo una certa età. Siccome fa freddino per le nostre povere ossa, abbiamo deciso di starcene a casa e dare uno sguardo da vecchi dinosauri alle conversazioni digitali. Le nostre mogli ci hanno lasciato un punch al mandarino che ha condito il vaso dell’albero della gomma in salotto. Speriamo che la pianta non si secchi nel sentire quell’abominevole sapore e che le nostre signore non si accorgano che abbiamo fiondato la bevanda descritta da loro come paradisiaca. Mentre ci disfiamo del liquido infernale, una conversazione da internauti sull’incipit cattura la nostra attenzione. C’è un signore su fb che fa citazioni su citazioni per asserire che, secondo molti movimenti di non precisata natura filosofico-letteraria, l’incipit si può trovare in qualsiasi parte di un’opera perché ne costituirebbe il nucleo significante centrale e fondamentale. Io e Lucio ci guardiamo negli occhi e ridiamo confessando apertamente la nostra totale ignoranza di fronte a tanta sapienza. Siamo rimasti indietro, infatti. Abbiamo sempre pensato e continuiamo a pensare che l’incipit si riferisca alla parte iniziale di una composizione artistico-musicale-letteraria. In poche parole incipit uguale inizio, senza alcun riferimento al significato, ma semplicemente riguardo alla posizione, iniziale, appunto. E pure la Treccani la pensa come noi e anche il Sabatini-Colletti e i vari dizionari della lingua italiana. Evidentemente sia noi che chi ha collaborato alla stesura della voce incipit nei vari vocabolari, non si è aggiornati a sufficienza.

Allo scopo di calmare i bollori bizantini del Signor Turturiello (che cos’è? Una piccola tortora che tuba da un sito partenopeo, come fa intendere l’explicit del cognome?) riporteremo qui il testo dell’Ecloga VIII di Virgilio per farci spiegare dalla sua dottrinalità eccentrica qual è secondo lui l’incipit dell’opera e possa esplicitarci i discrimen filologici della sua ermeneutica a riguardo, secondo la quale l’ingresso dell’opera non è il testo stesso, ma una sorta di premessa extra corpus:

ECLOGA VIII

La Musa dei pastori Damone e Alfesibeo, dei quali
gareggianti rimase stupita la giovenca immemore delle erbe,
del canto dei quali rimasero stupefatte le linci,
e mutato il corso dei fiumi si fermò davanti a loro,
canteremo dunque la Musa di Damone e Alfesibeo.
Tu sia che già superi i sassi del grande Timavo,
sia che il mare illirico costeggi; mai verrà
il giorno in cui mi sia lecito cantare le tue gesta?
In cui mi sia lecito portare per tutta la terra
i tuoi versi, degni del coturno sofocleo?
Da te comincia, a te finisce il mio canto.
Accogli i versi intrapresi per tuo consiglio, e fai serpeggiare
tra i lauri vincitori intorno alle tempie questa edera.
La fresca ombra si era da poco allontanata dal cielo della notte,
quando la rugiada sull’erba tenera è graditissima al gregge;
appoggiato a un bastone di olivo così Damone cominciò:

Damone

Sorgi, Lucifero, e porta l’almo giorno precedendolo,
mentre mi dolgo deluso da indegno amore per Nisa
come uno sposo, e sebbene non mi giovarono come testimoni,
tuttavia nell’ora estrema, morendo, invoco gli Dei.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Il Menalo ha sempre un bosco arguto e pini loquaci,
egli sempre ode gli amori dei pastori
e Pan, che per primo non volle che le canne rimanessero inerti.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Nisa si dà a Mospo: cosa non aspettare noi amanti?
Ormai i grifoni si uniranno con le cavalle, in seguito
con i daini i timidi cani verranno ad abbeverarsi.
Taglia le nuove fiaccole, o Mospo, ti si conduce la sposa;
spargi le noci, o sposo. Per te Vespero lascia l’Eta.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
O congiunta a un uomo degno, mentre disprezzi tutti,
mentre disprezzi la mia canna e le mie caprette,
e il sopracciglio irsuto, e la barba lunga,
e credi che gli Dei non si curano delle cose mortali.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Tra le nostre siepi ti vidi da piccola con la madre
cogliere mele rugiadose, io ero la vostra guida,
allora avevo appena raggiunto gli undici anni,
già potevo toccare i fragili rami da terra.
Appena ti vidi, perii; come mi travolse il malvagio errore!
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Ora non so cosa sia Amore; tra duri macigni
o il Tmaro o il Rodope o gli estremi Garamonti
ti generarono fanciullo né della nostra razza né del sangue.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Amore feroce insegnò alla madre a macchiarsi le mani
del sangue dei figli; anche tu crudele, o madre!
Più crudele la madre, o malvagio il fanciullo?
Malvagio il fanciullo; crudele anche tu, o madre.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
E ora il lupo fugga davanti alle pecore, le dure
querce producano auree mele, l’ontano fiorisca
di narcisi, le tamerici trasudino dalle cortecce pingui ambre;
e i gufi gareggino con i cigni, Titiro sia Orfeo,
Orfeo sia nelle selve, Arione tra i delfini.
Comincia con me i canti menali, o mio flauto.
Tutto diventi alto mare; addio, o selve!
Mi getterò nelle onde dalla sommità di un alto monte:
questo estremo dono di chi sta per morire accetta.
Cessa ora, o mio flauto, i canti menali.


Questo Damone: voi, o Pieridi, dite ciò
che Alfesibeo rispose: non tutti possiamo tutto.

Alfesibeo

Porta acqua, e cingi gli altari di una molle benda,
brucia le pingui verbene e il muschio incenso,
affinché con le magie tolga il senno al mio amante:
qui non mancano che le formule magiche.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Prima ti avvolgo in tre fili di tre colori,
tre volte conduco la tua immagine
intorno agli altari: agli Dei piacciono i numeri dispari.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
O Amarilli, lega in tre nodi i tre colori:
lega, Amarilli, e così recita: “Stringo i vincoli di Venere”.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Come il limo si indurisce, e come la cera si liquefa
in un unico fuoco, così Dafni per il nostro amore.
Spargi il farro salato, brucia col bitume i fragili allori:
il cattivo Dafni mi brucia, io brucio questo alloro di Dafni.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Amore prenda Dafni, quale quello della mucca
che stanca di cercare il giovenco per i boschi e le alte selve,
cade affranta vicino ad un rivo sulla palustre erba
e non ricorda di ritirarsi dalla notte che arriva;
tale amore lo tenga, e io non gli conceda cura.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Queste spoglie, cari pegni di lui, un giorno mi lasciò
quel perfido; ora sul limitare te le affido, o terra.
Questi pegni sono debitori di Dafni.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Queste erbe e questi veleni raccolti nel Ponto
lo stesso Meri me li diede (nel Ponto ne nascono in abbondanza);
con questi vidi spesso Meri trasformarsi in lupo
e celarsi nelle selve, ed evocare le anime dai sepolcri profondi,
e trasportare le messi seminate da un campo all’altro.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Porta fuori le ceneri, o Amarilli, e gettale
dietro il capo in un rivo fluente, e non voltarti. Con queste
colpirò Dafni; egli non si cura degli Dei né degli incantesimi.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Osserva: spontaneamente la cenere si è rappresa sugli altari
con fiamme tremolanti, mentre indugiavo a portarla. Buon segno!
Non so con certezza cosa sia … e Ilace abbaia sulla soglia.
C’è da crederci? O sono sogni che chi ama si crea a sé stesso?
Basta, canti, ormai basta. Dafni torna dalla città.

L’ecloga, come visibile otticamente nell’editing, si struttura in esametri narrativi riservati al poeta ed esametri drammatici di pertinenza dei due cantori, Damone ed Alfesibeo; non è rintracciabile alcuna premessa esplicativa o introduttiva extra-corporea al testo stesso, ma è l’autore che nei primi 16 versi sintetizza il contenuto dell’opera preannunciandone trama e ordito. I confini di sezioni endoprocedurali sono scanditi dai versus intercalares dove il poeta marca le sezioni con verbi, manco a farlo apposta, quali incipe (comincia) e parcite (cessate), a riprova che verbi siffatti sono riservabili e all’esordio del testo nella sua interezza e alle fasi ingressive di parti di esso, ma sempre appannaggio dell’autore ed all’interno dell’opera stessa come suo corpo integrale.

Incipit è dunque l’inizio di un componimento. Lo dice anche Virgilio, e non ha nulla a che fare con il significato del testo perché non è una sinossi, non è un riassunto dell’opera o una parte che ne sintetizzi il senso, ma è l’inizio. Tutto molto semplice.

Restiamo umilmente in attesa di capire quali siano le fonti della valutazione eccentrica ed extra-corporea dell’inizio di un’opera. Dalla dissertazione di chi sostiene che l’incipit può stare qua e là come una farfalla matta, non siamo riusciti a comprendere quasi nulla, specie quando cita Camilleri e altri autori come sfoggio di erudizione da terza media, per sostenere le sue tesi inaccettabili.

I latini erano precisi, perché dobbiamo complicarci l’esistenza con uno pseudointellettualismo da cameretta sepolcrale?

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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