Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento

Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento (estratti)

Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento

 

 

Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento (estratti)

Annuario ALI 2018, credit Mary Blindflowers©

 

Di Mary Blindflowers©

Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento (estratto)

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Estratto da “Il Collegio dei Nobili di Parma agli inizi del Settecento” tesi di laurea di Maria Antonietta Pinna, copyright Black Wolf Edition Publishing©. Questo stralcio è stato pubblicato in Ambienti d’Italia, Annuario Ali 2018, a cura di Marco Fiori e Marzio dell’Acqua, pp. 68-73, e illustrato dal dipinto Le Bout d’essai du petit oiseau, tecnica mista su tela by Mary Blindflowers©

Le bout d'essai du petite oiseau, tecnica mista su tela, by Mary Blindflowers©

Le bout d’essai du petite oiseau, tecnica mista su tela, by Mary Blindflowers©

 

Il Collegio dei Nobili di Parma nacque nel 1601 per desiderio di Ranuccio I Farnese1, per il quale il controllo sul seminario nobiliare parmense corrispondeva a un orientamento di governo ben preciso attraverso cui i duchi realizzavano “un ferreo controllo ideologico sugli appalti statali”, dando alla propria politica un “orientamento decisamente confessionale”2.

La direzione del Seminaria nobilium di Parma fu assunta dai gesuiti il 1° giugno del 1604. Fino a quella data era stato diretto per tre anni da sacerdoti secolari3. Si trattava di una nuova istituzione destinata esclusivamente alla migliore nobiltà europea e che realizzava l’obiettivo del duca di creare un organismo educativo “agile e moderno”, dipendente direttamente dalla sua volontà.

Il Collegio dei Nobili di Parma aveva l’onere di educare le future classi dirigenti. Ai convittori veniva offerto un ambiente raffinato, per i canoni dell’epoca, in cui i giovani, che probabilmente avrebbero finito col ricoprire incarichi importanti a corte, venivano istruiti non solo sul piano letterario, ma anche su quello mondano.

Tra le qualità esteriori, quelle che si esigevano in grado perfetto in un aristocratico di corte fin dal Cinquecento c’erano proprio gli esercizi cavallereschi.

Anche nel collegio ducale di Parma il curriculum degli studi veniva completato dall’addestramento nelle scienze cavalleresche, scherma, architettura militare, danza, equitazione, e non mancavano né la musica né il canto tanto bistrattati dai padri della Chiesa, né tantomeno le lingue straniere. Al curriculum delineato dalla Ratio si contrapponevano quindi ideali propriamente cortigiani e cavallereschi che concorrevano al completamento di un progetto educativo polivalente. Lo stesso Ranuccio I Farnese, intervenne nel definire personalmente i contenuti di un percorso che divenne piuttosto comune, nel Seicento e nel Settecento a tutti i Collegi educativi riservati ai nobili.

“Quando fu istituito da me il  Collegio de’ Nobili non tanto per accrescere il mio studio di Parma, quanto per allevare in quello Nobili con tutte quelle perfettioni che a Nobili, et Cavaglieri si convengono; ordinai, che non solo nella pietà et nelle lettere fossero ammaestrati; ma che congiongessero anche con quelli altri esercitij proprij de Nobili, et necessarij a Cavaglieri per poter conversare con li altri con riiputatione, et lode; cioè il ballare, il schermire, et il cavalcare per solo quelli che studiavano filosofia; i quali parimente servivano accio che et alla pietà; et alle lettere attendessero con maggior accuratezza, servendogli questi come per premio della diligenza in quelli usata”4.

Gli ambienti venivano illuminati con torce o candele. Gli studenti si alzavano prima del sorgere del sole da ottobre a metà aprile e andavano a dormire dopo il tramonto. Pertanto si rendeva necessaria una buona illuminazione artificiale che durasse tutta la giornata, fino alla sera. Appena svegli, era ancora buio, perciò il cameriere aveva il compito di accendere “i lumi nelle camerate”, per consentire visibilità ai convittori, mentre il prefetto5 aveva il compito di accertarsi che tutto fosse ben illuminato, anche per poter gestire meglio alla luce il comportamento degli studenti e controllarli meglio. Durante l’orazione, se non si vedeva bene, il cameriere provvedeva ad accendere un candeliere per ciascuno. La sera, un quarto prima dell’Ave Maria, i camerieri portavano i lumi nelle camere e accendevano le candele. Durante il tempo dello studio i convittori dovevano essere provvisti di lumi. Se qualcuno di essi si allontanava momentaneamente dal suo tavolo, il suo lume doveva essere spento e riacceso immediatamente al suo ritorno.

La camerata era illuminata anche durante la ricreazione serale.

Ma è durante le rappresentazioni teatrali che l’illuminazione la faceva da padrona. Venivano messi dei recipienti pieni di strutto per le loggie non distanti dalle finestre del cortile6, torce da vento per strada, lumi sul palco7, sui luoghi in cui si recitava, nei corridoi, lungo le scale.

Nel collegio di Santa Lucia a Bologna due anni prima della morte di Sant’Ignazio, nel 1554, iniziò in Italia iI cosiddetto teatro gesuitico, che nel 1555, quasi nello stesso periodo, veniva inaugurato anche in Spagna, a Medina del Campo, con la rappresentazione della tragedia Jefie di Giuseppe de Acosta, allora non più che quindicenne. Tacchi Venturi sostiene che nel 1554 non solo si recitarono le consuete orazioni ma venne anche rappresentata un’egloga di cui però si ignora l’argomento8. Elaborata dal lodato maestro francese Sebastiano Seguense, non venne semplicemente declamata, ma rappresentata con tanto di “vestiario pastorizio” e apparato scenico da alunni preparati, che interpretarono il ruolo di pastori della steppa palestinese, giunti alla grotta di Betlemme per adorare il neonato Gesù. Da queste egloghe o dialoghi si svolsero ben presto dei veri e propri drammi, ossia le tragedie e le commedie, composte dai maestri di retorica della Compagnia nei principali collegi dei gesuiti in Italia.

Ecco a tal proposito un estratto della Regola di Padre Antonio Magaza:

A queste comedie non si permette di venire se non a qualche Camerante Confidente e a persone domestiche, e si pongono sù Banconi alti sotto il Palchetto de’ Serenissimi. Li Signori Paggi di corte d’invitano ogni volta, e si assegna loro un Banco; assiste alla Porta del Teatrino, e dispone a suoi psoti il Signor Giovanni Dama maestro di Picca =

Il Luogo per li Padri di San Rocco è il solo Palchetto de’ Serenissimi. Vi s’invitano dal Padre ministro de’ nostri, o una volta per sempre, o rinovando di quando in quando l’invito, o di volta, in volta, come si è fatto quest’anno 1712 =

La sera della Comedia li Signori, che vogliono prendere qualche dolce fanno il polizzi./202/no, che si presenta da Camerieri al Padre ministro, che da loro licenza, e ne fanno la provvisione alla spezieria di casa, 20 soldi per uno. Si fanno studiare un’ora, dopo cui si da il segno della corona =

Intanto li Camerieri si radunano in Teatrino, ed il Padre ministro manda a chiamare le Camerate, cominciando dalli piccoli, e da quelle che stanno sui Palchetti Sù questi dalla parte della Lizza si pongono 2. Camerate basse una di sopra, l’altra di sotto, dalla parte del Teatro grande, due altre nel Palchetto più basso. Le altre Camerate sedono nel piano, avendo ogn’una due file di banche, una avanti l’altra

Le Camerate più grandi si pongono al fondo del Teatrino verso il Palchetto de’ Serenissimi =

Quando si mandano a chiamare le ultime Camerate, si manda anche un Cameriere ad avvisare il Padre Rettore, venuto il quale si da avviso agl’accademici di principiare =

Nell’orchestra si suona all’ingresso de’ Signori tra un’atto, e l’altro, e al fine /203/ sinché sono partiti. Suonano li suonatori, e musici di Collegio, a quali non si da cos’alcuna, se non la cena ordianria, o 3, o 4. Finita la Comedia, si da subito in Tavola, e si va a cena, dopo cui, se non seguita giorno di vacanza si dice l’Orazione breve, e si va a Letto. S’invigili, che li Camerieri vadino pronti a scaldare li letti. Se seguita giorno di vacanza si fa la Ricreazione, orazione lunga ecc. li più piccoli però si ponno mandare a letto subito=

La mattina vegnente, s’è giorno di scuola, si leva all’ora solita, acciò gl’Inatitutarii possano avere la sua lezione =9

Nel 1747 entrò a far parte del seminario parmense Pietro Verri, il quale trovò che nel Collegio dei Nobili di Parma “le cose tutte erano con buon ordine, con ragione e con nobile decenza stabilite”, secondo leggi “chiare, generali ed invariabili”, poiché i gesuiti possedevano “l’arte di ragionare e di persuadere anche i giovani più indocili e traviati”.

Tuttavia Cesare Beccaria allievo del convitto parmense per otto anni a partire dal 1745, definì “fanatica”, in una sua lettera, l’educazione avuta in collegio10.

Sotto la reggenza dell’infante Don Filippo, secondogenito di Elisabetta Farnese, il Collegio dei Nobili di Parma godette di una maggiore prosperità perché furono riconfermati alcuni suoi antichi privilegi. Per opera del rettore Giuseppe Bajardi e dei padri Poggi, Roberti, Granelli e Bettinelli, gli studi e l’attività teatrale ricevettero nuovo impulso e rifiorirono a nuova vita11.

Nel 1768 i gesuiti furono allontanati dal collegio e sostituiti dagli scolopi12. Il decreto di sfratto dei padri della Compagnia si concretizzò nella notte dall’otto al nove febbraio, quando i padri gesuiti abbandonarono silenziosamente il Seminarium senza che i convittori si accorgessero di nulla. Soltanto al mattino i giovani allievi si accorsero del mutamento: al posto dei gesuiti c’erano gli scolopi13.

1 Si veda Gaetano Capasso, Il Collegio dei Nobili di Parma, in «Archivio Storico per le province parmensi, I, Parma, R. Deputazione di Storia Patria», 1901, p. 1.

2 Laura Och, Musica e pedagogia gesuitica: alcuni spettacoli nel Collegio dei Nobili di Parma fra Sei e Settecento, in «Quadrivium», 1.2, (1990), p. 42.

3 pp. 11-13, 16..G. Capasso, Il Collegio dei Nobili di Parma, cit., pp. 11-13, 16.

4Ivi, p. 19. 

I prefetti svolgevano soprattutto la funzione di sorveglianza e di guida nelle attività quotidiane. In genere ogni camerata aveva un prefetto, ma poteva esserci anche un secondo prefetto. Il loro compito principale era quello di accertarsi che i convittori seguissero bene le regole del collegio,farsi sopraffare o viceversa mancar di rispetto. In genere erano esterni alla Compagnia di Gesù, chierici o sacerdoti non provenienti dalla giurisdizione del duca. Durante la ventura annuale i prefetti erano tenuti a leggere libri dottrinali, quali per esempio Il Cristiano istruito. Si veda Paolo Segneri, Il Cristiano istruito nella sua legge, in Venezia presso Giovanni Radici, 1718. La prima edizione venne alla luce nel 1686. Il libro è stato continuamente ristampato per cui presso i bibliofili è considerato un testo comune. Periodici avvisi avvertivano i prefetti circa la natura dei loro compiti. Se dovevano controllare, a loro volta venivano controllati dai padri ministri. Questi potevano recarsi nelle camerate anche senza preavviso, per vedere come procedessero le cose e se venivano svolte le attività previste. I prefetti dovevano denunciare eventuali inosservanze dei signori al padre ministro che poi decideva per eventuali adeguate penitenze. La punizione corporale non era prevista, trattandosi di aristocratici, tuttavia si potevano punire i signori con privazione del pasto o della caccia, interdizione per i giochi, divieto di parlare coi compagni, stare fermi alla propria scrivania, etc. Il prefetto non aveva il potere di comminare nessun tipo di punizione che veniva decisa dal padre ministro. Questi a sua volta informava costantemente il padre rettore che nel collegio aveva pienezza d’autorità. Il padre rettore controllava l’intera vita del Seminarium e si occupava anche dei rapporti con l’esterno, con le autorità ducali, il vescovo di Parma, i superiori delle chiese, i padri di San Rocco, le famiglie degli studenti, i paggi, i cavalieri di corte, i maestri esterni del collegio, etc. Il padre rettore gestiva il denaro dei collegiali pagando i maestri, i lettori, i suonatori per le vacanze di Sala, consegnando le mance, distribuendo premi e donativi, sostenendo le spese per l’accademia della passione e per le messe votive.

6Regola, p. 213.

7Ivi, p. 198.

8Pietro Tacchi-Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia dalla solenne approvazione dell’ordine alla morte del fondatore (1450-1556), II / II, Roma, Edizioni La Civiltà Cattolica, 1951, p. 417.

9Gallarate, Collegium Aloysianum, Archivio storico, Padre Antonio Magaza, Diario del Collegio Convitto dei Nobili. Regole, Avvisi, istruzioni per Convitto de’ Nobili in Parma (1710-13), documento manoscritto, trascritto per la prima volta da Maria Antonietta Pinna in Il Collegio del Nobili di Parma agli inizi del Settecento. 

10Ivi, p. 134.

11Ivi, pp. 143-157.

12 Sull’allontanamento dei Gesuiti dal Collegio dei Nobili di Parma, si veda ivi, pp. 158-160. Sulle alterne vicende del collegio, inizialmente collegio universitario poi trasformatosi in collegio d’educazione, si veda Efisio Trincas in «Annuario del Regio Convitto Nazionale Maria Luigia in Parma», 1926, p. 5-35; Arnaldo Barilli, Il collegio dei nobili, (a proposito dell’Annuario 1927 del R. Convitto Nazionale Maria Luigia) in «Aurea Parma», 13, 1929, pp. 62-69: Giancarlo Angelozzi, Le scuole degli ordini religiosi, in Il catechismo e la grammatica, II. Istituzioni scolastiche e riforme nell’area emiliana e romagnola nel ‘700, Il Mulino, 1986, pp. 37-39, 46-50; Marcello Turchi, L’istituzione del collegio dei nobili a Parma, ovvero il principe farnesiano educatore europeo, «Parma nell’arte», 1989-90, pp. 5-10; Jacopo Di Noto Marrella, Il Collegio dei nobili di Parma in «Parma economica», 129 (1997) n° 4., pp. 133-138; Luigi Dossi, I Gesuiti a Parma, 1564-1964 in «Giovinezza nostra», 34, 1964; Alessandro d’Alessandro, Materiali per la storia dello Studium di Parma (1545-1622) in Università, Principe, Gesuiti. La politica farnesiana dell’istruzione a Parma e Piacenza (1545-1622), Roma, Bulzoni, 1980, pp. 15-95. 

13 «All’una ora dopo la mezzanotte una schiera di soldati circondò l’edificio di Santa Caterina. Subito dopo, arrestato il portinaio, il rettore fu preso e condotto nel salone, dove in breve furono raccolti l’un dopo l’altro tutti gli altri religiosi. II Misuracchi intimò l’ordine di partenza ai gesuiti e fece la consegna del collegio agli scolopi. Veto le ore sei tutto fu pronto. I gesuiti partirono su vetture, già preparate in antecedenza. Rimase in collegio l’unico laico che vi dimorava, perché vecchio di novantaquattro anni e malato, non si era potuto rimuoverlo dal letto. I1 mutamento fu eseguito con tanta accortezza e così silenziosamente che i convittori di nulla ebbero sentore. Solo al mattino si accorsero che nel collegio al posto dei gesuiti erano subentrati gli scolopi. Anche la cittadinanza ne ebbe notizia il giorno seguente da un proclama fatto pubblicare dal governo», (ivi, p. 160).

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