Strega, Ponte del Diavolo

La strega del Ponte del Diavolo

Strega, Ponte del Diavolo

Di Mary Blindflowers©

Questo racconto è stato pubblicato nel catalogo Ali 2018, Ambienti d’Italia a cura di Marco Fiori e Marzio Dall’Acqua, pp. 42-50.

 

La strega del Ponte del Diavolo

Catalogo Ali 2018, credit Mary Blindflowers©

 

 

La strega del Ponte del Diavolo

I.

Piacenza, 15 febbraio, anno del Signore 1631.

Il freddo era intenso. Verena Tukte affondava i piedi nella neve alta e soffice. Doveva raggiungere una casa di certi suoi parenti che abitavano fuori città, sull’altra sponda del fiume Trebbia, all’altezza del paese di Bobbio. L’aspettavano. Non c’era molto tempo. Era felice di aiutarli, specialmente dopo che si erano indebitati fino al collo. Stringendosi ancor più sotto il cappuccio dal pesante mantello di lana, affrettò il passo. Si trovava nei pressi del Ponte Gobbo chiamato Ponte del Diavolo1. Tremava pensando alla leggenda che aveva sentito su quel posto da mamma Eva, una vecchia piacentina che amava raccontare storie davanti al focolare: “Tanto ma tanto tempo fa, quando ancora, tu Verena, non eri nata, e le stelle forse avevano un colore diverso da quello che hanno oggi e tutta la natura aveva voci che gli uomini sapevano ascoltare, San Colombano se ne andava bel bello da una riva all’altra del Trebbia. Ad un certo punto vide una sagoma scura. “Chi è là?” disse. Era il diavolo, bianco come una rosa e vestito come un cavaliere, con l’armatura tutta nera. Senza tanti complimenti il diavolo disse che avrebbe potuto costruire un magnifico ponte tra le due rive se soltanto il santo gli avesse consegnato la prima anima che lo avesse attraversato. Il santo, che era un tipo pratico, accettò. Così Satana convocò un’orda di diavoli che si diedero da fare nell’opera di edificazione, e siccome di satanassi ce n’erano di tutte le taglie e condizioni, quelli più alti e robusti fecero le arcate più grosse, gli emaciati e debolucci quelle più piccole. L’indomani il diavolo si presentò per riscuotere l’anima, ma venne gabbato perché San Colombano fece attraversare il ponte dal suo povero cane malato. Satana se ne tornò dritto dritto all’inferno, imprecando e bestemmiando, dopo aver dato un calcio al ponte che, infatti non è proprio dritto e perfetto, e da allora si chiama Ponte del Diavolo”.

Scusate”, disse Verena, “ma che razza di santo è uno che manda il proprio fedele cane ad attraversare un ponte, sapendo che il diavolo si prenderà la sua anima? Non voleva bene al suo cane? Che padrone snaturato! E che fine ha fatto il cane? Il diavolo se l’è portato poi all’inferno?”

Mamma Eva rimase interdetta: “Tu parli troppo figlia mia! Che ti importa di un cane! La leggenda è questa! E non si discute! Tu sei straniera e non puoi capire! Faresti meglio a stare zitta! Tutti questi dubbi, queste riflessioni non vanno tanto bene, si ascolta, si annuisce e si tace soprattutto! Dammi retta, segui il mio consiglio, tieni la lingua a freno!”

Il rimprovero della vecchia risuonava ancora nelle orecchie di Verena punte ora dal freddo. Camminò per un po’ sopra il ponte. Ad un certo punto, distratta dai ricordi e un po’ dalla paura del buio, non si accorse che il terreno digradava verso il basso. Cadde. Si rialzò a fatica. Era rotolata per qualche metro, ma non si era fatta troppo male. Sentiva soltanto un leggero dolore al piede. Dopo mezz’ora circa arrivò a destinazione. Un uomo dall’aria semplice, venne ad aprirle. Verena si tolse il mantello, mostrando il viso pallido e i capelli rossicci annodati in una lunga treccia. “Come va?”, chiese.

Credo che ci siamo”.

Bene. Dove sta?”

In camera, venite”.

La puerpera giaceva su un letto dal materasso di paglia. Stringeva un crocifisso nella mano destra e pregava Dio di liberarla presto dal dolore. Seduta accanto a lei, una donna vestita di scuro, si faceva il segno della croce. La stanza, senza finestre, era malamente illuminata da una sola candela. C’era odore di muffa e sudore.

Lisa, come vi sentite?”, chiese Verena alla partoriente.

Male”.

Coraggio, vi prometto che farò del mio meglio”, disse, rimboccandosi le maniche e scoprendo la lunga cicatrice bianca che aveva sul braccio. “Avete preparato l’acqua calda?”, chiese poi, rivolta alla donna in nero, sorella di Lisa.

Sì. Ci potevo pensare io. Ho avuto tre figli e non c’è mai stato bisogno di voi, ma mio cognato ha insistito per chiamarvi”.

Voglio solo aiutarvi. Sapete che prima di sposarmi ho fatto la levatrice”.

Zoppicate, come mai?”

No, non è niente. Sono scivolata venendo qui. Ho fatto un volo …”

Uhm”.

Il parto fu lungo e difficile. La bambina venne alla luce morta.

Verena cercò di rianimarla. Fu tutto inutile. Il corpicino giaceva immobile.

Meglio così”, disse il padre, “tanto era femmina, una bocca in più da sfamare”.

II.

18 febbraio

Il vostro nome”.

Renata Buschi”.

Siete sposata?”

Vedova. Mio marito è morto due anni fa durante un viaggio”.

Che mestiere faceva vostro marito?”

Era un onesto ma sfortunato commerciante, signore”.

Siete devota a Gesù Cristo, ai santi, alla Chiesa Apostolica Romana e ai suoi insegnamenti?”

Sì, vengo in nome di Dio”, rispose, facendosi il segno della croce.

Siete sicura di ciò che dite?”

Sì”.

Avete prove?”

Sì”.

Testimoni?”

Sì, Lisa Buschi, mia sorella e suo marito, Marco Galli. Loro hanno visto…”

III.

Nome”.

Verena Tutke”.

Siete sposata?”

Sì, signore”.

Vostro marito è ricco?”

Sì, signore”.

Che lavoro fate?”

Adesso bado alla casa. Prima facevo la levatrice”.

Sapete di cosa siete accusata?”

No, signore”.

Siete accusata di aver praticato magia demoniaca; di esservi unita carnalmente col diavolo; di aver causato la morte di una bambina coi ferri quando era ancora nel ventre materno; di aver ricavato dal corpo della piccola unguenti utili per il volo magico; di aver ammesso di poter volare; di aver causato morte e malattie ad uomini e animali; di aver fatto perire le messi, etc, etc. Come vi dichiarate?”

Innocente, signore”.

Il 15 febbraio del corrente anno siete stata a casa di Marco Galli?”

Sì, signore. È un mio parente per parte di madre. Mia madre infatti era di Piacenza. Dovevo aiutare sua moglie a partorire”.

E l’avete fatto?”

Sì”.

Il parto andò bene?”

No, la bambina nacque morta”.

Non foste forse voi ad ucciderla quando ancora era nel ventre della madre?”

No, signore”.

Bene. Negate dunque”.

Nego, signore”.

Fate entrare i testimoni. L’imputata li riconosce?”

Sì, signore”… (continua)

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

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