Workhouse nel Southwell

Una Workhouse nel Southwell

Workhouse nel Southwell

VIsita ad una Workhouse vittoriana

Workhouse nel Southwell, Nottinghamshire, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Workhouse nel Southwell

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La povertà come disvalore, segno di amoralità, punizione per i peccati secondo la religione di un dio bigotto e classista. Il povero come reietto, scarto da abusare ed usare secondo i desideri di una società abominevole e ingiusta che confondeva la nobiltà umana col parassitismo e la difficoltà con il peccato.

Le Workhouses o case di lavoro nell’Inghilterra vittoriana, erano edifici destinati ai poveri che, senza lavoro e senza casa, per sopravvivere, venivano indirizzati in queste strutture per lavorare e guadagnare il pane. Le famiglie erano immediatamente separate all’ingresso, gli uomini dalle donne e dai bambini, anche se molto piccoli e ancora bisognosi della madre. Non esisteva ancora l’attenzione per l’infanzia dei poveri. Si procedeva dunque al cambio di abiti. Dovevano infatti indossare tutti la stessa divisa, in modo che fossero uguali nell’etica dell’alienazione e dell’annullamento della personalità di ciascuno anche attraverso i segni più evidenti e visibili, ossia l’abbigliamento che non doveva avere impronte personali.

Una Workhouse nel Southwell

Workhouse, cancello, credit Mary Blindflowers©

 

Visitando una Workhouse nel Southwell, Nottinghamshire, ci si trova davanti ad un vasto edificio con un giardino dietro, dove vengono ancora oggi coltivate mele e ortaggi vari. La casa è grande, austera, dentro è fredda, spoglia, coi muri in parte scrostati dall’umidità, cunicoli che immettono in stanze che sanno di muffa, di spoliazione, di tristezza, e in cui occhieggiano finestre come bocche fameliche che sigillano storie di antica sofferenza.

La sala da pranzo offre un senso amaro di vuoto, con un tavolo di legno e pochi piatti, senza fiori, senza ornamenti. Molto diversa da quella delle case nobiliari, così sfarzose, ricche di fini porcellane e servizi in argento cesellato, tovaglie di pizzo antico, lampadari monumentali di cristalli sfavillanti.

Una Workhouse nel Southwell

Sala da pranzo della Workhouse, credit Mary Blindflowers©

 

I dormitori comprendono più letti. Più persone dello stesso sesso dormivano dentro i cameroni. Non si badava al loro stato di salute e poteva capitare che una persona sana dovesse condividere la stanza con gente malata di sifilide o altro.

Una Workhouse nel Southwell

Dormitorio nella Workhouse, credit Mary Blindflowers©

 

La cucina austera, con poche pentole di rame vittoriano. Non mancava la cappella con l’organo fatto arrivare dall’Italia e l’obitorio dove venivano portati i morti in attesa che venissero a prenderli per portarli nelle fosse destinate ai poveri. Perché anche nella morte, l’unica vera e sola democrazia del mondo, che livella tutto, gli uomini cercano disperati di creare divisioni assurde.

Nella bakery si faceva il pane. Una larga bocca da forno annerita ricorda il lavoro di chi infornava tutti i giorni. Nella laundry si lavavano i panni con rudimentali lavatrici a mano.

La colazione prevedeva pane e latte che dovevano bastare fino al pranzo composto di patate, carne, brodo, pane e pudding. Per cena una zuppa, nuovamente pane e latte.

Il the non era contemplato nella monotonia del menù, perché era troppo costoso. Era la bevanda dei ricchi.

Erano previste anche punizioni in caso di infrazione al regolamento, ad esempio in caso di zuffe o di fuga o di disobbedienza agli ordini del personale. La punizione più in uso era far saltare i pasti dopo dieci ore di lavoro.

Per i poveri il soggiorno nella Workhouse era come stare in una prigione, solo per il fatto di essere nati poveri. Gli ospiti non potevano andarsene quando lo desideravano, per questo molti tentavano la fuga. I bambini potevano uscire di lì solo per subire l’ulteriore sfruttamento del lavoro minorile dentro le fabbriche della rivoluzione industriale.

Nei romanzi di Dickens dove forte è la denuncia sociale, appare evidente come nel periodo vittoriano i bambini venivano venduti per lavorare nelle fabbriche, maltrattati e inseriti nelle Workhouses senza la minima possibilità di migliorare la loro condizione sociale.

Se nascevi povero dovevi rimanere povero.

Una Workhouse nel Southwell

Scale della Workhouse, credit Mary Blindflowers©

 

Non avere lavoro era considerato disonorevole per un povero, che per sfamarsi doveva in pratica farsi sfruttare dal ricco o dalla fabbrica. Per un nobile invece non lavorare era un titolo di merito. L’etica nobiliare aborriva il lavoro. Soltanto che un povero che non lavorava era considerato immorale, un nobile che non aveva mai lavorato in vita sua, ma viveva sfruttando il lavoro degli altri, era riverito e ossequiato da tutti. Ancora oggi infatti c’è chi plaude alla nobiltà, anche artisti che si fanno ritrarre assieme a qualche nobile per dare lustro alla propria immagine.

Questo dà l’idea e la misura dell’imperfezione della società umana, così ridicola nelle definizioni, così classista e ingiusta nelle catalogazioni della morale.

Salendo lungo le scale di pietra della Workhouse sembra di avvertire passi antichi, e fiati e silenzio misti all’odore pungente dell’umidità. Si avverte come la presenza di un’umanità che non è mai stata riconosciuta nella sua essenza umana e sembra sussurrare vicino alle orecchie: “perché?” Una domanda che tutti i poveri del mondo potrebbero replicare, ma che ieri come oggi, non avrebbe alcuna risposta.

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Comment (1)

  1. Claudio

    Bellissimo articolo, e tanto, fin troppo, attuale.

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