Marinetti e la finta rivoluzione futurista

Marinetti a la finta rivoluzione futurista

Marinetti e la finta rivoluzione futurista

Di Mary Blindflowers©

 

Marinetti a la finta rivoluzione futurista

Signori, qui si concerta la rivoluzione, credit Mary Blindflowers©

 

La cultura con la c maiuscola, il suo tempio incontaminato, le pendici del Parnaso inviolato, gli uomini dalle mani bianche e mollicce, le schiene curve, che coltivano le sacre lettere e preservano per le generazioni future un mondo fatto di idee buone, d’istruzione, consapevolezza, sapienza che affonda le radici nello studio e nella riflessione, nella meditazione concentrata e nell’annullamento del sé a favore del sapere, della filosofia, dell’arte, della letteratura, della poesia.

Bubbole!

Aria fritta e impanata di niente, stupidaggini da imbonitori di piazza, sciocchezze veteroscolastiche di matrice fuffica.

La cultura è un’arma a doppio taglio che favorisce soprattutto chi la afferra dalla parte del manico, ossia i ricchi e i potenti, oppure coloro che si sottomettono ai ricchi e ai potenti. Gli altri sono i colti della lama, i poeti del chiaro di luna fredda, quelli che si tagliano le mani perché tengono l’arma dalla parte sbagliata. Essi non sono ricchi, non sono potenti, nemmeno vogliono sottomettersi ai potenti eppure commettono l’errore imperdonabile di essere colti, audacia consentita solo all’élite che monopolizza la cultura da sempre. Come la nota marca di una bevanda alcolica dal pessimo sapore, la cultura è per molti ma non per tutti, sopratutto se il colto da lama tagliente, si mette in testa di fare lo scrittore o di fondare un movimento perché ha idee nuove. Delle idee nuove non importa nulla a nessuno se non ci sono immediati vantaggi e se non ci sono soldi in ballo.

Per esempio che ne sarebbe stato del futurismo marinettiano, se lo stesso Marinetti non fosse stato figlio di un milionario? Avrebbe potuto riunire i talenti dell’epoca a sue spese in un giornale sostenuto economicamente da egli stesso? Certamente no.

E chi mai, se non avesse allentato i cordoni della borsa, gli avrebbe dato retta?

Quali personaggi e letterati mai avrebbe potuto ricevere nella casa ereditata dal padre, se fosse stato un morto di fame senza mezzi e senza possibilità?

Le sue famose idee, tra l’altro anche abbastanza discutibili, sarebbero rimaste lettera morta. Nessuno si sarebbe ricordato più di lui né dei libri che si stampava spesso da solo e regalava agli amici, né dello sciocco mito anticulturale della velocità, o dell’uomo macchina, prototipo dell’alienato che si spacciava per rivoluzionario adeguandosi alla nuova realtà industriale-capitalistica di matrice alto borghese.

Marinetti era ricco e poteva permettersi di schiaffeggiare critici, di sfidare a duello persone che non gli garbavano, di cantare l’automobile ebbrrra di spazio in orribili versi tra occhi di fucina e olii minerali, versi del 1905 che, diciamolo, se fossero stati presentati da un qualsiasi altro poeta senza mezzi, tra giganteschi pneumatici e cuore che tonfa diabolicamente, avrebbero forse strappato qualche risata anche per la sgradevolezza dello stile e la pochezza del contenuto concentrato sulla nuova bellezza meccanica, l’artificio della macchina che dà onnipotenza all’uomo, esaltandolo nella fallacia del superomismo antropocentrico. La realtà è che se vai troppo veloce con la macchina finisce che ti schianti, ti uccidi e uccidi pure gli altri, mostrando loro forse violente lune elettriche che però, nella realtà vera, hanno veramente poca poesia in un lettino di ospedale. Il delirio di onnipotenza del giovane fondatore del Futurismo, che, a detta di Folgore, passava le mattinate dormendo, per vivere principalmente di sera, si concretizzò in quel Mafarka il futurista, capace, senza concorso di una donna, per il solo sforzo della volontà esteriorizzata, di dare alla luce un figlio, tema misogino delirante, in realtà non nuovo, anzi antichissimo, visto che la tradizione dice che Adamo partorì Eva dalla costola e Zeus diede alla luce Atena dalla testa.

Che Marinetti fosse un misogino in preda a delirio di onnipotenza non era un mistero, era chiaro nel suo Manifesto: Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”.

Più esplicito di così, credo non si possa essere. Odiava a tal punto la donna da ricalcare pedissequamente gli antichi miti del parto maschile. E che dire della glorificazione della guerra? Possiamo chiedere ai bambini palestinesi o siriani quanto è igienica la guerra.

Marinetti da un lato esaltava la guerra e la velocità che forse non si è accorto sono cause di morte, e disprezzava la donna, mentre contemporaneamente in versi ottocenteschi miagolava: Mamma! Mamma!/ O tu che non sei morta e che porto in me/ O lontano paradiso irrigato di lacrime…

Che un simile individuo sia ricordato come un precursore, un grande uomo e campeggi in tutte le enciclopedie come un anticipatore, pur non essendosi inventato assolutamente niente, dato che lo stesso verso libero esisteva già nei laudari del Duecento, dimostra soltanto che la cultura è fuffa, che l’arte non esiste, che il mondo costruisce i suoi miti impiantati sul vuoto del nulla dei quattrini e poi si crogiola al loro finto splendore di ghiaccio.

Resta la consapevolezza che anche la cultura è solo una costruzione arbitraria piena di vento e dominata dall’avere che uccide i chiari di luna con finte rivoluzioni borghesi dell’adeguamento al potere e al denaro.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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