La morte dell’arte nella stanza dei bottoni

The Blind Spot in the Buttons Room

La morte dell’arte nella stanza dei bottoni

Di Mary Blindflowers©

 

The Blind Spot in the Buttons Room

The Blind Spot in the Buttons Room, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Nei I Quaderni dell’Ali dedicati ad Andrea Emiliani in cui si raccolgono diversi scritti dello stesso, tra rimembranze, illustrazioni di ottima qualità e aneddoti su arte e artisti, si legge a pagina 113, sotto “Ricordo di Giorgio Morandi”: “La sua vita artistica, la sua pittura e sua attività grafica in un’Italia provinciale non fu molto fortunata; e tuttavia fu comunque difficoltosa anche per la sua riservatezza che fu spesso scambiata per una vita solitaria e scontrosa. Ed era vero a ben riflettere, la sua fama europea e la liberazione dall’immagine pubblica che si era creata risale al 1960, e più precisamente al momento in cui Federico Fellini presentò al pubblico due suoi quadri in un film che si intitolava La dolce vita (1960). Furono le due Nature Morte appese nella casa dell’intellettuale romano l’immagine che preludeva al suo suicidio. E con questo successo del film del regista romagnolo anche la fama di Morandi divenne di colpo universale”.

Parole queste che fanno riflettere sulla fatuità del mondo dell’arte, sulla difficoltà che ha un artista ad essere riconosciuto tale e sul marchio etichettatore di qualità garantita che può essere elargita, nello stupidario generale di una società malata, soltanto da un personaggio già famoso, già acclamato e quindi investito di autorità per opinione generale.

Se Fellini non avesse inquadrato i dipinti di Morandi nel suo celebre film, Morandi sarebbe così famoso?

Forse no, resta comunque l’amara constatazione di un mondo costruito secondo criteri che di artistico hanno ben poco, con la fama che trascina la fama, e l’oscurità che trascina l’oscurità in un inevitabile vortice.

Emiliani precisa addirittura che Fellini è stato responsabile della fama europea di Morandi che, ben lungi dall’avere un carattere mondano, faceva fatica a fare fortuna.

Da allora la letteratura critica cominciò ad occuparsi seriamente di Morandi.

La critica d’arte cosa valuta allora?

Valuta veramente l’arte in se stessa oppure il suo contorno?

Valuta ciò che vede o ciò che i vari Qualcuno hanno visto prima, e quindi decide che un lavoro è arte piuttosto che pattume sulla base di parametri extra-artistici?

La verità è che se un artista oggi non ha qualcuno alle spalle, non viene nemmeno preso in considerazione.

L’arte di per sé diventa una merce senza valore, al pari di un sacco di patate.

Il mito del critico che va per gallerie e decide cosa è arte senza nemmeno conoscere l’artista, è solo un bluff, perché i critici che contano approdano solo in gallerie che contano dove per esporre devi pagare profumatamente e far parte di un circolo molto ristretto.

Del resto anche in passato l’arte era una meretrice che celebrava i fasti dell’aristocrazia. Quasi tutti i dipinti rinascimentali non esaltavano con ritratti spesso migliorati rispetto alla bellezza del modello originale, la potenza dei nobili o della chiesa?

E l’arte classica non celebrava il potere degli imperatori e dei re?

Cosa possiamo pretendere oggi? Che l’arte etichettata come tale da un sistema che gira su se stesso, possa e debba essere democratica?

Non lo è mai stata. Pittori oggi celebri e i cui dipinti sono quotati milioni, sono morti letteralmente di fame. 

Anche la Street art trasportata nei musei e nella gallerie è diventata la negazione di se stessa.

In questo senso possiamo decretare la morte dell’arte nella stanza dei bottoni che decide tutto per noi.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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