Franco Donati e i taccuini della memoria

Franco Donati e i taccuini della memoria

Franco Donati e i taccuini della memoria

 

Franco Donati, La Duchessa, 2015 (repertorio Bagnacavallo©)

 

Di Marco Fiori©

Franco Donati e i taccuini della memoria

Chi non ha mai pensato, almeno una volta, di tenere un diario? Magari da bambini suggestionati dalla scoperta del “Giornalino di Gian Burrasca” o, più tardi, per il desiderio di esternare piccoli segreti o timide speranze. Alcune persone, fra quelle con particolari doti di sensibilità e di comunicazione espressiva che definiamo “artisti”, realizzano questa diffusa vocazione attraverso il disegno, trasferendo su privati quaderni le visioni destinate nel tempo a divenire lo specchio segreto del loro essere. Franco Donati è uno di questi. Fin da ragazzo porta sempre con sé un piccolo taccuino sul quale disegna nei momenti più impensati. Suppongo che ormai ne abbia riempiti tantissimi, tutti simili, conservati dentro qualche cassetto o allineati nella zona meno accessibile della sua libreria. La prima volta che lo vidi disegnare su uno di questi notes rimasi perplesso dal tipo di carta, un colore giallognolo simile a quella che si usava una volta nelle macellerie. In realtà, toccandola, si sente che è carta di grande qualità, ruvida e spessa; le pagine a contatto con le dita rispondono con l’inconfondibile suono “croccante” delle carte pregiate. Su questi taccuini poco più grandi di un moderno iphone da cinque pollici, Donati, disegnando con la penna a sfera come si usa fare per la scrittura più rapida e confidenziale, trasmette in tempo reale per ogni soggetto le immagini che l’umore gli detta. Una lunga serie di disegni fitti di segni, di note e spesso di particolari ingranditi, compongono la galleria di opere racchiusa in questi piccoli album, ognuno dei quali rilegato con un rigido cartone. Da questi appunti nascono tutte le incisioni di Franco Donati che, fra le tantissime pagine, estrae anche a distanza di tempo il soggetto di ogni sua opera per trasferirne ancora intatta l’emozione sulla lastra, ampliandone le dimensioni in un’ideale proiezione della memoria.

In queste opere è difficile non avvertire un disagio di fondo, una velatura di tristezza che svela l’ansia e il malessere interiore dell’autore. Da anni Donati lotta con i fantasmi che periodicamente lo aggrediscono condizionandone l’umore, l’aspetto e le relazioni. Le visioni dei suoi soggetti, filtrate da questi condizionamenti, si traducono in opere di assoluta originalità espressiva. I ritratti dei famigliari e degli amici più cari sono intervallati da numerosi autoritratti che, col passare degli anni, lo accompagnano nelle fattezze di un corpo che sente estraneo e che nel 2011 gli fa scrivere:

“… Sopporto da poco tempo il confronto con gli occhi dello specchio, pochissimi gli autoritratti cattivi, malinconici, inaccettabile il cambio di peso che invadente è entrato sotto la pelle e mi ha espanso nello spazio…”.

Questa condizione influenza anche le visioni legate ai ritratti di noti personaggi – artisti, politici, filosofi, santi e cantanti – tutti trasfigurati dalla tensione espressiva dell’artista ed enfatizzati attraverso un’assoluta padronanza delle tecniche calcografiche.

Nel tempo questa personale galleria si è ampliata fino a mescolarsi, in un unico cocktail di volti e di caratteri, con i soggetti della sua sfera più intima. Nell’assieme queste tavole assumono una parvenza omogenea, in sintonia con la corrosiva visionarietà dell’autore che ancora scrive:

“… Rifletto, sulle geografie di un corpo-mappa, che traccia le sue linee e coi polpastrelli ne cerca i confini per meglio conoscere, per sopportare e forse per andare oltre quei confini.”

Bologna, 16 gennaio 2014

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