Il bluff dell’ontologia

Il bluff dell'ontologia

Il bluff dell’ontologia

 

Il bluff dell'ontologia

Resta la gabbia, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

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L’Essere può darsi che non sia, il bluff dell’ontologia

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Dati due interlocutori qualsiasi X e Y in un dato giorno dell’anno, uno a caso, basi di partenza dei due soggetti interloquenti identiche, punti di approdo differenti. Interviene per ciascuno di essi la dialettica, così rara, spesso ignorata, calpestata a favore di una prepotenza preimpostata. Attraverso un movimento dialettico in cui ciascuno cerca di convincere l’altro dell’esattezza delle sue affermazioni, secondo logica e ragione, resta un dubbio sulla validità o meno di tutte le ontologie. Ecco che si affaccia l’eterno discorso sull’essere, vecchio come il cucco, affrontato da filosofi, pensatori di ogni tipo e condizione. X cita Parmenide: “l’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere”. Y cita se stesso: “l’essere può anche darsi che non sia o che possa essere, il non essere può a sua volta essere, del resto che ne sappiamo?”.

Secondo Parmenide il non essere non esiste perché in quanto inesistente è impensabile. Pensare il non essere equivarrebbe a non pensare, parlare del non essere vorrebbe dire non dire. X sostiene che questa affermazione sia indiscutibile. Y afferma il contrario, perché nel momento in cui dici non essere lo stai anche pensando che ti piaccia o no, concettualmente lo stai elaborando, si può inoltre parlare e dire di cose che sono assolutamente inesistenti o comunque cose che potrebbero non esistere perché non possiamo provarne l’esistenza. Dio forse è certo che esista e che sia essere? Non c’è nessuna certezza, eppure la mente lo pensa, anche se potrebbe non essere, dunque non esistere. Per un ateo dio non esiste proprio, ma questa sua supposta non esistenza, non gli impedisce affatto di pensarlo, perciò l’affermazione che il non essere non può essere detto né pensato è completamente errata. La categoricità di ogni affermazione è un bluff condizionante della mente.

Secondo Parmenide l’essere non ha inizio né fine, non si trasforma, è immobile, sempre identico a se stesso e perfetto. Questo tipo di dogmatismo filosofico, questa tematizzazione parossistica dell’essere, che ha influenzato brutalmente e negativamente tutta la filosofia occidentale, è diventata indiscutibile. L’esaltazione dell’essere recita: “Ora, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola – quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che “è”, e che non è possibile che non sia – – l’altra che “non è”, e che è necessario che non sia. E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende. Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo”1.

L’essere non è possibile che non sia. L’ha detto Parmenide che distingue tra due vie ben precise di ricerca filosofica, l’una che “è”, ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, e l’altra quella che “non è”, e che è necessario che non sia, ἡ δ’ ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι.

Si distingue in modo chiaro l’essere dal nulla, creando il bluff dell’ontologia in piena regola. Che l’essere necessariamente sia non è provato da nessuna legge scientifica, è un pensiero puramente arbitrario, semplicemente perché non sappiamo nulla, la netta separazione tra essere e non essere, di stampo antropocentrico parmenideo, è pura invenzione. Pensare il nulla sarebbe impossibile, cosa non vera, come si è detto,  perché dal momento in cui se ne parla significa che in qualche modo l’abbiamo pensato, non si può parlare infatti di ciò che non si pensa. Non dimentichiamo che Parmenide era un aristocratico e la sua filosofia della non contraddizione tra l’essere che è e il non essere che non è, richiama la volontà di una ristretta cerchia al comando tramite un diritto immobile quasi divino. La sua descrizione dell’essere (perfetto come una sfera, unico indivisibile e immobile), anche se per ovvi motivi, non parla esplicitamente di dio, lo richiama tuttavia, fortemente, lo anticipa rovinosamente. L’essere nei suoi sogni è rinchiuso nell’etere, in un luogo sigillato da un portone che solo la Giustizia punitiva può aprire. Non è mai libero di non-essere, proprio perché non esiste il movimento, e la libertà diventa così necessità. Una sorta di dogmatismo ante-litteram, un disgraziato antefatto per la filosofia occidentale. L’essere non può essere dimostrato in alcun modo e nemmeno il senso delle cose, tant’è che una cosa può essere interpretata in un modo o in un altro opposto. Lo sapevano bene i sofisti.

Tornando ai nostri interlocutori X e Y, ascoltando lo sviluppo anacondico delle loro riflessioni pro e contro l’ontologia, scappa il sorriso, perché la conversazione di per se stessa non ha nessun senso logico, data l’indimostrabilità come principio base e unico certo. Dunque niente ha senso, l’unico senso che le cose possiedono è dato dall’uomo. Siamo noi che diamo senso alle cose, che ordiniamo, definiamo, cataloghiamo, imprigioniamo concetti e libertà. L’essere, il non-essere, la sfera, l’immobile che poi diventeranno dio per i cristiani dogmatici, non possono essere dimostrati in nessun modo e non ci sono soluzioni, resta la gabbia, perciò Y sostiene polemicamente che l’essere può darsi che sia e non sia, instaurando un principio di contraddizione antidogmatico. Del resto, che conosciamo realmente di ciò che è e di ciò che non è? L’ontologia è soltanto un esantema antropocentrico nato da esigenze di potere. Non sappiamo nulla, non sappiamo nemmeno se esistiamo, pretendiamo di descrivere l’immobilità granitica e certa dell’essere, lo accarezziamo come cosa preziosa, sostenendo ancora che A necessariamente non è Non-A. Ma il termine “necessariamente” cosa nasconde? Cosa è necessario e perché e soprattutto per chi? Per quali fini si sostituisce un dogma di necessità al reale principio di contraddizione? Perché si sostituisce il dubbio, la madre di tutte le scienze e le riflessioni, con la mediocre e illusoria certezza?

Per motivi politici, religiosi, strettamente elitari. Il potere ha bisogno dell’essere, di questo motore immobile sempre identico a se stesso, semplicemente perché la casta aspira all’eternità, all’immobilità della certezza che le garantisce da secoli un eterno posto al sole.

1Parmenide, Sulla natura, Milano, Bompiani, 2001, p. 45.

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.wikipedia.org/wiki/Parmenides

 

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