
Il punto non è un punto nelle reali prospettive, credit Mary Blindflowers©
Angelo Giubileo & Mary Blindflowers©
Velamento, svelamento, destrutturalismo e…
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I vincoli infrangibili che legarono il Gran Lupo Fenrir erano stati astutamente forgiati dalle seguenti cose: rumor di passo di gatto, radici di montagna, barba di donna, respiro di pesce, sputo di uccello (Edda). L’opera letteraria, in genere, s-vela al fine l’ordito della narrazione; così come, simultaneamente, dovrebbe accadere per la vita degli uomini. Alla maniera dei latini: finis coronat opus. Dis-velamento è il termine, così tradotto, che usa Heidegger nell’ambito della questione ontologica dell’essere; e, falsamente, è immediatamente riferito al velo della tradizione massonica e accademica, e più propriamente alle stesse che vorrebbero essere considerate depositarie di ciò che loro stessi chiamano “verità”, segreta o manifesta, che attiene alla natura delle cose. E invece, il termine dis-velamento dice esattamente cosa dice, toglie il velo dell’essere e ne rivela piuttosto un non-senso, potremmo anche dire alla maniera di Wittgenstein un nonsense, ovvero una frase o breve testo di poesia o di prosa che esprime uno o più giochi di parole surreali, grotteschi, assurdi. Ma, esattamente, cosa rappresenterebbe questa presenza, occultata o manifesta, di un senso o, all’opposto, questa assenza di un senso? Ecco, cosa penso: che i classici sapevano bene che è tutto un nonsense e cioè che non esiste un ordine (cosmo, per i greci) pre-stabilito o pre-fissato che possa durare per sempre, eternamente, ma all’opposto: tutto è in moto e irrimediabilmente cambia ordine sotto il dominio originario del Caos. L’arte segue le stesse non regole del mutamento perpetuo. Il Destrutturalismo che esalta lo sperimentalismo e i contenuti, lo sa bene. Ruotare attorno ad un dio-punto fissato da tradizioni fruste è errore comune, diffuso, replica di un modello gerarchico riprodotto in ogni ambiente e categoria, replica di un potere ramificato e statico come pietra dura inattaccabile. Ma l’inattaccabilità della roccia è un falso mito, ci sono infatti elementi che sanno e possono corroderla, complice il tempo, quest’entità che non esiste ma condiziona le nostre vite, questo Chronos che scandisce stupisce col moto, lo stesso tempo che il punto-dio vorrebbe dominare, senza di fatto riuscirci. Se ci fosse riuscito nel corso dei secoli nulla sarebbe cambiato, non ci sarebbe stata evoluzione, né rivoluzione culturale di sorta. Il Caos è l’origine di tutte le cose, un principio non risolutivo e non definitivo, un dio non dio, un dominatore mutevole e capriccioso che segna con la sua impronta il mondo ordinato poi dai burocrati e dagli scribacchini. Il disordine caotico è moto che nessun dio assiso in trono di nessuna religione o credenza mistica del mondo, potrà mai fermare, perché è più forte e potente di qualsiasi divinità accettata e ricoperta di onori e gioielli. Il dio è dogma intollerante, anti-arte, il caos tanto bistrattato dal comune buon senso, è moto tollerante, arte pura nel movimento delle possibilità mutevoli e delle categorie smontate. Il Destrutturalismo esalta il moto, la freschezza che combatte ogni radice dogmatica di pensiero per una mentalità aperta e non dipendente dal linguaggio che si manda a memoria per devota ostinazione e soggezione alla staticità e al buon senso (costruzione deleteria quanto artificiosa).
Ve lo dico, ve lo ripeto, ve lo torno a replicare. Se tu non lo saprai un asino sarai. Questo semplice indovinello fa riferimento appunto al velo della tradizione, il velo di Maya, di Iside, di Demetra, il velo che copre il capo delle donne cristiane e dell’islam, etc.; ma anche il velo di Prometeo, alla cui tradizione di emblema attinge anche la commedia di Aristofane (445-385 e.a.), Gli uccelli. Arthur Schopenhauer in Il mondo come volontà e rappresentazione: È Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente.
Nella mutevolezza del mondo, nella sua eterna incertezza, l’uomo anziché squarciare il velo, tesse altri veli e maschere attraverso le quali ordina, cataloga e si illude di dominare il caos dei fenomeni e dei mutamenti. Così un suo bisogno interiore di appoggio contro la mutevolezza, si traduce nel punto fisso confortante che aggiunge veli a veli, nella intoccabilità della poesia e dell’arte, nel collocare i poeti in un Parnaso elitario e salottiero, esaltandone l’importanza. Le illusioni crescono, rafforzano le loro radici nella politica che aiuta a tessere altri veli, altre apparenze. Il volto di Maya è coperto per bene, propagandato come autentico, diventa così realtà immutabile, punto da cui i “poeti laureati” non possono prescindere. A che sono servite allora le ansi di Prometeo? Egli disse: Ora mi tolgo il velo (vers. 1573, in gli Uccelli di Aristofane) e Pisetero: Caro Prometeo! (1574) Prometeo: Non chiamarmi per nome. Mi rovini, se Zeus mi vede qui. Ma se vuoi che ti racconti tutte le cose di lassù, prendi quest’ombrello e reggilo alto, che gli dei non mi possano vedere (1577-1580). Si tratta, qui, di una vera e propria palingenesi della letteratura greca, una nuova creazione, meglio sarebbe dire un nuovo inizio che, al termine della rappresentazione, vede il regno degli dei o dio (dominus, i) sostituito dal regno degli uomini-uccelli.
La storia ha inizio con due uomini… (continua su Destrutturalismo n. 1, Luglio 2022).
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti