La poesia intoccabile dei privilegiati

La poesia intoccabile dei privilegiati

La poesia intoccabile dei privilegiati

Di Angelo Giubileo & Mary Blindflowers©

La poesia intoccabile dei privilegiati

No unauthorised access, credit Mary Blindflowers©

 

Oggigiorno, molti fisici hanno preso a dire e scrivere che la matematica sia stata ed è, così come sarebbe in effetti, “il linguaggio degli dei”. Questa proposizione normalmente oltrepassa e contrasta il comune buon senso, ma ha un’assoluta valenza di significato. In generale, la matematica è disciplina che comprende l’aritmetica, la geometria e l’algebra. La storia della matematica è progredita sin dall’inizio, e tuttora, ampliando con il metodo di ragionamento logico-deduttivo il campo delle applicazioni pratiche, e dunque in stretto legame con la fisica.

All’inizio, più propriamente, sembra sia stata l’aritmetica – che ha a che fare essenzialmente con i numeri – a fornire risposte di carattere pratico, e quindi l’algebra e la geometria; ma, non è affatto escluso che un ragionamento algebrico o geometrico abbia preceduto la dimostrazione di un ragionamento più semplice e immediato di tipo aritmetico. Di guisa che numerose sono le testimonianze raccolte che concernono parte dell’attività già esercitate in Egitto, Mesopotamia e Grecia arcaica anche risalenti a oltre il 3.500 e.a.

Scrive Dantzig: Quella che noi oggi chiamiamo aritmetica era per i Greci la logistica e nel medioevo fu detta algoritmo. Nel 1931, parzialmente coevo di Dantzig, un ben più noto matematico austriaco, dal nome di Kurt Godel (1906-1978), ha dimostrato ciò che indichiamo come Teoremi di incompletezza, che da lui presero il nome, in base ai quali ogni sistema assiomatico consistente in grado di descrivere l’aritmetica dei numeri interi è dotato di proposizioni che non possono essere dimostrate né confutate sulla base degli assiomi di partenza. E cioè: il sistema logico-deduttivo dei numeri interi non soddisfa l’interrogativo che attiene alla veridicità delle proposizioni, ovvero i numeri medesimi, che necessariamente servono a implementarlo o, in un linguaggio che attiene più alla fisica, costruirlo. Da cui anche la tesi di ogni Costruzionismo. Al mondo dei fenomeni appartiene l’incoerente, il mutevole. Di questo mondo è parte anche la poesia, perché nascendo da esso cerca di sublimarlo. Affermare, come fanno purtroppo in molti ancora oggi, che la poesia sia verità e grandezza, significa non avere lucidità e confondere il mutevole con l’eterno. La teoria frusta della intoccabilità della poesia che si collocherebbe in una dimensione metafisica superiore, è propria del narcisismo degli stessi autori, che, mal si rassegnano ad essere semplici intermediari tra il transeunte e la volontà di superarlo attraverso metrica e ritmo. Di fatto quell’oltre che la poesia offre non è reale superamento dei fenomeni, non è una passaggiata tra gli dei, alla ricerca di questa tanto osannata verità che i tromboni esaltano, in un clima di autocompiacimento e intoccabilità tutta posata, bensì al contrario, una passeggiata sulla nuda terra fredda, uno sguardo disincantato sul mondo dei fenomeni e sull’uomo che, di quel pianeta fenomenico, fa parte, sia che sia un poeta sia che non lo sia. L’aura di rispettabilità divina che i poeti si attribuiscono al pari di dei greci, è solo una costruzione inutile e superata, la presunta grandezza della poesia che non può essere discussa, un bluff che sa di polvere. La polvere non permette all’arte di emergere, è il trionfo della mediocrità e della supponenza, il trionfo delle autocelebrazioni: “la poesia è bellezza e verità”, due frasi che oggi non significano più nulla e sottendono anche una certa silente innocuità, allontanando paurosamente l’universo poetico dal mondo necessario dei fenomeni.  Il concetto di bellezza nell’arte è stato ampiamente superato, la verità non esiste, perché l’uomo vive nel mondo dei fenomeni che è di per se stesso, falso e mutevole e nonostante affermi il contrario, non può in alcun modo staccarsene. L’umiliazione del mondo fenomenico a favore di una pretesa quanto trombonesca verità, è la ridicola sintesi di un narcisismo salottiero diffuso quanto deleterio per le arti. Il poeta sappia di non essere nulla, il suo nome cantato ai quattro venti, una burletta, perciò la sua tronfia ridicolaggine di essere portatore della verità, andrebbe un attimo ridimensionata. Chi pensa di avere la verità in tasca non è un poeta, solo un cantastorie di quinta categoria, perché il vero poeta sa di essere solo un intermediario tra l’oltre che può solo cercare di immaginare e il mondo dei fenomeni in cui, esattamente come tutti gli altri comuni mortali, è inevitabilmente immerso. Tutto questo anche in considerazione che la verità assoluta o ciò che è, in realtà non sia affatto o comunque non sia dato all’essere uomo nel mondo. Può sembrare un dato sconfortante questo, ma di fatto è la sintesi di una consapevolezza confermata  anche dalla filosofia, oltre che dalla scienza. Qualcuno ha mai visto la verità in viso? Ci ha parlato per poter dire di conoscerla? E allora perché attribuire ai poeti così tanta importanza? Perché dovrebbero essere i portatori di una verità che non hanno mai veduto nella realtà? Per appagare la loro sete narcisistica? Perché si sentono migliori degli altri? Su quali basi reali poggia questa loro convinzione?

Il concetto di “verità”, così come comunemente è concepito, è cosa ben diversa dall’antico concetto dei greci, i quali usavano il termine a-letheia che può tradursi come trarre dalla dimenticanza, e di solito rappresentava quanto emerso nella narrazione di due o più persone e con riferimento all’esperienza vissuta da uno e così narrata all’altro. Heidegger individua esattamente il senso del passaggio compiuto dai romani in cui il termine “ver” indica viceversa certezza del fatto. Il termine verità così come lo intendono alcuni poeti oggi, ossia in diretta relazione con intoccabilità e certezza assoluta e fideistica, oggi non ha alcun senso né riferito alla poesia né alla filosofia né ad altre arti o scienze umane. Se si esclude il “fondamento” del numero stesso, la matematica rappresenta l’unica forma compatibile con il discorso attuale, presunto e piuttosto pretestuoso della verità. Ma Kurt Godel ha dimostrato da quasi un secolo che anche per la matematica non esiste verità accertabile.
Quindi di che si vantano i poeti laureati? Di quale verità sarebbero portatori? Di che si vantano i poeti che commentano in anonimato la critica destrutturalista alla loro intoccabile sicumera, dicendo la poesia è bellezza, è verità e che nessuno può osare toccarla, figuriamoci un signor Nessuno? Escano fuori dalle loro tane di pietra stantia, questi poeti accreditati e detentori della verità assoluta, mettano il capo fuori dalle caverne in cui sono restati rintanati, a differenza di tutti gli altri che molti millenni fa preferirono uscire allo scoperto,  e abbiano il coraggio di scrivere il loro nome, quel nome di cui tanto si vantano, il loro orgoglio, la loro corazza, l’nvulnerabilità della loro coscienza che legge e non confuta perché il loro dogma narcisistico non puà opporre un chiaro e scoperto ragionamento dialettico, alle argomentate logiche altrui. Scendano dall’Olimpo questi dei ma apponendo il loro gran nome sulla fronte dorata e incoronata di grande bellezza e verità fittizie per dirci che la filosofia sbaglia, che la matematica sbaglia, che loro soltanto hanno ragione e grandezza indiscutibili.

Godel e i suoi due ben noti Teoremi dell’indecidibilità (1931), Ernest Nagel e James R. Newmann commentano che il matematico creda che sia possibile “costruire” una prova della presunta e assoluta coerenza del ragionamento logico-deduttivo, che è proprio dell’aritmetica, ma non solo. E tuttavia, gli stessi due autori affermano anche che nessuno ha un’idea chiara del probabile aspetto di una (siffatta) prova finitistica.

Al punto che, da convinti assertori del destrutturalismo quale siamo, azzardiamo anche noi una breve considerazione: una prova finitistica sarebbe piuttosto qualcosa che attenga all’universo finito che occorre descrivere e prima di ogni altra cosa o pensiero sperimentare, dato che dovrebbe risultare incontestabile che tutto origini, viceversa induttivamente, dall’osservazione di ciò che è. E quindi: il ragionamento logico-deduttivo dell’aritmetica, così come oggi della matematica e del modo di fare filosofia e poesia ancora piuttosto comune, dovrebbe tutt’al più seguire; e non, viceversa, precedere. Così come, per errore, da circa 2.500 anni a oggi, comunemente accade. E a differenza, invece, di quanto l’uomo tramanda ormai da molti millenni.

Ma, ancora: ammesso che si possa sperimentare o perfino dedurre completamente ciò che è, non è tuttavia dato all’essere-uomo, in quanto tale, acquisire la certezza che quanto sperimentato o dedotto sia realmente. Per inciso, nel linguaggio più antico del sanscrito, il termine rta sta per “ciò che è giusto” o “verità” e deriva dalla radice r che indica “il moto verso una meta” e quindi “una distanza compresa tra due punti” (t); in senso ampio, la realtà intesa nel significato più remoto di possesso (ra). E quindi, in definitiva, resterebbe pur sempre aperta la possibilità che ciò che è sia o non sia. Ed è questo il significato più profondo della teoria dei classici dell’antichità, meglio nota come dottrina dell’epochè o della sospensione del giudizio, e per ogni effetto il limite fissato per l’uomo a ciò che: è (in effetti) praticabile.

Al termine della disamina, contenuta in La prova di Godel (1992), Nagel e Newmann concludono: È lecito pensare che la logica sia stata concepita, sin dall’inizio, in una relazione troppo esclusiva con la matematica, e che si sia così privata di una relazione altrettanto fruttuosa con il mondo fisico. In un mondo causale, i principi logici non concernono più la verità, ma l’azione: con 3000 lire compro un pacchetto di sigarette di una certa marca, con 3000 lire compro anche un pacchetto di sigarette di altra marca, ma non tutti e due. In altre parole, il principio A equivale a A & A della logica classica è dinamicamente falso (fare A non è la stessa cosa che fare A e fare A). E aggiungo di proposito: tale è il tempo presente in cui possiedo ancora le 3000 lire, altrettanto tale è il tempo presente in cui decidere se impiegarle per l’acquisto di un pacchetto di sigarette sempre tale è infine il tempo presente in cui scambio le 3000 lire per l’acquisto di uno dei due pacchetti.

Il tentativo da parte dei poeti di attribuirsi verità e bellezza intoccabili è come comprare pacchetti di prodotti con soldi falsi che però, apparendo di esser veri, consentono loro di fumare all’ombra di privilegi secolari che non vorrebbero rischiare di perdere.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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