L’arte e la poesia nella fossa degli dei

L'arte e la poesia nella fossa degli dei

L’arte e la poesia nella fossa degli dei

Di Mary Blindflowers©

Nuove fioriture, credit Mary Blindflowers©

L’arte si spiega o non si spiega?

L’arte come alchimia misteriosa riservata a pochi eletti, come mistero profondo che soltanto gli iniziati, ossia i poeti e gli artisti, possono riuscire a percepire fino in fondo; l’arte che non si spiega, non si commenta perché non andrebbe sporcata con la prosaicità del linguaggio, con l’impronta di un reale che non esisterebbe nemmeno; la poesia innocua come volo di uccello e le rose profumate usate non per comunicare simboli e per fare associazioni intelligenti e pungenti, ma soltanto per far rima; i versi elitari, riservati a chi ha tuffi al cuore e padroneggia un linguaggio melenso, una lingua misteriosa che soltanto i poeti, scelti, privilegiati, sono in grado di capire.

Stop! Fermi tutti.

I poeti non sono esseri privilegiati, sono esseri umani pieni di difetti, non sono affatto più sensibili, più buoni, più profondi degli altri, sono spesso rancidi, invidiosi, cattivi, permalosi, soprattutto se si osa contestare la loro arte, e sono pettegoli, malevoli, settari, anche spesso maleducati. L’arte non solo si spiega, perché tutto ciò che ha un significato e che esiste sulla Terra, può essere, anche se non del tutto, spiegato, ma viene vissuta nella realtà, che forse non esisterà pure per certi filosofeggiamenti con la testa per aria, ma per noi esseri umani esiste, perché esistono i privilegi, il classismo, l’ostracismo dei poveri, esiste la fame e la paura. L’arte contemporanea non può ignorare queste realtà per infilare il capo tra le stelle fini a se stesse. Non che stelle, rose e fiori non possano essere nominati, come pensano certi recensori bene informati e superficiali, ma devono essere usati con lo scopo di dire qualcosa di più di quello che si dice, qualcosa che vada oltre la rimetta. Certo, mi rendo conto che non tutti i recensori lo capiscono e appena leggono la parola fiore vanno in defibrillazione, bollando un testo come ordinario, senza neppure aver capito il contesto in cui quella parola viene inserita. Ma non occupiamoci di ristrettezze mentali, occupiamoci del mistero dell’arte.

Scrive Pierfranco Bruni: “La letteratura è il labirinto che si impossessa del silenzio e della morte. Il resto è fatto di dediche. La poesia è lacerazione sempre. Non spiegatemi una poesia. Non commentarla mai. La magia può essere spiegata?  Tutto il magico passa attraverso la poesia. Tutta la poesia passa attraverso l’alchimia”.

Non sono d’accordo per nulla.

Spezziamo invece la sacralità della poesia, che di fatto, non esiste, è una costruzione di certi poeti e di certi artisti che, per proteggersi da eventuali critiche (ma ben vengano invece), indossano elmetto e corazza e si imprimono sulla fronte il motto che, siccome la poesia è alchimia, magia, addirittura macerazione, non si spiega in alcun modo. Non sarà soltanto una scusa per non far capire che certe produzioni alla fine non significano nulla, al di là del colore e del bel verso?

Anche l’alchimia ha un significato, come vittoria e trionfo della vita dal nero profondo, come oro che illumina le menti e le fa progredire. Non è vero che l’alchimia non si spiega. Il mistero dell’arte non consiste nella sua intoccabilità, ma al contrario nei significati plurimi che essa emana, spesso anche in barba all’autore stesso che, dopo aver scritto, si accorge che la sua opera può essere interpretata e vissuta da diversi punti di vista, e può avere significati perfino insperati. Che poi nascano delle forzature critiche eccessive nello stupidario dei commenti, non toglie nulla alla magia dell’arte o a chi cerca di capirla. Capire l’arte non è un delitto di lesa maestà, è un atto d’amore, di condivisione, e come nell’amore resta sempre qualcosa di irrisolto, di misterioso. Chi vuole che l’arte non si spieghi bluffa, si chiude nel suo mondo elitario, che è nemico dell’arte stessa, perché la creazione artistica è soprattutto comunicazione.

Bruni riflette: “Il poeta si porta dentro la stregoneria della luna e il vuoto del mare osservato nell’oblò del nulla. Non spiegate una poesia. Non commentate una poesia. Non giustificate una poesia. L’anima e la sua metafisica non si raccontano. Ci si lascia penetrare. In silenzio. Il resto diventa teologia a spinta di benedizioni pagate a suon di contanti. È triste dover raccontare la letteratura poesia quando la poesia stessa è stregoneria e il poeta è uno sciamano. Perché triste? Perché il poeta percepisce ciò che gli altri non vedono. Perché il poeta intuisce ciò che gli altri studiano. Perché il poeta inventa la morte il mistero gli echi i vissuti e fa urlare di amplessi le capinere. Non confondete mai il poeta. Non create comparazioni. È il vero tragico libero che se ne fotte delle virgole, dei punti e virgola e anche dei punti. Il poeta è l’istrione indissolubile che vive per virtù non di spirito santo, ma di fuochi sacri agli dei e agli stregoni”.

“Non create comparazioni, non commentate, non spiegate”. Insomma mettetevi il bavaglio perché il poeta è sacro e “la metafisica non si racconta”. Questa concezione della poesia e della metafisica è superatissima, addirittura pre-kantiana. Kant infatti non solo commenta la metafisica, ma la critica perfino, considerandola scienza dei principi fondamentali della conoscenza e dividendola in metafisica dell’uso speculativo e metafisica dell’uso pratico. Il poeta che vive di fuochi sacri agli dei, il poeta che non va confuso, perché intuirebbe ciò che gli altri studiano, perché inventerebbe la morte, è una costruzione immaginaria.

La morte non è purtroppo, fino a prova contraria, un’invenzione dei poeti o dei filosofi a cui si sta dando veramente troppa importanza. Gonfiare il ruolo del poeta, assimilarlo agli dei, è operazione pericolosa, perché non viviamo nei tempi di Omero o nel Rinascimento, quando l’arte doveva celebrare gli eroi o la nobiltà, rendendoli migliori di quelli che erano in realtà. Viviamo in un’epoca in cui nessuno dovrebbe pensare di convivere con gli dei e di guardare dall’alto i comuni mortali, un tempo in cui i poeti, (altro che dei e Olimpo), si sporcano spesso le mani con la politica e le raccomandazioni, un secolo in cui viene chiamato poeta il primo scribacchino di partito che a malapena riesce ad aprire bocca con proprietà di linguaggio e che, ovviamente, essendo ufficialmente poeta, non può essere toccato. Il poeta e gli dei dunque? Ma dove vivono quelli che dicono che l’arte non si spiega, sulla luna? 

L’arte, quella vera, quella dei poeti che vivono sulla terra e non con le divinità olimpiche, non solo si spiega, ma spiega a sua volta, diffonde, comunica, offende il potere, lo mette in croce, lo denuda, lo insulta perfino, perché non viviamo nel Rinascimento, e un poeta o un artista oggi non dovrebbe avere un committente che gli ordina cosa deve scrivere o rappresentare a sua gloria imperitura. Non siamo forse in democrazia? (domanda che contiene una certa dose di ironia). Democrazia è libertà e la libertà non è vivere con gli dei e guardare con sufficienza il mondo dall’alto, ma sporcarsene le mani e raccontarlo.

Il meccanismo deve essere smontato, l’arte oggi si spiega eccome, il giocattolo va distrutto, la finzione svelata, il velo stracciato. Se dietro il velo c’è arte ecco che possiamo capirla e spiegarla, se non c’è nulla, ma solo un convegno ozioso di dei arroccati nei loro privilegi e di poeti spalleggiati da un’accolita di cavalier serventi, ecco che l’arte non si spiega, perché deve rimanere tutto com’è, perché i privilegiati non si criticano, non si toccano e i loro servi nemmeno.

Buttate giù dagli scranni la poesia che pretende di non essere spiegata, spezzate le sue ossa, gettatela impietosamente nella fossa.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comment (1)

  1. Angelo Giubileo

    Il termine arte risale per molti versi alla radice vedica -ar da cui il latino ars, artis e denota l’ardore (Calasso), direi piuttosto la linfa che connota la vita dell’essere, che “è”. E comunque rimane un mistero per l’uomo, ma non per questo ignoriamo di averla vissuta. I Greci intendevano l’essere come “gettato” ma in quanto emerso, in chiave moderna, dal “buco nero” del caos (Esiodo) o direi “fossa” in riferimento al termine usato in questo più che condivisibile articolo

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