Eros e irresistibilità della democrazia

Eros e irresistibilità della democrazia

Eros e irresistibilità della democrazia

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Eros e democrazia, credit Sandro Asebès©

 

Eros e democrazia di Marcella D’Abbiero, Edizioni Angelo Guerini & Associati, prima edizione 1998, è un libro che è stato più volte ristampato. In quarta di copertina è specificato che l’autrice insegna Filosofia della Storia alla Facoltà di Lettere dell’Università di Roma “La Sapienza”, ha dato alle stampe numerosi articoli e saggi, quindi le premesse sembrano buone.

Apriamo il libro. Lo stile non è assolutamente pesante, lo ammettiamo, tuttavia ciò che pesa è l’assoluta incapacità dell’autrice di andare oltre un riassuntino da Bignami. Si riduce al minimo infatti il pensiero di Tocqueville, Schopenhauer e Freud, che avrebbero analizzato “con spietato pessimismo le relazioni umane tipiche di uno scenario democratico”, offrendo tuttavia i modi e i luoghi di un collegamento tra democrazia e eros.

Si inizia con Tocqueville. Dopo averci sciorinato la sintesi della sintesi del discorso del filosofo sulla democrazia in America, tenta un approccio filologico per sostenere la tesi che siccome la democrazia sarebbe “irresistibile”, da questa irresistibilità deriverebbe una sorta di “eros”. Il titolo del libro infatti punta proprio ad un tentativo di collegamento tra eros e democrazia.

Purtroppo tale collegamento non è stato nel testo sviluppato in modo da far capire al lettore in cosa realmente e concretamente consista questa identificazione. In alcuni punti il tentativo di sostenere l’eroticità della democrazia è talmente traballante da apparire non solo forzato, ma quasi comico e filosoficamente assurdo, perché si afferma qualcosa che praticamente non si dimostra in alcun modo: “Tocqueville… parla del sentire poetico in tempi di democrazia e ci fa toccare con mano quanto questo assetto sociale possa essere erotico (p. 65) … Tocqueville riesce a intravedere che la democrazia può contenere un eros, anzi che solo essa lo contiene, dato che richiede, da parte di tutti, l’attenzione al “sentire” degli uomini e delle donne. Che essa si occupi del benessere e del progresso tecnologico, che veda gli individui tutti come animali bipedi, non impedisce affatto che in questo scenario disincantato si possa vedere il cielo” (p. 68).

Il collegamento rapido tra visione del cielo e l’attenzione al “sentire” degli altri negli ideali democratici fanno dedurre all’autrice che la democrazia sia erotica, che addirittura solo essa possa esserlo, dato che solo essa può contenere “l’eros”. La docente, senza affannarsi a spiegare cosa possa significare questa teoria e cosa intenda esattamente per eros della democrazia, poi procede in questo delirio, imperterrita e convinta di ciò che afferma.

Prova a dare la prima timida spiegazione: “Se egli (Tocqueville) nel seguito dell’opera analizza le difficoltà insite nella costruzione di questo nuovo orizzonte del vivere umano, lo fa proprio per sottolineare quanto sia pericoloso impiantare una democrazia senza curare il suo “eros”, cioè i suoi costumi” (p. 69).

Quindi, se abbiamo capito bene, per “eros” intende “costumi”. Sulla base di quali appoggi filologici riesca a sostenere una simile castroneria, noi francamente non lo sappiamo. Ammesso e non concesso che la prosa abbastanza sibillina dell’autrice sia perfettamente comprensibile da parte di chi si avventura a leggerla: in questo passaggio specifico, che cosa intende per “i suoi costumi”? Quelli dell’eros o quelli della democrazia? Vuole significare che la democrazia ha “abitudini”, “usi”, erotici? O si riferisce agli atteggiamenti, alle pratiche tipiche dell’eros, sua componente, a suo dire intima ed imprescindibile? A noi ad ogni buon fine pare una forzatura in entrambi i casi, poiché lo spirito di condivisione e di socializzazione dei bisogni dell’altro inducono a pensare a posture agapiche, più che erotiche nel contratto sociale, atteso che l’eros è una modalità di interazione con l’altro decisamente esclusivista e possessiva e niente affatto adusa alla condivisione ed alla donazione del sé.

Sostiene anche l’ineludibilità e la necessità vitale di questo ormai famigerato eros senza il quale la democrazia non potrebbe sussistere: “se non si riesce a far fluire l’eros nella democrazia, si rimane deboli, insicuri, chiusi nel proprio rifugio, e si diventa un facile ostaggio di qualche despota” (p.79).

In pratica l’illuminata Marcella ci sta dicendo che la causa del dispotismo è semplicemente l’incapacità di rendere erotica la democrazia! Ecco la ricettina del filosofo usa e getta: più erotismo meno dispotismo, e fa pure rima!

Ma l’eros, non è solo “costume”, è anche assenza di freddo nel cuore: “il freddo nel cuore, la mancanza di eros, è questo che dispone gli animi alla servitù” (p. 80). Diremmo che l’autrice qui prende pure le distanze da Aristotele il quale asseriva che “si nasce servi già nell’utero della propria madre”. Il servilismo è dunque, per questa pensatrice, un problema di frigidità cardiaca, diremmo quasi di vaginismo del muscolo pulsante! Chi l’avrebbe mai detto? Un genio!

E ancora: “Anche uomini piccoli dediti ai loro interessi quotidiani possono diventare grandi se solo si liberano dalla loro corazza individualistica e osano investire energia e affetti nel mondo, senza attendersi altra ricompensa che il piacere di contemplarla, con questa frase poetica, Tocqueville, mette a fuoco un punto essenziale di una erotica della democrazia: in tempi di uguaglianza, dove non ci sono più gerarchie, dove tutto è mobile e incerto, dove gli altri sono liberi di ascoltarmi, ma liberi anche di non farlo, nessuna ricompensa immediata è certa. Ma c’è una ricompensa ancora più importante: il piacere di esercitare la propria libertà, il piacere di investire gli affetti, di sperimentare la loro risonanza… vedremo come questa corrente si faccia largo anche nelle pagine del più pessimista dei filosofi: Arthur Schopenhauer”.

In poche parole, secondo l’autrice, l’erotismo è il piacere di contemplare la democrazia e di esercitare la libertà. Lo avrebbero detto Freud, Tocqueville e Schopenhauer.

Ma è davvero sicura di questa interpretazione?

Il termine eros deriva da erào, io desidero con bramosia, usato massicciamente nei classici in antinomia con l’idea della condivisione multipla; né pensiamo che Freud, Tocqueville o Schopenhauer, citati dall’autrice a sostegno della propria tesi, abbiano individuato nei classici il fondamento dell’accostamento del termine alla parola democrazia, i cui mali Platone individuava nella “Repubblica” proprio nel degenerare di un’idea condivisiva e partitiva: Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango, accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle? In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri. Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi. Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice. Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo .” Platone, La Repubblica, cap. VIII).

Abbiamo il forte sospetto che la D’Abbiero abbia scambiato fischi per fiaschi, oppure semplicemente abbia usato un escamotage per vendere più libri, infilandoci l’eros di mezzo senza alcuna giustificazione filologica o storico-filosofica adeguata.

Anche il mercato ha le sue esigenze.

Un libro da perdere.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/


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