Tommaso Campanella tra utopia e eresia

Tommaso Campanella tra utopia e eresia

Tommaso Campanella tra utopia e eresia

Di Pierfranco Bruni©

Prigionie riflessive, credit Mary Blindflowers©

 

Eresia e utopia vivono di complicità. Una metafisica oltre la filosofia in un viaggio in cui il linguaggio del sacro diventa un Dio che trasgredisce. Dio trasgredisce per amore e non per teologia. L’utopia degli eretici tocca la realtà e si veste di sogno. Ma in quel dire e in quel fare ci sono pezzi di verità che si rivelano come segreti. E gli eretici restano nella storia e segnano, comunque, il diario delle civiltà. Così per Tommaso Campanella (Stilo, 5 settembre 1568 – Parigi, 21 maggio 1639) di cui ricorrono i 450 anni della nascita.

Non è facile percorrere il viaggio degli eretici. Soprattutto, di quegli eretici il cui pensiero si pone, nonostante la diversità delle stagioni epocali, come motivo di meditazione sulla nostra contemporaneità. Ebbene Campanella costituisce una chiave di lettura, condivisibile o meno, attraverso la quale è possibile focalizzare la crisi non solo dei valori ma in modo particolare ci permette di confrontarci con quella caduta ideologica grazie alla quale l’uomo dovrebbe riemergere con una sua identità.

Da decenni lavoro e rifletto sul sole e sul Dio di Campanella, Il Campanella della sofferenza, del sacrificio, dell’ironia, dell’accettazione, dell’annunciazione, della profezia. Ma al di là di questo c’è un altro Campanella che forse andrebbe riletto alla luce di una impostazione filosofica e forse etica. Il Campanella della Città del Sole e che si ritrova in quell’Utopia alla quale Tommaso Moro ha dato voce e sulla quale ci sarebbero riflessioni da spendere proprio lungo il versante ideologico.

La Città del Sole non è un manifesto di sobrietà. Né l’Umanesimo della cultura vi può trovare tasselli per tentare una ridefinizione di un “uomo nuovo”. Tommaso Campanella scrisse questa sua opera quando si trovava rinchiuso nel carcere di Napoli e precisamente dal 1599 al 1626. C’è l’indicazione, in questa scritto di Campanella, di una società perfetta. L’utopia che, come in Tommaso Moro, al quale Campanella deve molto, raggiunge il paradiso.

Quando si parla di società perfetta, indubbiamente, si parla di utopie. E questa utopia di Campanella è una utopia pericolosa perché non lascia spazio ad alcun dialogo. Con La Città del Sole si è alla morte della tolleranza. Se è da considerarsi come un manifesto sicuramente il rischio è abbastanza forte. Anzi c’è la teorizzazione di un concetto di società assolutista con precise sottolineature per uno Stato assolutista.

D’altronde Tommaso Moro, al quale Campanella si ispira (non può essere diversamente), aveva già teorizzato nella città dell’utopia quella città del sole. Così in Tommaso Moro : “ In altre parole, io sono assolutamente convinto che nessuna equità nella distribuzione dei beni – e nell’organizzazione della vita umana – sia possibile senza l’abolizione del genere umano, ed anche la migliore, sarà inevitabilmente condannata a un’esistenza miserabile, faticosa, infelice. Io non dico che si possa eliminare del tutto la miseria, ma alleviarla in qualche modo è certamente possibile. Si potrebbe porre un limite al capitale o all’estensione della terra che ciascuno è autorizzato a possedere”.

Se La Città del Sole dovesse essere considerata come una dimensione profetica o come una profezia metaforizzata il discorso diventerebbe interessante e si arricchirebbe di altri significati sia di natura politica che storica.

Ma la realtà è un’altra cosa. La cultura dell’Umanesimo, comunque, non ha nulla a che fare né con il manifesto né con la profezia della Città del Sole di Campanella.

Non possiamo essere eredi di Campanella. Possiamo essere eredi invece di Gioachino da Fiore o di Bernardino Telesio o di Vico fino a toccare la linea Eliade – Zambrano. Non siamo gli eredi delle scienza e della magia. Siamo eredi invece, di una testimonianza spirituale, che ha radici profondamente religiose e che ha come riferimento in modo particolare una tradizione simbolica, mitica e sacrale. Il rapporto tra Tradizione e Mito non passa attraverso la scienza e la magia. Può esserci un raccordo tra questi elementi ma le radici sono ben altre.

Indubbiamente, è un’opera interessante. Soprattutto, se si pensa al contesto storico nella quale è nata. Ma è un’opera sulla quale non ci si può basare come riferimento per un processo culturale di identità. In altri termini credo che Campanella sia stato troppo sovrastimato, soprattutto, per La Città del Sole.

Un discorso a parte andrebbe fatto per Il senso delle cose e la magia. Ma anche in altri suoi scritti giovanili come Philosophia sensibus demonstrata. La parabola introduttiva di quel senso delle cose e della magia si può trovare in questa sottolineatura : “Io rispondo che tutto il mondo vive d’un comune senso, e di più ci è la sua mente, come in noi la nostra, e di più c’è il senso particolare a ciascheduna cosa diffusa del comune…”. Anche qui, comunque, la magia e la scienza interagiscono.

Siamo di fronte a un trattato scientifico che ha scopi diversi di quelli che si ritrovano in La Città del Sole, anche se si profila quel “tentativo” di collaborazione, sottolineato da Alexandre Cioranescu, tra “la ragione e la fede”. Ma in La città del Sole prevale abbondantemente la ragione. Così come in Tommaso Moro che diventa, alla fine, un dato meramente giustificativo.

In questo percorso campanellino ci sono contraddizioni di fondo. Ma questo ci interessa ben poco. Se nell’utopia regna l’intolleranza e la Tradizione è soltanto un passaggio (forse anche obbligato) che deve però permettere la stabilizzazione della ragione come fede è chiaro che sia come manifesto che come profezia è fuori da quella sensibilità di una cultura dell’Umanesimo, che pone al centro l’uomo con il suo mistero, con la sua fede e con la sua nostalgia. Nell’utopia non c’è nostalgia. Ad esso si preferisce quell’Erasmo da Rotterdam che fa l’elogio alla follia.

Campanella: “ chiaro che tutto il genere umano, non solo questo o quell’individuo, è tenuto a dedicarsi alle scienze. Infatti Dio creò l’uomo, affinché lo conoscesse, e conoscendolo lo amasse, e amandolo ne godesse; per questa ragione l’uomo è stato creato razionale e dotato di sensi. Invece l’uomo, se è vero che la ragione è fatta per le scienze, qualora non utilizzasse questo dono di Dio secondo il progetto divino, agirebbe contro l’ordine naturale di Dio – come suole notare Crisostomo – quasi non volesse usare i piedi per camminare”.

L’infanzia, la terra, la morte. Un intreccio che diventa un gioco nella tragedia del vivere. Ma è anche una riproposta di interpretazione. Un modello di coraggio per un personaggio che ha avuto coraggio. Nel discorso funebre del Priore di San Giacomo si legge: “Apparteneva alla famiglia dei più nobili da che furo gli uomini in terra. Dio mette il fiato in menti siffatte per mostrare una briciola della Sua potenza e del Suo intelletto e dona la qualitate così grande, sì e no, ogni trecento anni”.

Una testimonianza che non vuole essere soltanto un momento di celebrazione ma una indicazione che resta a segnare le civiltà, che ci hanno accompagnato da quel 21 maggio del 1639 quando Campanella improvvisamente si spense. Quel Dio si era assentato o forse era troppo presente. Si muore sempre nel momento necessario. Non esiste una morte inaspettata. La morte è sempre inaspettata e giunge nel momento giusto. Sempre!

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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