Il libro del sale è un piatto sciapo

Monica Truong il libro del sale

Il libro del sale è un piatto sciapo

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Il libro del sale, credit Lucio Pistis©

 

Il libro del sale di Monique Truong è pubblicato per l’Italia da Giunti nel 2007. Si tratta delle avventure, chiamiamole così, di un giovane cuoco vietnamita alle prese con due ricche e viziate signore americane che vivono a Parigi: les Mesdames.

L’autrice, nata a Saigon nel 1968, laureata in letteratura alla Yale University e in legge alla Columbia University, dopo aver esercitato, speriamo più brillantemente di quanto scriva, la professione di avvocato, si è dedicata alle belle lettere. La Truong ci tiene a dirci che “questo libro è stato scritto su due isole, in due paesi, tre stati e cinque città”, informazione di cui potevamo anche fare tranquillamente a meno, perché nulla aggiunge né toglie alla storia.

Inizia la lettura. Ci accorgiamo che la scrittrice impiega circa una cinquantina di pagine per dirci con un profluvio di parole inutili, ciò che si capisce fin dalla prima pagina, e cioè che il giovane cuoco, dopo aver lavorato per mare, si presenta alle mesdames per essere assunto.

Lo stile è scorrevole, bisogna dirlo, purtroppo però, veleggia sulla superficie, senza toccare mai contenuti più profondi di una descrizione che, a tratti, punta, senza convincere del tutto e senza mai riuscirci, al divertimento del lettore che finisce invece con l’annoiarsi.

La descrizione dei personaggi è particolareggiata, tutta quasi completamente giocata sull’aspetto fisico che però a tratti, scivola nel banale ridondante. Le perifrasi che usa servono ad allungare il brodo, ma di fatto non aggiungono nulla alla caratterizzazione dei protagonisti. Scrivere “imponente monumento al dio dell’olfatto” anziché semplicemente naso, attiene alla volontà di creare artificialmente uno stile che di fatto non riesce ad essere naturalmente ricercato, ma unto come un piatto pesante, specie quando le espressioni si accumulano alle espressioni, eliminando la casta meraviglia della sintesi che l’autrice non sembra affatto conoscere: “Non sono capace di reagire nemmeno a una parola del francese stridulo di questa donna, perché la peluria nera che ha sul labbro superiore e si contrae appena appena mentre parla, m’incanta troppo. Mi sa che i suoi baffi sarebbero l’invidia di tutti e tre miei fratelli cui era concesso di definirli così soltanto dopo settimane di crescita selvaggia. L’arco peloso, come un terzo sopracciglio franato in basso, è sormontato da un imponente monumento al dio dell’olfatto. Sporgendo dalla fronte, onda anomala che monta su fino alle orbite, più che un naso è una pala d’altare che separa il lato sinistro del viso dal destro. Sfuggenti verso l’alto i tratti del suo viso scompaiono sotto uno zucchetto di capelli scuri, che assorbono la luce tardo pomeridiana. L’aggressività dell’insieme mi sconvolge”.

L’osservatore è sconvolto da un grosso naso e da un po’ di peluria sul labbro superiore? Siamo felici di saperlo, ma al fin della ripresa? Che ci importa? Che valenza ha questa descrizione nell’approfondimento interiore della donna che ci presenta? Nessuna. A parte che ha un naso enorme, è scura di capelli, ed è pelosa, dopo un fiume di parole, continuiamo a non sapere nulla.

Che bisogno c’è di dire che il naso è come una pala d’altare, dopo che si è usata l’espressione “imponente monumento”? Non erano necessarie davvero ulteriori specifiche per dirci che la signora aveva un grosso naso, particolare poi del tutto irrilevante nell’economia generale della vicenda.

La descrizione degli occhi cerca maldestramente di raggiungere un certo lirismo poetico, scomodando farfalle in autunno e retini accalappia-insetti conditi da sventolii, cerchi e faville: “(gli occhi) vivono di vita propria. Le iridi, inseguendo la luce che indora questa città all’inizio dell’autunno, sono due retini calati adagio su un nugolo di farfalle. Carpita la luce i cerchi si accendono, fervono di faville, svolazzi e sventolii di tante ali variopinte”.

E che dire delle inutili notazioni sui cani snob delle due signore, su quello che mangiano, sul loro pelo, sui loro mugolii, sulla forma delle loro orecchie?

Un libro che poteva essere scritto in cento pagine tedia il lettore per ben 323 pagine in un’edizione troppo costosa per essere definita economica, prezzo di copertina euro 14,50, per una brossura che tende infelicemente allo sbiadimento non appena la si tocca e carta economica, al risparmio, come sanno fare oggi i grossi gruppi editoriali a catena di montaggio. Pessima qualità editoriale, prezzo alto, contenuto brodo sciapo per lettori poco esigenti.

I dialoghi sono all’acqua di rose. La trama piuttosto infantile. Lo stile barocco che non arriva mai direttamente al punto ma si serve di giri piuttosto concitati e confusi di parole, per descrivere ciò che potrebbe essere reso semplicemente e con più efficacia, rende l’insieme caotico, tanto che il lettore alla fine si stanca e non vede l’ora che il libro finisca.

Dopo la lettura il nulla, la superficie tinta di caramello e burro che non va dentro le fibre.

Un piatto decisamente poco saporito.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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