Il pesce non può stare al posto della luna

Il pesce non può stare al posto della luna

Il pesce non può stare al posto della luna

Di Mary Blindflowers©

Classico, credit Mary Blindflowers©

 

Un quadro di Chagall in cui un pesce compare al posto della luna, una commentatrice mediatica un po’ confusa che chiede se quel dipinto è di Picasso, confondendo la carica aggressivo- destabilizzante del pittore spagnolo con l’oniroide romanticismo del pittore francese di origine russa. E poi l’ulteriore commento che forse quel dipinto sarebbe migliore se al posto del pesce ci fosse una luna e non un pesce perché così si fa, il pesce infatti disturba perché sta in alto, esattamente dove si dovrebbe collocare la luna, ossia nel cielo notturno. Ogni cosa al suo posto esatto e preciso, questo fan tutti, la luna al posto della luna, il sole al posto del sole, la coperta sul letto, il gatto sul davanzale della finestra a guardare gli uccelli, le scarpe sotto il letto, il lampadario appeso al soffitto. Il buon senso mediocre ha delle regole comuni per cui ogni oggetto specifico deve stare dove siamo abituati a farlo stare e non da altre parti.

Ma l’arte non è abitudine, è l’oltre che diventa vero attraverso il sogno, è il falso che significa e comunica, che ci dà la sensazione del pulsare della vita attraverso un simbolo, una metafora, un’analogia semantica o figurativa, una collocazione del mondo che non è affatto quella ordinaria, richiesta dalle giornate qualsiasi di persone qualsiasi che vivono il loro tempo qualsiasi. L’arte è follia. Proviamo a collocare un pesce al posto della luna, il gatto su un lampadario, il lampadario sulla luna, un uccello fuori dalla gabbia sulla testa del gatto, il davanzale sul camino, la coperta nel cielo trapunto appunto di stelle disegnate, il sole al posto del tappeto o dentro un piatto, e l’arte prende vita, ma solo per chi sa andare oltre la prosaicità del vivere comune, oltre la logica meschina e poco geniale del vedo per abitudine costante.

L’arte nasce dall’irriverenza di uno spostamento totale delle prospettive per dirci qualcosa da decifrare, per trasmetterci una magia, una profonda riflessione, una risata anche, una beffarda visione delle cose. Certo, non sempre la comunicazione avviene attraverso il registro dell’irriverenza. L’arte classica, per esempio, rispetta proporzione, realtà, armonia, bellezza estetica etc. Ma non viviamo nell’antica Grecia, viviamo nel traffico, nella globalizzazione, nell’incomunicabilità, nel massiccio bombardamento di immagini mediatiche che ci martellano senza tregua, lasciandoci attoniti, storditi, incapaci di pensare. Viviamo nel caos. L’arte non solo figurativa, ma anche letteraria e poetica, si è evoluta, ha conosciuto rivoluzioni, azzardi, prospettive sfasate, certezze distrutte, inimmaginabili contorsioni, destrutturazioni, nuove impressioni, nuovi ritmi, collocazioni differenti dell’universo ontologico, dell’essenza, della simbologia e dell’anima. Chi critica una poesia o un dipinto negativamente sulla base della rottura di un concetto di banale collocazione abituale dell’oggetto, di arte capisce poco se non nulla e si arrocca come un mulo su posizioni di conformismo becero e ultraconservatore che non giovano molto al progresso della creatività.

Chi critica Chagall perché mette un pesce al posto della luna, confondendolo pure con un artista dallo stile pittorico completamente differente e molto più aggressivo e sanguigno, tra l’altro, non solo crea ilarità, ma dimostra di non capire nulla della follia meravigliosa e trascinante dell’arte, dell’ipnosi che induce e che consente di rompere l’inanità dell’inerzia comune.

Il protagonismo attuale che vede ciascuno, nei social, giudice e censore, spesso e volentieri, senza basi culturali da cui partire, induce ad una sorta di appiattimento cerebrale, per cui si discetta sul nulla, si perde di vista il punto principale di ogni discussione, si affrontano argomenti sempre più banali per creare un bacino di consenso ampio che includa ogni genere di discorso ridanciano e da bar, riducendo tutto a livello di barzelletta di facile consumo.

I social sono in fondo un po’ lo specchio della società, così poco colta, così poco attenta, disturbata costantemente dalla profondità e dalla costruzione di un dialogo che vada oltre una visione superficiale dell’oggetto, oltre il suo significato immediato e volgare.

Ls superficie ha un fascino magnetico, è poco impegnativa, non richiede sforzo, né fatica gnoseologica ma può essere pericolosa, perché induce a parlare senza prima aver riflettuto o studiato abbastanza, intervenendo a caso, confondendo fischi per fiaschi e cerini con girini, nella convinzione che tanto, basti dire qualcosa di apparentemente simpatico per farsi amare da tutti e concludere con il classico vissero felici e contenti.

Ma davvero chi non pensa e vuole la luna al posto della luna, vive poi così felice, così contento?

Siamo sicuri?

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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