La perfezione artistica che annulla la perfezione

La perfezione artistica che annulla la perfezione

La perfezione artistica che annulla la perfezione

Di Mary Blindflowers©

Mondo bara, mixed media on paper (sketchbook) by Mary Blindflowers©

L’austero ritrovato, relitto naufragato dalla storia del passato, l’oggetto che parla e racconta ciò che è stato. In questo consiste la passione antiquaria, nel recupero, nell’affezione per curiosità non comuni che comunicano a loro modo messaggi e si stagliano contro l’aria molle per definire il concetto della memoria. L’immemore non comprende il mondo, lo vive facendo in modo che gli scivoli addosso; l’immemore non prende in considerazione il passato, ma vive in un presente sfilacciato, oscuro, un presente in cui molte cose non hanno senso proprio perché non si ricorda ciò che è stato. Ma è più facile fare la fila per acquistare l’ultimo modello di cellulare che recuperare la propria storia, perché ricordare e studiare è più faticoso, presuppone concentrazione e impegno. L’immemore non ama le curiosità antiche, le considera inutili, superflue, in un mondo tecnologicamente avanzato, non fa la fila per vedere un’opera d’arte in un museo, non ha tempo, preferisce digitare compulsivamente sui tasti di un computer per postare immagini rubate dalla rete, che stanno lì, pronte per lui, tutto già perfettamente cucinato per lo stereotipato medio infarcito di comune buon senso. La bellezza però è soprattutto fatica, e per bellezza non si intende quella esteriore delle riviste patinate a grande tiratura, dove donne lucidate e finte posano truccate, ma un modo di conoscere che vada oltre quello che il mercato propone, oltre il libro in vetrina che vorrebbero venderti per forza, oltre l’oggetto commerciale che si trova in milioni di esemplari tutti perfettamente uguali e simmetrici, oltre la sintesi da Bignami di certi “scrittori” contemporanei. La bellezza, intesa come superamento dell’apparenza convenzionale, non è perfetta, ma il contrario. Ha nei, difetti, screpolature, cicatrici, incisioni, segni del tempo, esattamente come una persona. Gli oggetti antichi sono imperfetti, come i dipinti fatti a mano e non elaborati al computer che va tanto di moda oggi. Una tela fatta completamente a mano, ha dentro il respiro dell’artista, le vibrazioni delle pennellate che sono e devono essere imperfette, con segni, frenate, sfumature e passione del colore. Un disegno fatto al computer ha il colore distribuito perfettamente sulla superficie, non ha sbavature, è perfetto, a volte sorprendente, ma freddo. La sua comunicazione è interrotta dalla macchina che crea come un ostacolo, un’opposizione all’imperfetto. Il messaggio è come filtrato, artefatto. Dov’è il segno del pennello o delle mani dell’artista? Dov’è il neo, la cicatrice, la screpolata essenza? Sparito tutto. Così il paradosso emette il suo primo vagito di fiera affamata e crudele. La perfezione annulla la perfezione, perché un’opera d’arte è perfetta quando è imperfetta e se è perfetta paradossalmente non è più perfetta perché non è più arte. Un concetto semplice al di là dell’apparente groviglio di senso.

Una porcellana dipinta a mano ha sbavature, linee a volte non perfettamente lineari, cerchi tracciati con una certa imprecisione. L’arte non è matematica, infatti. La precisione non è propria delle produzioni artistiche, sebbene l’arte possa includere figure geometriche più o meno perfettamente disegnate per esprimere un concetto base.

Dipingere un punto al centro di una tela dicendo che quel punto esprime un’idea, per esempio l’idea di dio, è l’esasperazione ridicola del concetto, la riduzione dell’arte a una questione di filosofia di marketing. Per quanto ci si possa sforzare nell’osservazione di un punto, esso rimane un punto se non c’è niente attorno e il nulla, che è concetto filosofico, potrebbe esasperarsi nella tela bianca o in un barattolo vuoto in cui l’osservatore imparerebbe l’arte, rimandando sofisticamente all’essenza e all’ontologia. Ma stiamo parlando di arte o di speculazioni verbali di stampo pseudo-filosofico applicate alle esigenze del marketing? Stiamo parlando di memoria, di rievocazione, di passione pura o di speculazioni finanziarie di gente che può permettersi di pagarsi le esposizioni anche se disegna solo un punto perfetto al centro di una tela bianca o propone addirittura la stessa tela o pagina (nel caso di certi scrittori in voga), bianca?

A voi la risposta. Io preferisco il regno dell’imperfezione. Prediligo le foto non ritoccate ma geniali, i dipinti che deformano le prospettive senza esibirsi in un solo punto, le pagine scritte, gli oggetti storti, le decorazioni sbavate, perfino i vetri sbreccati e vissuti, alla freddezza meccanica e senz’anima della perfezione o allo sbandierato possente concetto del nulla su una deprimente tela bianca o su un foglio candido e immacolato rubato a un albero morto per nulla.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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