Massimo Recalcati e il segreto del figlio

Massimo Recalcati e il segreto del figlio

Massimo Recalcati e il segreto del figlio

Di Annamaria Bortolan©

Classiche note, credit Mary Blindflowers©

 

Scrive bene Recalcati. Puntuale e preciso, propone un pensiero forte che non manca di catturare i lettori. Il segreto del figlio rappresenta il compimento e il culmine di un’ideale trilogia che comprende Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, del 2013, e Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno pubblicato nel 2015. In una società in cui “il figlio assomiglia sempre più a un principe al quale la famiglia offre i suoi innumerevoli servizi”e in quella ricerca di dialogo che non raramente sfocia in una retorica pedagogica senza costrutto, l’autore problematizza questo atteggiamento mostrando l’esistenza di un altro itinerario concretamente percorribile. “Il figlio non è forse un mistero che resiste a ogni sforzo di interpretazione? Un figlio non è precisamente un punto di differenza, di resistenza, di insorgenza incontenibile della vita? E non è questa la sua bellezza fulgida e insieme minacciosa?” chiede l’autore e così facendo ci interpella tutti, genitori e figli. Quante volte i genitori sono tentati di modellare la vita dei loro figli? Vorrebbero che seguissero le loro orme, che riuscissero laddove loro hanno fallito, in qualche caso li vorrebbero addirittura sempre accanto. Ma non è annullando la differenza simbolica tra le generazioni, non è vivendo la vicinanza con i nostri ragazzi come un rapporto esclusivamente orizzontale e paritario che li aiutiamo a crescere. La loro vita oltrepassa la nostra. Il dono più grande che il padre concede al figlio nella famosa parabola del figliol prodigo contenuta nel Vangelo di Luca è il dono della libertà che scaturisce dall’accettazione dell’indecifrabilità del desiderio del figlio. E dall’amore. La genitorialità appare così come un’esperienza di decentramento di sé e di dono. D’altro canto “essere figlio – essere figlio giusto – significa farsi erede di quella provenienza dall’Altro che non abbiamo deciso; riconquistarla, farla nostra” e “il compito del figlio è (…) assumere singolarmente quello che i padri gli hanno lasciato. (…) Il figlio giusto è un erede ma è anche, sempre, un eretico perché ogni vero erede non si limita a interpretare il passato come pura ripetizione di ciò che è già stato, ma riprende a suo modo il passato conferendogli un senso nuovo”.

La storia narrata nel Vangelo di Luca è nota: il figlio minore pretende dal padre la sua parte di eredità mentre quest’ultimo è ancora in vita. Dopo averla ricevuta, la dissipa interamente in un’esistenza fatta di divertimenti, senza costruire nulla di stabile, senza un progetto concreto per il suo futuro. Trovandosi nell’indigenza e costretto a sorvegliare un branco di maiali per guadagnarsi il pane, ritrova suo padre che lo accoglie a braccia aperte, organizzando anche un banchetto per festeggiare il ritorno del ragazzo, mentre il primogenito, che era sempre stato fedele a suo padre, non comprende e non accetta quelle manifestazioni di un affetto, secondo lui, immeritato.

Il confronto fra Edipo e il figlio ritrovato della parabola evangelica supporta e approfondisce il senso profondo delle affermazioni di Recalcati: Edipo è preda di un destino ineluttabile mentre il figliolo del Vangelo di Luca appare come il modello di chi, pur sbagliando, è in grado di distinguersi dalle sue origini. Edipo è il figlio nato nonostante tutto, nonostante il divieto divino dato dall’oracolo a Laio, perché se avesse avuto un figlio da Giocasta sarebbe stato condannato a morire per mano di quello stesso ragazzo. Per questo presagio di sventura il bimbo viene esposto appena nato su un monte, dentro un vaso di argilla. Solo dopo molti anni, l’angosciato re di Tebe decide di intraprendere un viaggio a Delfi per interpellare l’oracolo e scoprire se suo figlio sia o meno sopravvissuto. Trovato e accudito da un pastore che lo conduce dai sovrani di Corinto, il piccolo Edipo cresce e diviene un re, saggio e sciocco nello stesso tempo. Saputo dall’oracolo che era stato destinato a uccidere il padre e sposare sua madre, decide di fuggire da Corinto per evitare che si compia questa atroce profezia, nella convinzione di essere figlio dei sovrani di quella città. Arrivato a Tebe, si imbatte in un cocchio su cui era seduto Laio e, dopo una controversia con il suo auriga, travolge il suo vero padre uccidendolo. Ottenuta in moglie Giocasta (ossia sua madre) dopo aver risolto gli enigmi della sfinge, non si rende conto, ed effettivamente non può sapere, di commettere un incesto. Sarà solo l’indovino Tiresia a svelargli la vera identità di sua moglie e, di conseguenza, la sua sorte sciagurata. Giocasta morirà suicida e Edipo si accecherà con la spilla di lei.

Edipo è colui che rivendica un credito, è un uomo che percepisce se stesso come un puro di fronte a una impurità che pensa non gli appartenga. Non è certamente un caso se ogni nevrosi si snoda proprio attraverso questo iter: la percezione della prevalenza di un credito sul debito verso l’Altro. Ma Edipo vive così il suo ruolo di figlio forse anche a causa del fatto che suo padre ha saputo trasmettergli solo una promessa di morte. Laio si contrappone al figlio e, nella tragedia, gli opposti che si contrappongono non possono ottenere perdono. Al contrario, nella parabola evangelica l’applicazione automatica della Legge viene sospesa da un incontro imprevisto, l’abbraccio tra il padre e il figlio. Non vi è spazio per la punizione e all’esecuzione di un destino crudelmente e rigidamente prefissato, prevale la festa del ritorno a casa. Il figliol prodigo in realtà somiglia a Edipo: come lui, è desideroso di crearsi un nome al di fuori della sua famiglia di origine. Non accetta e non gli basta l’identità che altre persone hanno stabilito per lui. Sono entrambi due figure dell’erranza per le quali il vagabondaggio, l’assenza di una meta, la solitudine appaiono essere dei tratti fondamentali. L’attualità della parabola evangelica sta anche in quella domanda iniziale, così provocatoria eppure così vicina alla nostra contemporaneità: «Dammi la parte del patrimonio che mi spetta». Non il tema angosciante della ricerca della verità ma quello del consumo, dell’appropriazione dei beni, della ricchezza. E non è tanto il padre ad avanzare delle richieste al figlio quanto il contrario. La domanda del figlio è priva di misura e di limiti proprio in quanto fondata sul misconoscimento del debito. Quel “Dammi!” pronunciato con determinazione è un tratto dell’adolescenza contemporanea, di un’adolescenza che fatica a trovare un suo punto di termine, espandendosi ben oltre la maggiore età, ben al di là dei limiti che la società proporrebbe. E il viaggio del figliol prodigo si consuma e si sviluppa all’insegna della pura dissipazione. Il bimbo diventa uomo attraverso l’errare e il godere. Il dialogo da possibile si fa lontano. Ogni esperienza di genitorialità, sia maschile che femminile, è in realtà un’esperienza di decentramento, mai di appropriazione. Il diritto alla ribellione è congeniale al figlio perché la sua famiglia non deve e non può esaurire l’orizzonte del suo mondo. Perché se questo accade (e quante volte capita, quante volte incontriamo nella quotidianità figli infelici, perché troppo legati alla mamma, troppo dipendenti dal papà, ancorati a un sistema di divieti familiari che ostacolano la creatività e l’inverarsi di quella unicità di cui tutti i figli sono portatori!) il prezzo da pagare è molto alto e va da una vita limitata e insoddisfacente al manifestarsi di una nevrosi. Se però i figli interpretano la Legge esclusivamente in un senso limitante e coercitivo e d’altro canto i padri pensano di incarnare esclusivamente l’aspetto punitivo della norma, allora l’opposizione si manifesta in tuttta la sua brutalità, senza la possibilità di una tregua, di un ritorno alla tenerezza.

Queste le riflessioni che scaturiscono a caldo dopo la lettura del saggio di Recalcati. Ma non solo. Se è vero che non deve essere la famiglia di origine a tracciare i confini del mondo del proprio erede, è altrettanto vero che ogni genitore deve essere sempre pronto ad accogliere il ritorno del figlio a braccia aperte. “Il tragitto del figlio giusto non è forse sempre – seppur in forme diversissime – un ritorno alla propria matrice, alla propria origine?”

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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