Architettura modulate, Egloghe, Virgilio

Architettura modulate, Egloghe, Virgilio

Classici, credit Mary Blindflowers©

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Mariano Grossi©

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Architettura modulare Egloga III, Virgilio

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Vi è ancora di queste imitazioni una terza differenza, quella del come si possono imitare i singoli oggetti. Ed infatti è possibile imitare con gli stessi materiali gli stessi oggetti, a volte narrando, sia diventando un altro, come fa Omero, sia restando se stesso senza mutare, altre volte in modo che gli autori imitano persone che tutte agiscono e operano.” Sull’abbrivio di queste parole che Aristotele dedica ad Omero nella ”Poetica” si deduce che la composizione dell’Iliade e dell’Odissea è fatta di narrazione e di mimesi; il compositore ha a disposizione esametri epici ed esametri drammatici; gli uni servono per la narrazione, gli altri per gli interventi dei personaggi; le linee della composizione sono tutte intere ed omogenee: linee esametriche epiche e linee esametriche drammatiche; poi, per avviare alcuni interventi, il poeta ricorre ad un tipo di esametro particolare, definito ”prodrammatico” così spiegato da Carlo Ferdinando Russo nello splendido articolo “Iliade: matematica e libri d’autore” in “Belfagor” XXX, 1975, 497-504“L’esametro epico che precede esametri drammatici è prodrammatico quando, per tutta la linea e mediante un semplice verbo di “dire” di modo finito, svolge la funzione di avviare l’intervento. L’esametro epico-prodrammatico, sintatticamente sufficiente, ammette un solo soggetto, il parlante, e un solo verbo di modo finito, il verbo di “dire”. Ammette un altro verbo di modo finito, purché questo sia della sfera del ”dire”ovvero della sfera psicologico-prosopica.”

In un canto omerico gli insiemi dei materiali da costruzione (esametri epici, prodrammatici e drammatici) sono modulari, sono divisibili ognuno per una unità modulare che è risultata essere il 3; inoltre, tali materiali sono in rapporto reciproco; ad esempio nel canto I l’insieme degli esametri drammatici (372) è in rapporto geometrico con l’insieme degli esametri epici (207) e prodrammatici (24); nel canto II l’insieme degli esametri epici (588) è in rapporto aritmetico 2:1 con l’insieme degli esametri drammatici (282) e prodrammatici (12).

Questo per far capire che l’insieme degli esametri prodrammatici è un manipolo versatile che può compensare ora il materiale epico, ora il materiale drammatico.

Virgilio, che nelle “Bucoliche” segue la metodologia del maestro greco, praticando con frequenza la pista modulare del 3 nonché la scelta delle linee esametriche omogenee ed intere, come già descritto su questo sito, nell’Ecloga VIII riserva una parte di esametri al narratore, un’altra ai due pastori protagonisti di un amebeo, un canto alternato, e le quantità degli esametri drammatici riservati alle strofi dei due pastori (72) si rivelano in rapporto aritmetico con gli esametri narrativi riservati al poeta e i versus intercalares che rappresentano il ritornello dei canti dei due pastori (18+18=36); così facendo, il poeta ha ben chiaro il criterio della versatilità compensativa che Omero riservava ai suoi versi formulari, quelli battezzati da Carlo Ferdinando Russo come prodrammatici, ed è sintomatico che tale bilanciamento venga svolto proprio dai ritornelli che rappresentano la formularità per antonomasia; Virgilio mutua anche nella Ecloga III il criterio della duttilità di alcuni materiali da costruzione. Avremo modo di vedere come e perché.

Nella struttura dell’Ecloga III sono ravvisabili dei quadri ovvero momenti storici di misura sempre modulare; i principi matematici consentono il riconoscimento di tali momenti storici e dei loro confini; ma poiché i “caselli” coincidono con notabili svolte stilistiche, anche altri interpreti li hanno riconosciuti. Leggiamo, a tal proposito, che cosa scrive dell’Ecloga III Adelmo Barigazzi in “Per l’interpretazione dell’ Id. 5 di Teocrito e dell’ Ecl. 3 di Virgilio” ne “L’antiquité classique”, Tome 44, fasc. 1, 1975. pp. 54-78: “L’esame attento di un’imitazione aiuta a capire il modello, non solo nella riproduzione materiale dei motivi, ma anche nel coglierne il vero spirito. Virgilio ha cercato di riprodurre nell’ecloga terza il genere  bucoliastico servendosi dell’Idillio 5 di Teocrito. C’è una riduzione generale nell’estensione (111 versi contro 150), ma anche l’ecloga consta di due parti, una preparatoria alla gara di canto (1-59 contro 1-79) e lo svolgimento della gara con la conclusione (60-111 contro 80-150). La prima parte contiene principalmente, come in Teocrito, uno scambio d’invettive, ma Virgilio si comporta con molta libertà. Egli sente il bisogno di presentare subito il gregge e il suo padrone (1-6),”……… “II tema dei furti, svolto ampiamente da Teocrito all’inizio (1-19), non manca in Virgilio, ma è notevolmente variato (17-27): il tentativo di rubare un capro è la conseguenza di un impegno violato in una competizione”-

In primo luogo va notato come anche in Teocrito l’estensione dell’Idillio 5 si presenti modulare (150). Anche Barigazzi evidenziava le due parti dell’ecloga, la prima preparatoria alla sfida canora tra i due contendenti Menalca e Dameta; tale sezione, però, non può esser considerata chiusa al verso 59, giacché l’intervento del giudice Palemone costituisce proprio l’avvio di una seconda fase; dunque, la prima parte del pezzo virgiliano si chiude al verso 54, confine dei momenti storici, quelli che Russo definisce quadri; e vedremo come siano tutti quadri interi, di dimensioni modulari ed in rapporto proporzionale e sigillante fra loro. Dal verso 55, con l’intervento di Palemone, si origina una fase fisiognomicamente differente, composta com’è di un quadro frazionato (modulo 5+4) riservato all’intervento del giudice di gara, e di una serie binaria di interventi alterni assegnati a turno ai due cantanti; qui Virgilio, nell’architettura del pezzo, adotta un altro tipo di didassi della poietica modulare, quella del frazionamento, poiché ogni mattone compositivo raggiunge la modularità nel suo complesso, nella sua sommatoria; val la pena citare nuovamente Carlo Ferdinando Russo per quanto ha tratto col concetto di quadro frazionato: “Nel canto primo dell’Iliade, al verso 308 comincia l’episodio della spedizione navale a Crisa per poter riconciliare Apollo; contemporaneamente l’esercito si purifica e offre ecatombi al Dio (A 308-317); nei versi successivi il tema cambia. L’episodio riprende al verso 432 quando la nave giunge a Crisa, Criseide viene consegnata ed il dio viene placato; il ritorno della nave al campo concluderà l’episodio (A 432- 487). Orbene, A 308-317 e A 432–487 sono rispettivamente frazione prima (esametri dieci) e frazione seconda (esametri cinquantasei) di un quadro ”Apollo placato”; non possono essere ognuna momento storico completo ed autonomo: il tema svolto nella prima frazione rimane incompleto, mancano in questa frazione esametri drammatici, le frazioni non presentano estensione modulare.”

Barigazzi individua anche il quadro iniziale della Bucolica ai versi 1 – 6 con il tema del gregge, ma fa iniziare dal verso 17 il momento storico dei furti dei capri; ciò non è compatibile con l’architettura virgiliana dell’opera, in quanto il poeta in tutte le Ecloghe fa coincidere eventuali svolte tematiche con l’inizio degli interventi dei personaggi; ed invero il terzo quadro comincia al verso 16 per chiudersi, come notato anche da Barigazzi, al verso 27.

Prima del tema dei furti caprini, va riconosciuto, però, un altro momento storico, che si estende dal verso 7 al verso 15, il quadro “Sodomia”. Vi è infine il quarto momento storico ”Sfida canora” che si estende dal verso 28 fino a tutto il verso 54, ultimo esametro prima che parli Palemone, il giudice della gara, intervento che apre la seconda parte dell’Ecloga, quella, come già detto, a didassi frazionata. Le spie linguistiche, temi caratterizzanti i confini dei momenti storici, come già detto, sempre coincidenti con i criteri modulari e proporzionali, sono costituite da vocaboli facilmente individuabili nell’esordio dei motivi stessi;

a.         il quadro “Gregge” si apre al verso 1 con la parola ”pecus”;

b.        il quadro “Sodomia” inserisce, in chiave ironicamente antitetica al tema, la parola “viris” al verso 7;

c.        il quadro “Capro rubato” mette in clausola del primo esametro la parola chiave ”fures”;

d.        il quadro “Sfida canora” chiude programmaticamente l’esametro di esordio con la parola “vicissim”, preludio semantico all’amebeo che i due si accingono ad intraprendere sotto il giudizio di Palemone.

Un’ulteriore spia  del cambio tematico è la posizione in chiave metrica di tali vocaboli-segnali:

–                    Pecus è dieresi bucolica al verso 1;

–                    Viris è cesura semiquinaria al verso 7;

–                    Fures e vicissim sono in clausola rispettivamente ai versi 16 e 27.

Sintomaticamente l’inizio della seconda parte è segnaleticamente marcato dall’imperativo presente “Dicite”, ”Cantate!”, pronunciato dal nuovo intervenuto, il giudice Palemone, sorta di starter della competizione.

Di seguito, la tabella riepilogativa della prima parte, cui segue la didascalia compositiva dei rapporti proporzionali.

 

N.PROGRESSIVO

VERSI

TITOLO

ESTENSIONE

I

1 – 6

GREGGE

6

II

7 – 15

SODOMIA

9

III

16 -27

CAPRO RUBATO

12

IV

28 – 54

SFIDA CANORA

27

 

Abbiamo, ricapitolando, un’Ecloga di 111 esametri, tutti genuini, di cui 9 riservati al giudice della gara, Palemone, in un modulo frazionato, 5+4, e 102 divisi tra i due contendenti: Menalca ne pronuncia 54, Dameta 48; una simmetria quasi perfetta, se il manipolo dei 9 versi assegnati al giudice va a compensare i 48 esametri di Dameta (57 a 54); se, invece, il manipolo si acclude ai 54 esametri pronunciati da Menalca, abbiamo una divisione armonica dell’Ecloga:

 

 

  

 

L’Ecloga procede per quadri interi fino al verso 54, prima del modulo frazionato destinato al giudice Palemone e questo confine richiama, a mo’ di fenomeno sigillante (sfraghis), il numero dei versi pronunciati da Menalca (54).

Come visibile dalla tabella riepilogativa, ulteriore fenomeno sigillante è rintracciabile nella dimensione dei quadri: il IV quadro (27) rappresenta la somma dei primi 3 (6+9+12).

La rimanente parte è la sfida poetica tra i due pastori, organizzata in esametri amebei a coppie di 2 versi ciascuno, 24 per Dameta e 24 per Menalca, per un  totale di 48 esametri, che, nuovamente, sigillantemente, richiamano il numero delle linee riservate a Damone.

Di seguito, il testo latino dell’Ecloga per rendere  otticamente fruibile la “scatola nera” dell’apparecchio virgiliano.

 

Menalcas
Dic mihi, Damoeta, cuium pecus? An Meliboei?

Damoetas
Non, verum Aegonos; nuper mihi tradidit Aegon.

Menalcas
Infelix o semper, oves, pecus! ipse Neaeram

dum fovet ac ne me sibi praeferat illa veretur,

 hic alienus ovis custos bis mulget in hora,

 et sucus pecori et lac subducitur agnis.

Damoetas
Parcius ista viris tamen obicienda memento.

novimus et qui te transversa tuentibus hircis

et quo—sed faciles Nymphae risere—sacello.

Menalcas
Tum, credo, cum me arbustum videre Miconos

atque mala vitis incidere falce novellas.

Damoetas
Aut hic ad veteres fagos cum Daphnidos arcum

 fregisti et calamos, quae tu, perverse Menalca,

 et, cum vidisti puero donata, dolebas

 et, si non aliqua nocuisses, mortuus esses.

Menalcas
Quid domini faciant, audent cum talia fures?

non ego te vidi Damonos, pessime, caprum

 excipere insidiis multum latrante Lycisca?

 et cum clamarem ‘quo nunc se proripit ille?

 Tityre, coge pecus’, tu post carecta latebas.

Damoetas
An mihi cantando victus non redderet ille,

quem mea carminibus meruisset fistula caprum?

 si nescis, meus ille caper fuit; et mihi Damon

 ipse fatebatur sed reddere posse negabat.

Menalcas
Cantando tu illum? aut umquam tibi fistula cera

 iuncta fuit? non tu in triviis, indocte, solebas

stridenti miserum stipula disperdere carmen?

Damoetas
Vis ergo inter nos quid possit uterque vicissim

 experiamur? ego hanc vitulam—ne forte recuses,

 bis venit ad mulctram, binos alit ubere fetus—

 depono; tu dic mecum quo pignore certes.

Menalcas
De grege non ausim quicquam deponere tecum.

 est mihi namque domi pater, est iniusta noverca,

 bisque die numerant ambo pecus, alter et haedos.

 verum, id quod multo tute ipse fatebere maius,

 insanire libet quoniam tibi, pocula ponam

 fagina, caelatum divini opus Alcimedontos,

 lenta quibus torno facili superaddita vitis

 diffusos hedera vestit pallente corymbos.

 in medio duo signa, Conon et—quis fuit alter,

 descripsit radio totum qui gentibus orbem,

 tempora quae messor, quae curvus arator haberet?

 necdum illis labra admovi, sed condita servo.

Damoetas
Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit

 et molli circum est ansas amplexus acantho

 Orpheaque in medio posuit silvasque sequentis;

 necdum illis labra admovi, sed condita servo.

 si ad vitulam spectas, nihil est quod pocula laudes.

Menalcas
Numquam hodie effugies; veniam quocumque vocaris.

 audiat haec tantum vel qui venit, ecce Palaemon.

 efficiam posthac ne quemquam voce lacessas.

Damoetas
Quin age, si quid habes; in me mora non erit ulla

nec quemquam fugio. tantum, vicine Palaemon,

 sensibus haec imis—res est non parva—reponas.

Palaemon
Dicite, quandoquidem in molli consedimus herba.

 et nunc omnis ager, nunc omnis parturit arbos,

 nunc frondent silvae, nunc formosissimus annus.

 incipe, Damoeta; tu deinde sequere, Menalca.

 alternis dicetis; amant alterna Camenae.

Damoetas
Ab Iove principium Musae, Iovis omnia plena;

 ille colit terras, illi mea carmina curae.

Menalcas
Et me Phoebus amat; Phoebo sua semper apud me

 munera sunt, lauri et suave rubens hyacinthus.

Damoetas
Malo me Galatea petit, lasciva puella,

 et fugit ad salices et se cupit ante videri.

Menalcas
At mihi sese offert ultro meus ignis, Amyntas,

notior ut iam sit canibus non Delia nostris.

Damoetas
Parta meae Veneri sunt munera; namque notavi

 ipse locum aeriae quo congessere palumbes.

Menalcas
Quod potui, puero silvestri ex arbore lecta

aurea mala decem misi; cras altera mittam.

Damoetas
O quotiens et quae nobis Galatea locuta est!

 partem aliquam, venti, divom referatis ad auris.

Menalcas
Quid prodest quod me ipse animo non spernis, Amynta,

 si, dum tu sectaris apros, ego retia servo?

Damoetas
Phyllida mitte mihi; meus est natalis, Iolla,

 cum faciam vitula pro frugibus, ipse venito.

Menalcas
Phyllida amo ante alias; nam me discedere flevit

 et longum ‘formose, vale, vale,’ inquit, Iolla.

Damoetas
Triste lupus stabulis, maturis frugibus imbres,

 arboribus venti, nobis Amaryllidos irae.

Menalcas
Dulce satis umor, depulsis arbutus haedis,

 lenta salix feto pecori, mihi solus Amyntas.

Damoetas
Pollio amat nostram, quamvis est rustica, Musam;

 Pierides, vitulam lectori pascite vestro.

Menalcas
Pollio et ipse facit nova carmina; pascite taurum,

iam cornu petat et pedibus qui spargat harenam.

Damoetas
Qui te, Pollio, amat veniat quo te quoque gaudet;

 mella fluant illi, ferat et rubus asper amomum. 

Menalcas
Qui Bavium non odit, amet tua carmina, Maevi,

 atque idem iungat vulpes et mulgeat hircos.

Damoetas
Qui legitis flores et humi nascentia fraga,

 frigidus—o pueri, fugite hinc—latet anguis in herba.

Menalcas
Parcite, oves, nimium procedere; non bene ripae

creditur; ipse aries etiam nunc vellera siccat.

Damoetas
Tityre, pascentis a flumine reice capellas;

 ipse, ubi tempus erit, omnis in fonte lavabo.

Menalcas
Cogite oves, pueri; si lac praeceperit aestus,

 ut nuper, frustra pressabimus ubera palmis.

Damoetas
Heu heu, quam pingui macer est mihi taurus in ervo!

 idem amor exitium pecori pecorisque magistro.

Menalcas
His certe—neque amor causa est—vix ossibus haerent;

 nescio quis teneros oculus mihi fascinat agnos.

Damoetas
Dic quibus in terris—et eris mihi magnus Apollo—

 tris pateat caeli spatium non amplius ulnas.

Menalcas
Dic quibus in terris inscripti nomina regum

nascantur flores, et Phyllida solus habeto.

Palaemon
Non nostrum inter vos tantas componere lites:

 et vitula tu dignus et hic et quisquis amores

 aut metuet dulcis aut experietur amaros.

 claudite iam rivos, pueri; sat prata biberunt.

 

Riportiamo, infine, una traduzione dell’Ecloga per meglio rapportarsi alle spie tematiche e linguistiche cui si è accennato.

 

ECLOGA III

 

Menalca

Dimmi, Dameta, di chi è il gregge? Forse di Melibeo?

 

Dameta

No, è di Egone. Poco fa lo stesso Egone me lo ha affidato.

 

Menalca

Oh sempre infelici pecore, povero gregge! Mentre egli corteggia Neera e teme che ella preferisca me a lui, qui un pastore estraneo munge due volte in un’ora e sottrae sangue alle pecore e latte agli agnelli!

 

Dameta

Tuttavia ricordati di rimproverare i maschi con più moderazione. Noi sappiamo chi te l’ha … -mentre le capre guardavano di traverso – e in quale piccolo tempio, ma le Ninfe accondiscendenti risero.

 

Menalca

Credo che sia stato quando mi videro tagliare con una falce non adatta gli olmi e le tenere viti di Micone.

 

Dameta

O quando qui, presso i vecchi faggi, spezzasti l’arco e le frecce di Dafni; e quando tu, o perverso Menalca, ti dolevi nel vedere i doni fatti al fanciullo; saresti morto se non gli avessi nociuto.

 

Menalca

Cosa devono fare i padroni con i ladri che osano tanto? Non vidi te, farabutto, rubare un capro di Damone, mentre Licisca abbaiava furiosamente? E mentre io gridavo: “Dove fugge costui? O Titiro, raccogli l’armento!”, tu ti nascondevi dietro i carici.

 

Dameta

Forse che vinto nel canto, non mi doveva dare il capro che la mia siringa si era guadagnata con le melodie? Se non lo sai, quel capro era mio, e Damone stesso me lo confessava, ma diceva che non me lo poteva dare.

 

Menalca

Tu col canto lo vincesti? Fu mai congiunta da te una siringa con la cera? Non solevi tu, ignorante, nei trivi con uno stridente stelo disperdere quella misera canzone?

 

Dameta

Vuoi dunque che proviamo chi di noi due sia il più esperto alternandoci? Io scommetto questa giovenca, perché tu non ricusi: essa viene due volte al secchio ed allatta due vitelli. Tu dimmi con quale pegno vuoi gareggiare.

 

Menalca

Del gregge non oserei scommettere niente con te: infatti in casa c’è mio padre ed una severa matrigna: entrambi contano il gregge due volte al giorno, e una anche i capretti. Però scommetto ciò che tu stesso giudicherai più costoso (poiché a te piace fare follie), e cioè due tazze di legno di faggio, opera intagliata dal divino Alcimedonte. Su di loro, lavorata con facile scalpello, una vite riveste i diffusi corimbi di una pallida edera. In mezzo due figure, Conone … e chi fu l’altro, che tracciò alle genti tutto il mondo, e stabilì quale fosse la stagione del mietitore e quale del curvo aratore? Ancora non le ho sfiorate con le labbra, ma le conservo riposte.

 

Dameta

E anche per me lo stesso Alcimedonte ha intagliato due tazze, e con molle acanto recinse le anse, e pose Orfeo in mezzo e le selve che lo inseguono; ancora non le ho sfiorate con le labbra, le conservo riposte. Se tu pensi alla vitella, non c’è che lodare le tazze.

 

Menalca

Oggi non mi sfuggirai: verrò dovunque vuoi. Purché qualcuno ci ascolti… ecco che viene Palemone. Farò in modo che d’ora in poi nessuno più mi sfiderà nel canto.

 

Dameta

Avanti, se sai, in me non ci sarà alcun indugio, né fuggo nessuno: soltanto, o vicino Palemone, riponi questi canti nel fondo dell’anima, e non è cosa da poco.

 

Palemone

Cantate, poiché siamo adagiati sulla molle erba, ed ora ogni campo, ogni albero germoglia, ora frondeggiano le selve, ora è la stagione più bella. Comincia, Dameta; tu poi seguilo, Menalca. Cantate a vicenda. Le Camene amano le gare.

 

Dameta

Da Giove è il principio, o Muse: tutto è pervaso da Giove. Egli coltiva le terre, egli si cura dei miei canti.

 

Menalca

E Febo ama me; Febo riceve sempre doni da me, gli allori e i giacinti di un rosso soave.

 

Dameta

Mi lancia un pomo Galatea, fanciulla seducente, e fugge ai salici, ma desidera di essere prima vista.

Menalca
A me si offre spontaneamente Aminta, mio ardore, e i nostri cani lo riconoscono come se fosse Diana.

 

Dameta

Sono pronti i doni per la mia Venere: io stesso ho segnato il posto dove le colombe nidificarono.

 

Menalca

Per quanto potevo, mandai al fanciullo dieci mele auree, colte da un albero silvestre. Domani ne manderò altre.

 

Dameta

Quante volte e cosa mi disse Galatea? Portate, o venti, una parte alle orecchie degli dei.

 

Menalca

A che giova che tu, o Aminta, non mi disprezzi nell’animo, se mentre insegui i cinghiali, io bado alle reti?

 

Dameta

Manda da me Fillide. Per il mio giorno natale, o Iolla, quando sacrificherò una vitella per il raccolto, anche tu verrai.

 

Menalca

Amo Fillide su tutte; infatti pianse la mia partenza e disse al lungo: “Addio, bel Iolla, addio!”.

 

Dameta

Dannoso è il lupo alle stalle, le piogge alle messi mature. I venti agli alberi, a noi le ire di Amarilli.

 

Menalca

E’ dolce l’umidità ai seminati, il corbezzolo ai capretti svezzati, il flessibile salice alle pecore gravide, a me il solo Aminta.

 

Dameta

Pollione ama la mia Musa, sebbene sia rustica; o Pieridi, per il vostro lettore pascete una vitella.

 

Menalca

E lo stesso Pollione componi nuovi canti: pascete un toro che già minacci con le corna, e sparga l’arena con i piedi.

 

Dameta

Chi ti ama, Pollione, venga dove ti piace. Gli fluisca il miele, e l’aspro rovo gli produca l’amomo.

 

Menalca

Chi non odia Bavio, ami i tuoi versi, o Mevio, e lui stesso aggioghi le volpi e munga i capri.

 

Dameta

Voi, ragazzi, che cogliete i fiori e le fragole che nascono dalla terra, fuggite di qui; il freddo serpente si nasconde nell’erba.

 

Menalca

Trattenetevi dal procedere oltre, pecore; non è bene fidarsi della riva; lo stesso ariete si asciuga ancora il vello.

 

Dameta

Titiro, porta indietro le caprette che pascolano al fiume; quando sarà il tempo, io stesso le laverò tutte nella fonte.

 

Menalca

Radunate le pecore, ragazzi; se il caldo rapprenderà il latte, come poco fa, premeremo invano le mammelle con le palme.

 

Dameta

Ahi, come è magro il mio toro sulla pingue veccia! L’amore è uguale; una rovina per il gregge e per il pastore.

 

Menalca

Questi a stento si tengono sulle ossa, e l’amore non è la causa. Non so quale malocchio ammalia i miei teneri agnelli.

 

Dameta

Dimmi in quale terre (e tu sarai per me il grande Apollo) lo spazio del cielo non si estende più ampio di tre cubiti.

 

Menalca

Dimmi in quali terre nascono fiori segnati da nomi di re, e tu solo avrai Fillide.

 

Palemone

Non so comporre tra voi contese tanto importanti. Tu sei degno della vitella, e anche tu, e chiunque temerà i dolci amori e proverà le amarezze. Ormai chiudete i rivi, o ragazzi. I prati hanno bevuto abbastanza.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Carlo Ferdinando Russo :

–       “Notizia della composizione modulare”, Belfagor, XXVI, 1971, pp. 493-501;

–       “Primizie di poetica matematica”, Belfagor, XXVIII, 1973, pp. 635-640;

–       “Iliade. Matematica e libri d’autore”, Belfagor, XXX, 1975, pp. 497-504;

–       “L’ambiguo grembo dell’Iliade”, Belfagor, XXXIII, 1978, pp. 253-266;

Franco De Martino:

–        “Omero fra narrazione e mimesi”, Belfagor, XXXII,1977, pp. 1-6;

–        “Chi colpirà l’irrequieta colomba…”, Belfagor, 1977, pp. 207-210

Mario Geymonat“Virgilio – Bucoliche”, Garzanti, 1981

Adelmo Barigazzi, Per l’interpretazione dell’ Id. 5 di Teocrito e dell’ Ecl. 3 di Virgilio”, “L’antiquité classique”, Tome 44, fasc. 1, 1975. pp. 54-78

Juan Luis Vives, «  Interpretacion de las Bucolicas de Virgilio » Biblioteca Valenciana Digital

Mariano Grossi:

–          “La composizione matematica del secondo canto dell’Iliade”, Bari, 1978, Università degli Studi  – Facoltà di Lettere e Filosofia;

–         “Ecloga VIII, Art Litteram, 14.07.2009;

–        “La composizione matematica della IV Egloga di Virgilio”, Art Litteram, 15.05.2015

 …

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=wcNlOFlPKqU

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