Tassidermia, arte degli orrori

Tassidermia, arte degli orrori

Uccelli imbalsamati di epoca vittoriana, credit Mary Blindflowers©

Tassidermia, arte degli orrori

Giustina Settepunti©

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L’imbalsamazione è una tecnica antica. I colciti nell’antico Egitto praticarono ampiamente la mummificazione, con risultati soddisfacenti, nella convinzione che il defunto potesse dopo morto rivivere una seconda vita. Al defunto venivano asportati i visceri poi collocati in appositi recipienti e cosparso il cadavere con resine e natron, sostanze che avrebbero dovuto preservarlo dalla putrefazione, per poi avvolgerlo nelle famose bende, anch’esse intrise di resina. Molti popoli antichi praticarono tecniche di conservazione dei cadaveri a scopi rituali e religiosi.

Ma occorre arrivare all’epoca vittoriana per assistere all’esplosione di una moda orribile, quella degli animali imbalsamati a scopo ornamentale: “taxidermy”. Particolarmente apprezzati in Inghilterra, in un’epoca in cui la passione per i viaggi divenne una costante per nobiltà e ricchi borghesi, gli animali divennero un affare. Praticamente ogni villaggio aveva un imbalsamatore che si occupava di imbalsamare bestiole per scopo puramente ornamentale. E invero a guardarle oggi, queste povere creature imprigionate dentro scatole spesso acquerellate di legno e vetro, comunicano il senso del macabro, con quegli occhi di vetro colorato e la fissità della loro postura. Si imbalsamava di tutto: volpi, furetti, uccelli di tutte le specie, anche esotici, fenicotteri, upupe, papere, pesci, trote, lontre, oche, gufi, gabbiani, pavoni, etc. per la gioia degli amatori. Una pratica incurante dei diritti degli animali, esposti come trofei dietro il vetro, la morte in mostra. Erano tempi in cui uomini e donne non si ponevano troppo il problema della conservazione della natura e del rispetto degli animali. Queste creature sotto vetro campeggiavano nelle librerie della nobiltà, facevano bella mostra di sé nei salotti dove le ricche signore sorbivano tranquillamente il the magari sotto lo sguardo allucinato e irreale di un corvo o di un colibrì.

Addirittura ad un certo punto la richiesta dei vari esemplari sotto vetro divenne così alta, che cominciarono a produrli a livello industriale. L’imbalsamatore del villaggio non bastava più, per soddisfare le esigenze di avidi consumatori desiderosi di arredare le loro ville. Negli esemplari prodotti industrialmente c’era il marchio della fabbrica. Alcuni marchi erano più richiesti di altri per l’ambientazione prodotta e gli sfondi acquerellati. Un vero e proprio business sulla pelle degli animali che, innocenti, oggi ci guardano perplessi inscatolati dentro il legno vittoriano di collezioni private o di musei. E la cosa strana è che fu proprio un ornitologo ad imbalsamare per primo gli uccelli a scopo d’ornamento. Il suo nome era John Hancock. Egli espose alcuni suoi esemplari impagliati nel 1851 a Londra, e molti li giudicarono “artistici”. La regina Vittoria non osteggiò di certo tale “arte” di esporre uccelli morti, dato che lei stessa era un’avida collezionista di birds di varie specie.

La taxidermy veniva usata però anche per motivi “sentimentali”. I proprietari di animali morti, volevano sempre accanto a sé il loro amico animale, anche dopo la morte, così lo facevano imbalsamare per tenerlo in salotto e strizzargli l’occhio di tanto in tanto.

Alla fine del XIX secolo ecco apparire la anthropomorphic taxidermy... (continua su Destrutturalismo n. 7).

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Destrutturalismo

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