E ci guidava la luna

E ci guidava la luna

E ci guidava la luna

Di Mary Blindflowers©

Pino Nucci, E ci guidava la luna, Tamari editori in Bologna, credit Mary Blindflowers©

“E ci guidava la luna” di Pino Nucci, un chirurgo plastico prestato alla letteratura.

Si tratta di un romanzo che ha un forte sapore autobiografico, ambientato ai tempi della lotta partigiana al nazifascismo. Il libro, pubblicato da un editore bolognese, Tamari editori, nel 1988, ha un’ottima veste editoriale. Bella edizione, buona carta, ottima stampa, copertina rigida con sovraccoperta illustrata a colori, un libro che probabilmente non ha avuto una grande diffusione, dato che trovarlo oggi è piuttosto difficile. Probabilmente ne sono state stampate poche copie.

Vale la pena di cercarlo?

Devo confessare che a me è capitato di incontrarlo per caso, sì, avete capito bene, ho usato il verbo “incontrare”, perché l’acquisto di un libro va al di là di una semplice compravendita, è prima di tutto un incontro.

Ho deciso dunque di fermarmi a leggere, di dare fiducia all’autore. Ma dopo averlo letto, non sono rimasta colpita.

Un’opera scritta sicuramente bene, senza sgrammaticature o errori, tuttavia sempre un testo che passa sulla superficie, senza lasciare grosse e profonde impronte. Sarà che l’autore forse non riesce a trascendere se stesso e cela a fatica una sorta di orgoglioso compiacimento per le vicende di Druso, il suo alter ego letterario, tanto da farci sapere che è di sangue blu, salvo poi precisare che il sangue tutti lo hanno rosso; sarà che il ritmo è piuttosto lento, privo di suspence, di colpi di scena che renderebbero più vivace la narrazione e meno stagnante, o forse sarà un’eccessiva indulgenza allo stile realista, tanto caro agli italiani, uno stile che però in questo caso appiattisce la storia, rendendola una tra tante comuni banali storie; resta il fatto che il romanzo non affascina.

Manca per esempio del tutto anche l’afflato lirico, quel pizzico di sangue e emozione che ogni buon romanzo dovrebbe avere. Sembra concepito da un burocrate, studiato in modo eccessivo a tavolino, come se ogni parola fosse stata misurata e pesata e non scaturisse da una forza interiore libera e potente. Insomma è un romanzo freddo, ma la freddezza di cui parlo non è purtroppo voluta, è il risultato di un tipo di scrittura grammaticalmente perfetta, tecnicamente ineccepibile, ma totalmente piatta, priva di geniale creatività.

La lettura procede così stancamente, senza infamia e senza lode.

Merito di questo libro è offrire lo spaccato di un mondo in lotta contro l’ideologia folle del duce, l’immagine delle città occupate, della paura dei tedeschi vissuta tuttavia senza pathos, che l’autore, purtroppo, non riesce a comunicare al lettore. Come dire, manca quella tensione che sarebbe stata necessaria, quello stress indotto ad ogni buon lettore, in modo da coinvolgerlo nei fatti dell’epoca, da farlo letteralmente soffrire assieme ai personaggi. Nulla, qui non si soffre, si legge solo una storia come tante altre con una trama anche piuttosto banale.

Dopo aver letto, è tutto come prima. Chiuso il libro, te lo dimentichi.

Le descrizioni dei personaggi sono accademiche, glaciali, estremamente convenzionali: “la giornata fu interrotta dall’arrivo di Donini detto La Pulce. Era costui un giovane biondo, di media statura, l’aspetto mite. Si faceva benvolere ed apprezzare per la pacatezza del contegno, misurato anche nei frangenti più difficili. C’era in lui una sorta di saggezza che gli permetteva di affrontare il rischio nella varietà dele situazioni con animo e decisione, anche quando v’era di che perdere il controllo”. Descrizioni tutte esteriori, frettolose. Su Druso, il protagonista: “Egli sapeva di assomigliare nell’indole e nel fisico allo zio della madre, don Cesare, figura dominante di letterato e uomo d’azione. Ne aveva l’alta statura, e come lui, celava la solida complessione nello slancio longilineo, che lo faceva apparire più snello. Il viso regolare colpiva per la mobilità dei grandi occhi scuri e la bocca, sotto un paio di baffi lunghi e sottili, rivelava nel disegno di un incipiente sorriso, dolcezza e ironia. Ma le affinità andavano ben oltre l’aspetto esteriore: lo stesso fiuto nell’intuire la verità sotto le apparenze, il gusto per la battuta, l’attitudine al comando e la tendenza a nobilitare la passione rivolgendola ad altri traguardi”.

È evidente che Nucci sta descrivendo se stesso, infatti Druso non ha difetti, sembra la creatura perfetta che lotta per gli ideali perfetti. Tutto bello insomma, dentro e fuori, la perfezione è con noi. Questo lo rende noioso e un poco supponente. Mancano in Druso quelle contraddizioni, quelle dinamiche proprie di un uomo in carne ed ossa. In poche parole sembra una mummia di cera, nella sua assurda quanto innaturale perfezione.

Inoltre nemmeno l’argomento della storia è originalissimo. Ci sono moltissimi documenti sull’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale: romanzi, racconti, poesie, saggi. Ma non è questo il problema, credo che la differenza sia data dall’autore non dall’argomento, ossia dalla sua totale incapacità di trascendere un ego troppo coinvolto nella storia, un ego abbellito come i soldatini di stagno nelle vetrine luccicanti dei negozi.

Parlare di se stessi non fa bene alla letteratura, è inoltre poco interessante per chi legge perché lo scrittore, qualsiasi scrittore, noto oppure no, questo ha poca importanza, è comunque destinato a diventare nessuno, se vuole scrivere qualcosa che possa bucare la superficie del nulla. Un autore che si rispetti deve dimenticarsi di se stesso, altrimenti produce autocompiacimento.

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=QiuiCtvr9ck

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