Grammatica inventata traduttori Chevillard

Grammatica inventata, traduttori, Chevillard

Grammatica inventata traduttori Chevillard

Grammatica inventata. Traduttori, libri

Chevillard, Sul Soffitto, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Grammatica inventata traduttori Chevillard

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Su consiglio di un’amica ho letto “Sul Soffitto”, libro paradossale e grottesco di Éric Chevillard. L’ho letto nella traduzione italiana di Gianmaria Finardi, editore Del Vecchio, brossura editoriale illustrata a colori, un tipo di brossura che si rovina solo toccandola e su cui si vedono tutte le eventuali ditate, collana Formelunghe n° 51.

Lo stesso traduttore precisa alla fine del libro che non è stato affatto facile tradurre e si chiede: “che Chevillard pensasse a come complicare la vita a un traduttore, mentre scriveva il suo romanzo?” Sicuramente il traduttore si dà fin troppe arie, si attribuisce un’importanza che forse non ha, dato che nessuno al mondo scrive per complicare la vita ai traduttori. Che Chevillard faccia un uso piuttosto audace della punteggiatura, fatto che non ritengo innovativo, posso anche crederlo, tuttavia il traduttore che si vanta di aver mantenuto la struttura originaria del testo, ha tradotto spesso in modo assolutamente incomprensibile e scorretto.

La vicenda narra di un uomo che rivoluziona le prospettive e mette ciò che sta ordinariamente sotto, sopra, la sedia. In pratica il protagonista non tiene la sedia sotto quelle due rotondità carnose utili per sedersi, ma sulla testa. Si rifugia in una soffitta assieme ad altri strampalati compagni, creando un mondo che sfida le forze di gravità e si oppone dall’alto a tutti coloro che stanno in basso. La soffitta infatti è un punto di osservazione privilegiato che sfida la pesantezza naturale e borghese del mondo. La trama, sebbene un po’ trattatistica e completamente priva di dialoghi, tanto da risultare un po’ fredda nel complesso, ha comunque tratti originali e molto curiosi, infarciti di non-sense con richiami simbolico-esistenzialisti abbastanza interessanti.

Il problema vero dell’edizione italiana di questo libro è la traduzione. I periodi sono snervanti, esageratamente lunghi per la prosa nostrana, spesso infarciti di errori macroscopici. Mi sono chiesta se veramente nel testo originario possano essere contenute frasi così sgrammaticate, col pronome relativo piazzato a caso: “la vita tanto inattesa e pure inevitabile quanto il topolino dei denti che improvvisamente spunta da un muro cieco, mentre la noia decaduta dal proprio regno da allora tende ovunque delle trappole per riconquistarlo, alla quale noi sappiamo opporre sempre e solamente il rumore e il movimento…”.

In pratica se Chevillard ha reso la vita impossibile al traduttore, questi a sua volta, la rende impossibile al lettore, tant’è che non si capisce niente. Mi chiedo anche perché in una delle tante frasi impresse sulla pagina, abbia usato il termine “discretezza” al posto del più comune “discrezione” che avrebbe avuto un suono più gradevole nel contesto. Forse per rendere il linguaggio più forbito? O per rispettare il testo originale?

Mi chiedo altresì perché usi “molto meglio” che non è considerata una forma correttissima in italiano, nonostante sia usata nel linguaggio parlato. Anche in questo caso si rispetta il testo originale? Si tratta di un autore pleonastico?

Fino a che punto può spingersi un traduttore?

Ci sono frasi così sconclusionate da arrivare all’incomprensibilità: “fa la posta alle palline di mollica, al grasso del prosciutto, e alle croste di formaggio – non è nemmeno un vitellino – che integrano il suo rancio, e di certo occorre farlo uscire mattino e sera ma la corvée della spazzatura in contropartita viene rimessa solo due volte a settimana, una scelta che si giustifica tanto meglio in quanto Ouaf è peraltro un maschio pieno di linfa vitale i cui accoppiamenti fruttano parecchio, dorme in salotto su un cuscino – né un cavallo”.

La seconda parte della correlativa disgiuntiva va a passeggio per conto suo, in piena libertà. Per leggere queste frasi occorre comporre un puzzle.

E che dire del doppio complemento di termine? Testuale: “la nostra immobilità forzata non ci vale a nulla”.

Il guaio è che non si tratta di refusi, quelli sono in un certo senso giustificabili perché non voluti, scappati come anime nere al controllo, capitano a tutti. No, volutamente si traduce così, pensando di far bene, di usare un linguaggio “sconvolgente” e diverso.

La lettura diventa così pesante, gli occhi tendono a chiudersi per un rallentamento naturale dovuto alla struttura delle frasi poco scorrevoli, con una grammatica e un uso dei pronomi relativi che lasciano alquanto a desiderare. Nella nota redazionale alla fine del libro si precisa: “Per non violare il sottile e talvolta volutamente ambiguo gioco di piani prospettici e narrativi, si è deciso, in deroga alle abituali norme, di mantenere pressocchè inalterata l’architettura anche interpuntiva del testo di partenza”.

Capisco il rispetto dovuto alla sperimentalità di un autore sicuramente non comune, (il libro infatti contiene comunque associazioni mentali interessanti anche se non sconvolgenti), ma in italiano la formula traduttiva utilizzata da Finardi non funziona, costringe il lettore a rileggere inutilmente, a causa di una versione che non scorre, coi relativi posizionati lontano dal nome a cui si riferiscono (e non capisco che innovazione possa rappresentare tutto questo), un tessuto complessivo che non tiene conto delle esigenze grammaticali della nostra lingua che comunque è diversa dal francese. In sintesi il libro mi ha stancata. Pensavo ad un certo punto di abbandonare la lettura. L’italiano non è latino, quando mai un lettore deve mettersi lì e cercare di capire a quale nome si riferisca il relativo, quando mai deve cercare la secondaria lontana anni luce dalla frase principale? Cos’è un nuovo gioco di società?

Il traduttore scarica la responsabilità sull’autore dicendo che si tratta di uno scrittore non etichettabile. La non etichettatura in realtà dovrebbe comunque corrispondere ad un italiano corretto, non è che siccome la storia è surreale, si possano fare errori sintattici e strutturali smaccati, rendendo tediosa la narrazione fino a far letteralmente addormentare il lettore. Questo mi è accaduto. Mi sono addormentata. E se come dice il traduttore stesso, il libro non è niente di già visto, francamente, le frasi buttate in quel modo scombinato sulle pagine, non avrei nemmeno voluto vederle. Potevo farne anche a meno.

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Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    Tradurre significa portare in altra lingua i concetti espressi dall’autore nella lingua originale. Se questo trasporto non riesce vuol dire che i concetti rimangono incomprensibilmente espressi rispetto a come li ha esternati il compositore straniero: il traduttore dunque non è servito a nulla!

  2. Wolf Graham (Editor)

    Non solo caro sig. Mariamo Grossi, se un traduttore non sa tradurre il significato, la poetica e il contesto della parola e di un testo… Allora è meglio che non faccia il traduttore!
    Un traduttore che parte dicendo che un autore ha volutamente espresso o usato termini di difficile traduzione, vuol dire che non sa fare il suo lavoro… L’ippica forse gli può uscire meglio e onestamente potrebbe anche riuscirgli senza rovinare testi altrui.
    Poi ho visto bene che si tratta di un traduttore della DEL VECCHIO.

    Wolf Graham
    (Editor)

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