La raccomandazione è regola costante editoriale

la raccomandazione è regola costante editoriale

La raccomandazione è regola costante editoriale

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

La strada spianata, credit Mary Blindflowers©

 

 

Siccome siamo in pensione e dobbiamo impiegare il tempo, stamattina abbiamo un poco curiosato su web. Ci siamo imbattuti in un curioso articolo di tal Marco Cubeddu, l’inventore dell’acqua calda quasi bollente, “factoctum (come ama definirsi egli stesso) e caporedattore” della rivista “Nuovi Orizzonti”. L’articolo, pubblicato su Linkiesta, ha titolo un poco pleonastico: “Cari aspiranti scrittori: è facile pubblicare se sapete come farlo”.

Già si intuisce che lo scrivente di grammatica ne sappia ben poca, (magari è più bravo a recitare nei reality Rai), infatti non c’è bisogno di scrivere “farlo”, dato che il soggetto “pubblicare” sta già in bella mostra nell’apodosi reggente. Sarebbe meglio scrivere semplicemente “fare”. Suona anche bene all’orecchio, perfino a quello meno allenato a scrivere, figuriamoci a quello di un “caporedattore…”

Marco Cubeddu, direttamente dalla scuola Holden e dalla crema della borghesia che conta, ha idee molto ciniche e precise su come funziona l’editoria di cui fa parte per qualche poco misterioso e non meritocratico motivo:

Sul fatto che il mondo editoriale sia “tutto un magna magna”, parliamoci chiaro: una raccomandazione (che tra l’altro non è sempre una cosa negativa, anzi, spesso nasce da un sincero apprezzamento dell’autore o della sua opera da parte di qualcuno che gode della stima e della fiducia di un altro professionista altrettanto stimabile e affidabile e così via), fa naturalmente sempre comodo. Come dovunque. Non è cosa segreta a nessuno che, come ha detto il Ministro Poletti – rischiando il linciaggio per eccesso di leggerezza – si trovi più facilmente lavoro alle partite di calcetto che mandando i curriculum…”.

Ma lo sa Cubeddu che il plurale di curriculum non è curriculum, in contesti formali, ma curricula? Ve bene che l’articolo non è proprio formale e quindi si potrebbe dire che vada anche bene, infatti la costruzione del pezzo, più che formale, è sgangherata per esposizione e sintassi. Il latino non lo sa mica tanto bene, Cubeddu, pazienza… Si vede che là dove sta non si fa caso a tali inezie… E non si fa caso nemmeno al fatto che di grammatica italiana ne sappia davvero poca…

In compenso il nostro eroe fa rigorosamente onore all’origine del proprio cognome, Cubeddu: cupa in latino significa botte ovvero manovella del trappeto, come indica Catone nel De agri cultura”: egli torchia terribilmente i neofiti della scrittura, coloro che non pubblicando risultano a lui dei volgari nequam, per rimanere nell’ambito classico dove egli ha bisogno di rinverdire la conoscenza delle flessioni sostantivali. Noi pensiamo che etimologicamente ekdosis dovrebbe indicare la voglia spontanea e terza di rivelare ad altri la conoscenza di un qualcosa di segreto, di privato, di ignoto; se questo anelito da parte di chi edita deve passare attraverso le forche caudine di una raccomandazione, lo spirito rivelatore si stupra e si svilisce; e citare come pietra di paragone il ministro Poletti, per corroborare e sostanziare nel credito il concetto di raccomandazione e clientelismo, è esercizio quanto meno esilarante; non ci risulta che all’estero gli editori facciano come il torchiatore dipinge avvenire in Italia.

Intanto egli abbonda in prolessi dell’oggetto che lo costringono a richiamarlo con il pronome di riferimento e la sua prosa ne risulta svilita e di rango piuttosto colloquiale. Lo scrittore infatti non coordina in genere e numero il participio passato del verbo col soggetto della proposizione; non usa ortodossamente gli asindeti nelle ipotassi che orchestra disinvoltamente; usa il verbo giovare anziché il canonico giovarsi; piazza il pronome interrogativo omettendo il che davanti a cosa; non è omogeneo nell’utilizzo del relativo cui, visto che lo allega al complemento di unione, mentre lo sostituisce con quale in una relativa dove risulterebbe più elegante (“trasformano in bandiera in nome della quale combattere l’elenco dei rifiuti editoriali eccellenti”.. a noi risulterebbe più scorrevole nel cui nome).

E nonostante ciò oggi costui è caporedattore: non ci spiega come e perché ci sia riuscito e francamente ci sfugge il target del suo pezzo su Linkiesta, a meno che non sia un recondito invito alla rassegnazione: fatevene una ragione: bisogna farsi raccomandare, altrimenti si fa la fine di tanti grandi postumi.

Ma non aveva detto Nietzsche che il cinismo è l’unico attimo di verità da parte delle anime volgari?

Secondo la tesi di questo “scrittore”dalla grammatica opinabile, in libreria vanno a finire solo libri di tutto rispetto perché l’unico interesse degli editori sarebbe quello di “pubblicare il libro migliore con più possibilità sul mercato”. Lo sanno tutti infatti che gli editori, specialmente Mondadori con cui pubblica lo stesso Cubeddu, per intercessione della Vergine Maria e volontà della Nazione, danno alle stampe solo capolavori letterari! Infatti la crisi dell’editoria è una favola messa in giro dagli scrittori invidiosi, quelli che non hanno talento, quelli senza raccomandazioni, gli stessi che a detta di Cubeddu non riuscirebbero a pubblicare perché sbaglierebbero il nome dell’editor nella lettera di presentazione, oppure sarebbero dei deficienti completamente inconsapevoli di ciò che scrivono, arrivando a concepire addirittura presentazioni più lunghe del libro stesso, a firmare ogni pagina del loro dattiloscritto col loro nome, a raccontare agli editor storie strappalacrime e patetiche. Solo i più bravi arriverebbero, infatti gli scaffali sono pieni di sublimi capolavori, è lapalissiano. Sì, ma in quale mondo? Cubeddu vive davvero sul pianeta Italia, lo stesso nel quale viviamo noi, oppure veleggia da qualche altra parte, perché noi tutti questi capolavori in libreria mica li vediamo. Forse soffriamo di vista? Poi il buon Cubeddu racconta le mitiche avventure di persone che sono riuscite a pubblicare con grossi editori “senza conoscere nessuno”, citando noti editor che organizzano altrettanto noti e costosi corsi di scrittura creativa, che come è noto, servono solo a creare dei circoli viziosi e di piaggeria, non ad imparare a scrivere. Cubeddu non si ferma qui nello scnocciolamento delle castronerie da manuale, aggiungendo: “Il livello di TOTALE inconsapevolezza rispetto a quel che viene scritto e impunemente inviato è così tragicamente alto, che se siete cerebralmente normodotati, lettori abituali, e fate esercizio di scrittura creativa da qualche tempo, per voi sarà quasi impossibile non riuscire a pubblicare… In generale, giuro, la cosa più importante per aumentare le possibilità di essere pubblicati è, non dico essere, ma perlomeno sembrare, sani di mente”. In pratica ci sta dicendo che se un manoscritto viene rifiutato da un grosso editore è perché lo scrittore è un minus, un povero malato di mente, borioso e deficiente, che racconterebbe all’editor la storia della nonna e della sua infanzia. Ma certo! Chiunque “sia normodotato può pubblicare un libro molto facilmente”, come è successo a lui che, in pratica, non conosce nemmeno la grammatica, ma riesce lo stesso a pubblicare con Mondadori e a fare perfino il caporedattore per una rivista, col compito di selezionare testi.

Noi, caro Cubeddu, saremmo pure inconsapevoli e idioti e all’occorrenza anche due vecchi citrulli con un poco di esperienza in editoria, ma un nostro testo ad uno come te che non sa scrivere in corretto italiano nemmeno un articoletto di poche righe, (e pensa pure di essere tanto spiritoso), non lo manderemmo mai in valutazione,  né a te né agli editor che citi, anche se sei uscito da una scuola che chiede 10.000 euro l’anno e che, a quanto pare, ti è servita molto a fare carriera ma poco a riuscire a mettere due parole in croce in modo decente. Povera italietta dell’inganno. 

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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