Pensiero, movimento, Massimo Scaligero

Pensiero, movimento, Massimo Scaligero

Pensiero, movimento, Massimo Scaligero

Pensiero, movimento, Massimo Scaligero

Il laccio, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Il pensiero è movimento

.

Il pensiero è movimento, pulsa, vive, ha una sua autonoma capacità di muoversi. L’oggetto è il risultato finale e transeunte di tale movimento, la materializzazione sensibile del pensiero riflesso. Quest’ultimo è profondamente ancorato ai lacci di natura e si aliena per rivestire plurime forme esperienziali che si danno come realtà ultima e definitiva.

Ci sono due tipi di pensiero: puro e riflesso; quello puro è la meta degli asceti che hanno raggiunto uno stadio molto alto dopo anni di riflessione e distacco dal mondo sensibile, quello riflesso è il pensiero che si trasforma in varie esperienze, le quali sono i vari oggetti che si danno come apparente ultima realtà sensibile generata dal movimento del pensiero.

Occorre fare a questo punto attenzione all’equivoco tra essere e apparire. Il mondo non è, e il suo non essere è apparenza che si scambia per essere. Però l’esperienza ordinaria è necessaria a quella sovrasensibile, anzi è materia dell’opera, non si può prescindere da essa. Natura e sopra-natura sono legate inscindibilmente. La natura viene nobilitata da questo legame perché diventa soglia dell’esperienza sovrasensibile, canale di comunicazione verso viaggi sperimentali nell’universo pensiero. Occorre quindi considerare lo scenario esteriore e sensibile non come fatto congelato e cristallizzato, compiuto una volta per tutte nel suo proprio aspetto peculiare o esaurito determinato, ma individuare il processo per cui si è compiuto o si va compiendo, individuare un moto, un dinamismo vitale che penetra il “farsi del fatto”. Così il semplice e acritico pensiero riflesso-passivo diventa vivente-attivo, in una dinamica che parte dall’oggetto pensato e arriva, per virtù contemplativa e logica, al pensiero creante da cui nasce l’oggetto. Quest’ultimo va quindi inquadrato non come finitudine ma come trampolino di lancio per l’indagine. Questo è un aspetto del pensiero di Massimo Scaligero (Antonio Massimo Gabelloni, Veroli 17 settembre 1906, Roma 26 gennaio 1980), filosofo esoterico di grande spessore, che dà spunto a nuove riflessioni e ricerche.

Senza voler ulteriormente entrare nel merito delle conclusioni cui il filosofo perviene nella sua opera Trattato del pensiero vivente, ove l’ascesi consentirebbe all’uomo di “pensare il pensiero” raggiungendone la purezza, resta il fatto che partire dalla finitudine per arrivare all’infinito, prendere il via dal tangibile per pervenire all’intangibile puro, come un percorso a ritroso, resta un tema affascinante ed attuale che ogni ricercatore dovrebbe tenere presente nel momento in cui si accinge ad affrontare il sensibile. Non arrestarsi di fronte alla materialità dell’oggetto, trovare in esso significati che vanno oltre la sua presenza fisica nel mondo, oltre l’id quod est di boeziana memoria, per stanare quell’esse non rivelato, astratto e concettuale. Un percorso di valorizzazione delle potenzialità esistenziali e simboliche dell’oggetto, uno snodarsi in senso contrario alla Creazione con la c maiuscola. La creazione umana non ha niente di divino, parte sempre dal creato, dal già dato, per capire anche inconsapevolmente e trovare nuove connessioni, esplorando un universo nuovo mediante uno stimolo tangibile. L’esistenza spaziale e fisica della materia è l’impulso della conoscenza. Senza materia e forma l’astrattezza superiore dell’esse non avrebbe senso ai nostri occhi. L’occhio che guarda ha un ruolo fondamentale nella percezione della realtà, vedere ciò che è è l’inizio, poi si guarda, dunque si attiva la forza del movimento del pensiero, a ritroso, dalla concretezza all’astrattezza, per creare nuove concretezze, nuovi dipinti, nuovi scritti, nuove invenzioni. Il vero creativo crea, ossia muove il pensiero dalla materia al principio, dalla sostanza all’essenza. Chi non fa questo è un riciclatore, non muove il pensiero a ritroso, scoprendo nell’oggetto stesso nuovi principi, ma prende immagini diverse già esistenti e le mescola, come pezzi di cadaveri, un lavoro di sartoria. I pezzi presi un po’ qua un po’ là si ricuciono insieme, e il gioco è fatto, il novello Frankenstein è servito. Le produzioni artistiche riciclate abbondano. Neppure la musica si salva da questo scempio.

Avete mai deliziato il vostro udito con un cd musicale intitolato “Ai confini della Psiche”?

Ebbene, non fatelo, potrebbe nuocere gravemente alla vostra salute. L’autore, Vincenzo Maria Mastronardi, docente di psicopatologia forense all’Università La Sapienza di Roma, dichiara che lo stile della sua musica è “morriconiano”. In pratica l’esimio professore ha preso la musica di quel genio che è Morricone e l’ha crudelmente “stroppiata”, uccidendola in un’impossibile lagna. Un’operazione di morte, di ricomposizione cadaverica, di inaccettabile riciclo. Il convinto Henry Jekyll propone i motivetti del cd nel sito di Uniroma, che fa da ingresso alla sua “Galleria d’arte”, sì, perché il prof. si improvvisa anche artista, pur padroneggiando la tecnica come un bradipo la corsa ad ostacoli. Così mentre il povero malcapitato internauta aspetta che la pagina venga visualizzata sullo schermo del computer, deve sorbirsi la sviolinata musicale stile soap anni ’70 foriera di galoppanti movimenti depressivi del pensiero. I riciclatori non fanno i conti con la storia, a volte. A proposito di Frankenstein, ecco cosa c’è scritto in un libro di Magnarapa e Pappa, curato dal prof. Mastronardi, Teoria e pratica dell’omicidio seriale: “la vicenda dei due serial killer, Burke ed Hare ha dato luogo ad una ricca produzione letteraria di cui fa parte anche Frankenstein”. Peccato che i due assassini si conoscano soltanto nel 1826 dando inizio alla loro attività criminale protrattasi fino al dicembre del 1828. Il romanzo di Mary Shelley è stato pubblicato per la prima volta nel 1818; quindi è cronologicamente impossibile che la Shelley abbia fatte proprie le suggestioni derivanti dalla vicenda di Burke ed Hare. Particolare che sfugge. Addirittura l’idea del romanzo comincia a prendere corpo, ispirata da un incubo notturno, nell’estate del 1816, a Villa Diodati, in Svizzera, sul Lago di Ginevra. Anche Mastronardi viene ispirato nel comporre e dipingere dagli incubi e sogni dei suoi pazienti. I risultati però non sono gli stessi, né della Shelley né di Morricone, più che altro perché gli incubi li fa venire agli altri.

Da C’era una volta il west del grande Ennio a I confini della Psiche di Mastronardi. Come siamo caduti in basso, dalle stelle alle stalle. Forse, Massimo Scaligero e il suo pensiero vivente si stanno rivoltando nella tomba.

Frankenstein; or, The Modern Prometheus, 3 voll., Lackington, Hughes, Mavor & Jones, London 1818.
.

Post a comment