“La famosa vita” di Gabriella Sica©

“La famosa vita” di Gabriella Sica©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Angels and Demons, mixed media on canvas 90 x 90, by Mary Blindflowers©

Fa un po’ più fresco oggi, sebbene in giardino si stia benone e possiamo chiacchierare da buoni vecchi amici. Prendiamo un caffè nero e leggiamo dei versi: Potessi io avere un ragazzo sensibile/ col sangue nuovo e caldo gli occhi belli/ cominciare con lui l’estate senza bugie/ bruciare infine al sole tutte le poesie./

È una “poesia” di Gabriella Sica, intitolata “Estate”. Se la Sica, classe 1950, docente universitaria (che combinazione), multi-premiata da un sistema che non va, avesse seguito il consiglio che balena in clausola della poesia sopra-riportata, forse ci avrebbe evitato la sofferenza di leggerla.

Ci avrebbe risparmiato anche l’angoscia di interrogarci sull’ermeneutica trismegistiana delle sue liriche ermeticissime e pregne di semantemi reconditi! È troppo denso il suo pensare, arduo risulta  decrittare tra le pieghe delle sue linee le allusioni e le allegorie ivi adombrate! E che tecnica! Siamo di fronte ad una sorta di rimato scazonte: due coppie di versi a prima sciolta e seconda rimata.

Risulta davvero ostico intuire che cosa si celi dietro quel “caldo gli occhi belli”: la poetessa non ama la punteggiatura, per cui resta enigmatica l’esegesi: si tratta di un trittico di attribuzioni date al partner (1. Sensibile; 2. Col sangue nuovo e caldo; 3. Gli occhi belli) o siamo di fronte ad un Accusativo di relazione alla greca in chiusura di linea, individuando  una tetrattribuzione fisioprosopica al soggetto (sensibile, col sangue nuovo, caldo e con gli occhi belli)? Ragazzi, niente da fare! Gabriella sceglie la sibillinità e la polyeideia interpretativa! E continua sulla stessa linea anche in altre liriche: Infelice siedo su uno scalino/ in piazza ma appari tu, improvviso/ spavaldo come nessuno quest’anno/ e io rifiato dopo tanto affanno./

Questi versi intitolati “La mia pace” cosa significano? Quello che dicono e nient’altro, temiamo. “Poesia” irenica anch’essa a rima scazonte: prima coppia libera e asimmetrica, seconda levigatissima e rimatissima (anno/affanno) e diremmo quasi pneumatica pur nella tortuosità ermeneutica. L’apparizione carismatica dell’amato pare rivelarsi a mo’ di polmone d’acciaio per ossigenare l’asfissia psichica della protagonista! Pare! Ma lasciamo a critici più addentro nelle curve del poetare di Gabriella l’avventura di comprenderla appieno e di lodarne il talento che non c’è! Sono testi che potremmo definire burlescamente quasi esoterici! E sono talmente estesi e prolissi che il lettore rischia di perderne il filo conduttore! Ci scappa un sorriso tra i baffi. Non è molto professionale, lo sappiamo, ma non riusciamo a farne a meno, ed è un sorriso tra il faceto e l’amaro al pensiero che la Sica possa essere definita “poetessa” da gente che conta e che forse ha assunto qualche sostanza stupefacente prima di leggerla. Il contenuto delle sue poesie è cronachistico, inutile. Infelice la voce narrante siede su uno scalino, appare un uomo spavaldo e lei rifiata dopo essersi affannata, e qui finisce. Sembra una barzelletta situazionista, lo scherzo di un clown. Non c’è un oltre, una metafora che alluda a qualcos’altro. Si tratta di una poesia fine a se stessa, che dice esattamente quel che dice e niente più. Deludente nella costruzione elementare e completamente priva di interesse per il lettore, soprattutto perché la “poetessa” non universalizza alcunché, parla ossessivamente di se stessa, come se si trovasse nell’ombelico del mondo, lei sola, la divina. L’infelice tuttavia rimane chiusa nel proprio micro-orizzonte, incapace di superarsi e superare il limite di ogni decenza. Ci racconta ne “La tregua”, i suoi incontri salottieri con le amiche: “La sera io ricevo le amiche a casa/ un morbido divano il cibo e le parole./ Come stai? e tu? io sono stanca/ stremata le saluto, quando le rivedrò?/”

Dovrebbe commuoverci il sapere che la sera la “poetessa” offre cibo, parole e un divano borghese alle sue amiche? Ci incuriosisce? Ci aiuta a capire meglio il mondo, la vita, la filosofia, la storia, il subconscio, i macrocosmi? La faccenda ha un interesse universale? No. I cadaveri su un morbido divano non faranno parte della storia, non devono, non possono, sono così ridicolmente borghesi e inutili, che a rileggere la poesia, viene volgarmente ma efficacemente da pensare: “ma c’è o ci fa?”

Ma ecco i versi de “La decisione” che fanno accapponare la pelle per fascinazione e profondità d’orizzonti: Fra gli uomini d’adesso sotto il sole/ uno del tutto buono e dolce non si trova./ Non ci rimane dunque che brindare sole/ e la sventura fuggire altrove./

La poetessa (sic!) si inventa addirittura un’alternata con rima paronomastica (sole/sole) ed un’altra impura (altrove/trova), dove il contenuto raggiunge asperità esegetiche inattingibili. Proviamo a interpretare: poiché prodotti di genere maschile che abbiano una buona qualità, parrebbero irreperibili nell’afa estiva, unico rimedio a questa penuria virile sarebbe per l’altra metà del cielo l’alcol e la fuga. Speriamo di averci azzeccato, perché il pensiero di Gabriella è arduo e riservato a pochi critici eletti, gli stessi che l’hanno fatta pubblicare e fatta diventare “poetessa” con tutti i crismi dei santi in paradiso. Di rado abbiamo letto autrici più complesse e ardite nella concettualità di quel “brindare sole”. Parole buttate a caso, che stridono, poco musicali, senza contenuto. E le poesie della Sica sono tutte così banalmente inefficaci e ridicole che ci si chiede come faccia una pennivendola del genere a dare felicemente alle stampe i suoi capolavori di puro nulla fritto e rimestato nell’olio untuoso e vuoto dell’inconsistenza.. Ne “La resa” chiede poeticamente di dormire al caldo: Stasera perderò ogni ritegno/ stremata ti chiederò un sostegno./ Nel tuo letto accanto a te saldo/ ti chiederò di dormire al caldo./”. 

In “La castità” affronta il tema della sessualità in tre vuoti versi: Di cedere il mio corpo/ casto su un letto sfatto/ non se ne parla neppure./

Pensiamo non ci sia bisogno alcuno di sottolineare ulteriormente la scarsità delle occasionali rimette e immagini di quest’autrice che, nonostante la sua evidente incapacità nella scrittura, nonostante sia completamente priva di qualsiasi talento espressivo, viene considerata da molti una “poetessa” con la p maiuscola. Il suo primo libro di poesie, pubblicato nel lontano 1986 ha vinto perfino il premio Brutium-Tropa. Ha pubblicato anche con Fazi e vinto il premio Camaiore. La Sica ha ideato per la Rai sei video sui grandi poeti del Novecento. Insomma, è una quotata, una che conta, che è arrivata in alto precipitevolissimevolmente, tanto per rimanere in tema barzellettiano.

Resta il fatto evidente che la signora non sa scrivere, ma questo ha poca importanza ormai in un mondo italiota che fa rima con idiota, in cui non conta cosa sai fare o che capacità creative hai, ma da chi ti fai mandare e chi riesci a frequentare tra un morbido divano e l’altro. Ode al salotto dunque che fa prendere a noi infelici e innocenti lettori, lo scotto di buttare i soldi per pubblicazioni di cui possiamo tranquillamente fare a meno e che non rimarranno di certo nella storia della letteratura e della poesia. Se quest’ultima circostanza si dovesse mai verificare infatti, la storia, dovremmo riscriverla da capo buttando tutti i libri alle ortiche.

Post a comment