Lei è un poeta?

Lei è un poeta?

Lei è un poeta?

Il dritto e il rovescio, credit Mary Blindflowers©

 

Di Mary Blindflowers©

Lei è un poeta? Simboli di regressione nell’Ewald Tragy di Rainer Maria Rilke.

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«Lei è un poeta?».

«Non lo so. Qui non si arriva a vederci chiaro. Non si può prendere distanza da se stessi, mancano calma, spazio, prospettiva… Solo poeta? È ridicolo. Anche se fosse possibile non è una posizione. Non rende niente, non fai parte di una classe elevata, non hai diritto a pensione, insomma non hai nessun rapporto con la vita».

Così recita la prosa ammaliante di Rainer Maria Rilke nel breve romanzo autobiografico “Ewald Tragy”. Ed è oltremodo curioso che al poeta, il quale sente la vita in modo profondo, venga poi di fatto negata la capacità di adattarsi alla stessa. Oggi come ieri lo stesso pudore nel dichiararsi “poeta”. La triste consapevolezza che l’arte è quasi un folle percorso, carico di incomprensioni. “Ewald Tragy” è un romanzo intenso che probabilmente merita di essere letto più volte.

Squarci di vita familiare, tipici e indimenticabili bozzetti i cui elementi, scomposti, offrirebbero un lauto pasto alla psicanalisi. Lontana dall’essere soltanto un’opera intimistica, la narrazione tocca l’universalità. La figura ingenua e commovente del giovane protagonista racchiude sentimenti in cui tutti i poeti del mondo possono riconoscersi, senza limiti di tempo o di spazio. Gli episodi di vita domestica, apparentemente innocui, si caricano di riflessi ribelli e di regressione. Tutti mangiano per convenzione. È domenica. Il colloquio col piatto è più importante della comunicazione con gli altri membri della famiglia. Dopo aver mangiato a sazietà, è la volta del dolce. Nessuno ha fame. Eppure il dolce è un rito. Bisogna mangiarlo. Tutti sanno che il giorno dopo i loro stomaci soffriranno, ma il dolce si mangia. È così e basta. Non si discute. Poi lo scandalo di un rifiuto, di un piatto che non vuol essere riempito. Ewald non vuole il dolce. Il suo piatto è vuoto. Non lo capiscono ovviamente: «Al solito, questo distinguersi dalla famiglia. Domani noi staremo tutti male. E lui? È giusto questo?… Tu non sai che cos’è il buono… Assaggia!… Hm, quando uno è tanto giovane… quando uno è tanto giovane…».

Il diciottenne ribelle pensa: «Ma ora che succede? Tra poco, sta’ a vedere, aspetteranno la mia nascita».

Per strada, in una passeggiata al Graben, a fianco del padre. Mezzogiorno di un’estate consunta, stremata. Conversazione tra padre e figlio ridotta ai minimi termini. E il padre rimprovera il figlio: «Hai il cappello impolverato». Il signor Tragy gli ha tolto il cappello dal capo e con le dita guantate di rosso vi dà con attenzione dei colpetti. Con uno scatto di rabbia il giovane strappa “l’abominevole oggetto” dalle mani “cautelose” del padre. È umiliato, piccolo, come se portasse abiti troppo grandi per lui.

Il cappello rappresenta simbolicamente il potere e l’autorità. Il gesto del padre che lascia la testa nuda del figlio esposta agli sguardi indiscreti della gente, è un atto che riporta il giovane poeta ad uno stato infantile. I bambini non hanno autorità, devono ubbidire e subire l’umiliazione di pubblici continui rimproveri. E poi la polvere che richiama la consumazione, la precarietà fino al rimpicciolimento, ad uno stato di mortifico non-essere. Il giovane poeta non è proprio in virtù della strana mania di scrivere versi. La non accettazione della poesia, il non-lavoro per antonomasia, si consuma inesorabilmente nella negazione della realtà ontologica della stessa. Non ha corpo, non ha consistenza, né grado, né tantomeno ritorno economico. Polvere alla polvere. L’arte si sostanzia soltanto in un mondo infantile che l’adulto non può né vuole comprendere. L’artista sfida il dogma e la convenzione. I suoi sono capricci d’infanzia che gli adulti genitori si sforzano di correggere. Lo sottolinea un interlocutore di Tracy, il signor von Kranz. «Abbiamo una sorte comune, caro Tracy. Neppure io sono capito a casa, naturalmente. Dicono che sono esaltato, pazzo… Rinuncio al grado di ufficiale, naturalmente, lo sacrifico ai miei principi…».

Nei dialoghi tra i personaggi emerge l’aspetto piccolo-borghese della famiglia di appartenenza. Il senso di profondo disagio esistenziale e sociale del protagonista va al di là della sua stessa epoca storica, di quell’Ottocento cattolico e convenzionale in cui il prestigio è tutto. Oltre le aspettative della buona famiglia, Tracy è Rilke, poeta universale che supera gli spazi temporali. Spaesato, senza dimora, per certi versi confuso e intollerante a cristallizzate regole, vagabondo.

Il senso di disagio causato da una sensibilità particolare in cui Rilke nasce e muore, lo renderanno estraneo ad ogni ambiente. Per sempre egli sarà il ragazzo che rifiuta il dolce in una terra fatta di suoni e parole che danzano nel tempo.

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