Principesse calve e cespi di lattuga©

Principesse calve e cespi di lattuga©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Perplesso al robot, pastel on paper, by Mary Blindflowers©

 

Nuvoloso andante con sprazzi di sole che spacca il cranio. Ci sediamo davanti al ventilatore. Navighiamo un poco su internet. Troviamo una chicca: “Lettera a mia figlia sugli uomini” di Paola Calvetti:

Gli uomini, ti dicevo. Amali, ma senza farti troppo male. Amali, senza mai mancarti di rispetto.
Sono tremendamente imperfetti, credimi, a volte sono rozzi, e spesso non trovano le parole…anzi…stanno semplicemente troppo zitti, quando tu avverti il desiderio di essere inondata di verbi, sostantivi, vorresti che usassero, l’infallibile intelligenza del cuore, piuttosto che la labile ragionevolezza della mente. Spiega loro il coraggio, la lealtà … l’invincibile …magica, potenza di un abbraccio, il languore di una carezza tra i capelli. Infine sposali, soltanto quando avranno imparato ad asciugare quella lacrima sul ciglio dei tuoi occhi fieri.

Impallidisce l’”If” di Rudyard Kipling al figlio di fronte allo spessore di questa lettera di Paola Calvetti alla figlia per avvertirla degli uomini malfidati e perversi affossatori di femmine! La profunditas, il bàthos di questa missiva decolora l’immagine della virgiliana eroina Didone sul rogo attizzato per amor del transfuga Enea! E ancora una volta ci si meraviglia che l’onomastica di tale autrice mostri irriverenza verso simili capacità analitico-introspettive: Paola dal latino paulus, “poco”, Calvetti da calvus, allusivo alla glabra superficie cerebrale che qui ci immagineremmo specchio e pendant della selva endocrania fitta ed inestricabile! Che ossimoro! Che beffa! Meriterebbe maggiore corrispondenza semantica, in barba al “Nomina Consequentia Rerum”!

Peccato nel lessico si rischi qua e là l’equivoco: “amali senza farti troppo male” sembrerebbe alludere ad un impulso eretistico così forte da procurare vulvalgiche lacerazioni a primo impatto fallico! Trattando l’argomento occorrerebbe maggior cautela… omnicomprensivamente! “Amali senza mancarti di rispetto”: rispetto da re-spectum, da re, prefisso iterativo e spiralizzatore dell’azione del verbo base che è specio, is, spexi, spectum, specere, guardare. Perché una ragazza, amando un uomo, dovrebbe perdere la facoltà di guardare se stessa e sostenere a lungo il proprio sguardo? Non è dato saperlo! Così come volgare koinòs tòpos è quello dell’uomo semplicemente troppo zitto: ho conosciuto donne esasperate dalla loquacità del proprio compagno! Né ci è chiaro questo impulso eiaculatorio grammaticale che angoscerebbe una femmina deprivata di lemmi esprimenti azioni e nominalismi. Come altra trivialità risulta “l’infallibile intelligenza del cuore”, dacché molti uomini han preso cantonate terribili scegliendo la propria compagna in base ai suggerimenti emotivi della sfera istintiva; e non è analogamente vero che la ragionevolezza della mente sia labile, da labor, eris, lapsus sum, labi, cioè scivolosa, poiché scegliere una compagna che deve esser madre dei propri figli, presuppone un’accurata docimologia delle sue capacità gestionali, delle attitudini al sacrificio e alla donazione di sé e questo non si può fare sulla base di una pulsione erotica e sentimentale tout-court!

Lasciamo perdere la chiosa per amor di Parce Sepulto! C’è tutta la tematica da festival sanremese gravida di califanismi e bobbysolismi. Francamente credevamo avessero saturato scrittrici così duttilmente profonde!

Anche gli aforismi della Calvetti ci hanno colpito profondamente. Leggete questo: “Sono una timida, ma questo particolare del mio carattere è noto solo agli intimi. Per tutti gli altri sono un tipo estroverso dalla parlantina facile e ridondante”.

La comunicazione al lettore della sua timidezza, che saprebbero solo gli intimi, tant’è che ce lo comunica in un blog pubblico, sarebbe un aforisma, secondo i canoni di questa scrittrice. Poi imperterrita continua con notazioni interessantissime: “Ho le labbra screpolate, i piedi congelati e i capelli arricciati a cespo di lattuga”.

Siamo dispiaciuti che la Calvetti, a dispetto del suo nome, porti una lattuga al posto dei capelli, dev’essere seccante, ma se la scrittura è superare il concetto personale del sé, qui l’esperimento di comunicazione al lettore, appare del tutto fallito. Per le labbra esistono in commercio ottime creme idratanti, per la scrittura, purtroppo, non si può fare nulla. Ma non c’è da preoccuparsi, tanto la signora pubblica inspiegabilmente con Mondadori, Baldini & Castoldi, Bompiani… L’Italia del resto è il Paese dei misteri mai risolti, quindi, alla nostra età, non ci meravigliamo affatto di quel che accade.

Ovviamente i romanzi della Calvetti parlano d’amore, il tema innocuo che fa vendere, non disturba nessuno e aiuta a fare carriera molto rapidamente, specie se si arriva da celebri trasmissioni televisive o da grandi quotidiani a tiratura nazionale, che, guarda caso, assumono subito dopo essersi laureati. Poi le malelingue dicono che c’è il problema della disoccupazione. Ma quando mai?

 Tra principesse calve e lattughe, si profila un miracolo tutto italiano.

 

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