L’esistenza del nulla e la fisica quantistica

L'esistenza del nulla e la fisica quantistica

L’esistenza del nulla e la fisica quantistica

Di Mary Blindflowers©

Intrichi al nulla, foto Mary Blindflowers©

La fisica quantistica nega l’esistenza del Nulla, preferendo parlare di vuoto con relativa racchiudente cornice. Anche il vuoto assoluto inoltre non sussisterebbe perché l’universo sarebbe carico di flussi energetici a volte non rilevabili, ma il fatto che la strumentazione tecnica umana non possa rilevarli, non significa necessariamente che non esistano. Dunque vuoto e nulla sarebbero due non entità. Eppure filosoficamente il rapporto tra il non essere e l’essere è per paradossale necessità prettamente umana, esistente. Nessuno, ad esempio, può provare l’esistenza di Dio, così come la non esistenza. L’idea di Dio non ha una sua tangibilità, eppure quest’idea che non si può provare né toccare, ha influenzato la vita di milioni di persone nel mondo, attraverso le religioni rivelate e il dogma. E il nulla, enormemente sottovalutato, si insinua nella coscienza dell’uomo, fino a fargli avvertire, talvolta, uno stato di profonda depressione fisica e morale. Il nulla non entità nata dalla stessa imperfetta natura umana, ha una forza talmente corrosiva, da avvolgere l’uomo come fastidiosa sensazione. E il senso del vuoto si avverte in relazione a sensi di impotenza, di inutilità e di morte che l’artista spara sulla tela o sulla pagina bianca come polisemantiche metafore. Le maschere di De Chirico e gli amanti di Magritte non hanno volto, il cavaliere di Calvino è inesistente. Il frontespizio de La filosofia del boudoir di Heisler presenta una donna con il volto coperto da catene. Francis Bacon cancella il volto dei soggetti che ritrae. Siqueiros ne La nostra immagine attuale, sostituisce l’intero volto con una pietra negante l’io in litico anonimato. Matisse nell’arte del disegno accenna occhi bocca e naso che sembrano cancellati come orme che abbiano lasciato un’impronta. Paola Mariotti nella copertina per “L’uomo che non parla” del poeta Massimo Palladini, che sta per essere dato alle stampe, esplode una metafora significante e artistica di rosso e nero senza volto.  Il nulla corrode le coscienze a tal punto da trascinare con se la grande e sempreverde metafora di Thanatos. Non essere nulla, essere nulla. Negazione e affermazione che significano la stessa identica cosa, nella prospettiva di una non entità che si auto replica all’infinito nella sua aberrante e sconcertante non esistenza. E chi l’ha detto che per graffiare un concetto ha bisogno di esistere nella realtà fisica? E contro l’annientamento del nulla, per evitare quell’orrore di essere trascinati nel
non essere perpetuo, ecco i riti dell’uomo sul morto, la sua preparazione, l’idea che possa vivere in un oltre idilliaco. E ciascun popolo elabora i suoi miti contro e per il cadavere, involucro inane, pietra dello scandalo, nodo gordiano, spauracchio, ferita dell’anima, contenitore di quel nulla che si vuole combattere a tutti i costi, attraverso pratiche spesso ridicole e assurde. Così c’è chi sotterra il caro estinto, chi lo arde, chi lo imbalsama, chi lo
lascia ai corvi nelle torri del silenzio. In un bel libro di Poggi, pubblicato dai Fratelli Treves nel 1929, “Misteri e religioni dell’India”, si descrivono i riti funebri dei Parsi con la loro Torre del silenzio o Dakhma.  Si tratta di una costruzione rotonda, fatta di solida pietra con alcuni gradini conducenti ad una porta di ferro, che si apre su una piattaforma nel cui centro si apre un pozzo lastricato di pietra. La piattaforma interna della torre si suddivide in tre cerchi di nicchie dette pavi, rappresentanti i tre precetti morali della religione di Zoroastro: “buone opere, buone parole, buoni pensieri”. Il primo cerchio più lungo è per i cadaveri degli uomini, il secondo delle donne e il terzo dei fanciulli. Il pozzo centrale o bhandar, profondo 45 metri, è collegato a 4 condutture sotterranee che si dipartono in quattro pozzetti coperti di sabbia. Il pozzo deve accogliere le ossa dei cadaveri spolpati dagli uccelli dopo essere stati deposti dai becchini nella pavi. Scrive Alberto Poggi: “Posto il morto nella pavi, è dai becchini spogliato rapidamente, ma non completamente, dapprima per attirare lo sguardo degli uccelli rapaci, in modo che accorrano subito in gran numero e lo distruggano al più presto; quindi, finito di spogliarlo, si ritirano rapidamente e richiudono a chiave la Torre: un inserviente, intanto, battendo le mani, annuncia a parenti ed amici che il macabro pasto di corvi e avvoltoi e cominciato, e il funerale è finito. Allora tutti si alzano, e, pregato pel morto, sciolta la connessione, ossia abbandonato il paiwand, si bagnano il viso e le altre parti esposte del corpo con urina di vacca e tornano a casa”[1].

Il testo di Poggi, Misteri e religioni dell’India, descrive con dovizia di particolari, anche le complesse cerimonie che precedono il trasporto del morto alla Torre del silenzio, saziando le curiosità scientifiche ed antropologiche di chi vuol sapere di più sui riti e miti di religioni diverse dalla propria.

In realtà la complessità pratica e simbolica del cerimoniale ha soltanto lo scopo di scongiurare il Nulla, e quell’orrore universale ed ancestrale che esso ispira in tutte le parti del globo terracqueo. Quindi prima di dire a qualcuno “non sei nulla”, ricordiamoci che il Nulla ha spesso più forza del “tutto”, perché esiste e non esiste e intrattiene con il “tutto” relazioni dalle radici complesse e profonde. I miti sono soltanto la punta dell’iceberg del nulla e delle paure che esso ispira.

[1] Alberto Poggi, Misteri e religioni dell’India, Treves, 1929, pag. 32

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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