Puttanesimo e dintorni

Puttanesimo e dintorni

Puttanesimo e dintorni

Di Annamaria Bortolan©

Mestizia, smalto su cartoncino rigido, by Mary Blindflowers©

Fermi tutti! Aprite bene le orecchie e tenetevi forte perché il successo della scrittrice Valérie Tasso è molto di più che una storia di un banale puttanesimo. Dall’alto bordo di letti morbidi e accoglienti, fra lenzuola profumate ma anche nella malinconia cimiteriale, fra ossa, crani e vermi, l’autrice ha donato generosamente ed eroicamente se stessa, in momenti che più che da considerare erotici appaiono triviali, data l’abbondanza di particolari osceni, ma che comunque rappresentano la quintessenza di ciò che il mondo editoriale contemporaneo acclama e applaude. E la sua carriera personale non è da meno: nel 1991 project manager a Barcellona, nel 2003, anno della pubblicazione del Diario di una ninfomane, ospite di importanti programmi televisivi per via del volume pubblicato con Random House Mondadori. Dall’ufficio al bordello, dall’anonimato alla notorietà il passo è stato facile. Tradotto in ben quindici lingue, con un film all’attivo, il Diario di una ninfomane ha preceduto di qualche anno il Diario di una donna pubblica (edito prima da Random House Mondadori e poi da Marco Tropea, ed è a quest’ultima edizione che ci riferiremo nelle citazioni) che, con non poco disgusto, abbiamo tentato di leggere integralmente. Tra mutande sporche, manici di spazzolini da denti infilati nel culo, pisciate epiche e natiche sudate, non siamo riusciti ad arrivare fino in fondo al volume senza provare un vivo senso di nausea. In questa sua seconda performance pseudo-letteraria, la Tasso annota meticolosamente ciò che accadde prima, durante e dopo la pubblicazione della sua opera prima, ovviamente riservando un’attenzione speciale alla sua camera da letto e al gabinetto; autocommiserandosi e impartendo lezioni di morale agli impediti, tormentati da atavici sensi di colpa, e pertanto incapaci di cogliere la profondità della sua libera scelta di vita, coinvolgendo persino Michel Houellebecq con una dotta citazione (“La gente non sopporta i discorsi onesti”) che c’entra con il contesto della sua particolare vocazione come un dito nel naso a una serata di gala. Ma vediamo in dettaglio in cosa consiste questa sua “onestà”: “Non ho mai svenduto il mio corpo. Questo mi è ben chiaro. Ho messo a disposizione le mie competenze in campo sessuale in cambio di un ritorno economico più o meno allettante. Come può fare un avvocato con un cliente” (p. 13) e, ciliegina sulla torta, abbondando di riferimenti alla “tenerezza autentica”, alla “complicità” e persino all’”amore fraterno”, Madre Valérie di Calcutta sembra commentare un testo biblico quando aggiunge: “La santa sposa può definirsi tale perché esistiamo noi, le presunte ragazze perdute. Senza di noi, non potrebbe definire se stessa (…) Siamo il pilastro dell’istituzione del matrimonio (…) Una società come quella in cui viviamo dovrebbe applaudire le nostre fatiche e trattarci con tutti gli onori” (p. 15). Amen.

A qualche persona attenta, non sarà sfuggito che quanto viene da lei auspicato, in realtà esiste già. Sì, perché anche se le femministe ce l’han messa tutta per risollevare il destino della donna da merce sessuale a essere pensante, evidentemente a più di una signora il ruolo di bagascia non sta stretto. Avendo notato che aprendo le gambe si aprono molte porte, l’Italia puritana assiste ormai da anni al revival di un puttanesimo bigotto, metodicamente praticato come fosse una religione. Il capufficio non vi considera? Via la mutanda e trac! Come per magia eccolo che inizia a interessarsi del vostro lavoro e di quanto siete brave. C’è quell’esame in facoltà che vi preoccupa? Niente paura, la potenza di un perizoma sfilato con destrezza può ammorbidire anche il più incallito dei docenti. Il commercialista non fa sconti? No problem, qualche ammiccamento seguito da una generosa esposizione del deretano all’aria di una camera da letto, o di uno studio tecnico, e la parcella diventa ragionevole. I dintorni di un simile stile di vita comprendono la pubblicazione facile di molti romanzi privi di un benché minimo valore letterario, le facilitazioni nell’ottenimento di un lavoro ben remunerato, magari senza nemmeno avere i titoli per svolgerlo, lo scavalcamento di graduatorie ed elenchi redatti secondo criteri di merito che non tengono conto della profondità vaginale e, addirittura, nella vita personale extra-lavorativa, una diffusa stima sociale in grado di agevolare i contatti fra gente che conta, alimentando relazioni e persino qualche più o meno stabile convivenza.

In un mondo di porci, l’unica competenza frequentemente richiesta è, purtroppo, quella in cui la Tasso può dar lezioni di ripetizione. D’altronde, la buona scuola italiana non è di fatto costruita attorno al sistema delle famigerate “competenze”? E allora perché non inserire pure la capacità di gestire il proprio corpo in situazioni erotiche estreme fra le voci della pagella? Vista l’importanza data al sesso…

Se non siete ancora svenuti, tenetevi perché stiamo per citare un altro pezzo di bravura scritto dalla nostra disinibita autrice: “Mi rendo conto che ho smesso di giocare con le bambole a trentun anni. Secondo voi perché hanno inventato la Barbie? E il suo fidanzato Ken? Ma per questo, perché i bambini studiassero l’anatomia, la loro anatomia. (…) E quando uno gioca alle bambole, non se ne pente. Al contrario: si diverte a spogliare quegli esseri inanimati non per cambiargli i vestiti, ma fondamentalmente per vederne il sesso. E conoscere. E imparare. È vero, io ho smesso di giocare alle bambole a trentun anni, quando ho abbandonato la prostituzione. E ovviamente non sono pentita” (pp. 16-17). Anni di psicanalisi per nulla. Sotto sotto la causa di tanti disagi infantili sta forse nell’aver giocato con le bambole soltanto per cambiar loro i vestiti?

L’unico aspetto della vita privata di Valérie Tasso che viene appena sfiorato nel Diario di una donna pubblica ma che invece avrebbe potuto benissimo costituire il nucleo narrativo principale (se l’autrice avesse voluto cimentarsi in un lavoro dal sapore letterario piuttosto che in una squallida volgarità) è il suo passato matrimonio con Jaime, un uomo violento più vecchio di vent’anni che si faceva mantenere da lei e da un’amante, sperperando tutti i suoi soldi senza ritegno. Ecco, questa sarebbe stata la storia che avremmo voluto leggere. Questa sarebbe stata la lacrima che avremmo voluto intravedere tra una riga e un’altra, il dolore che accomuna tante donne e che avrebbe potuto rendere questo memoir un libro degno di essere letto.

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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