Marcello Venturi, L’ultimo veliero

Marcello Venturi, L'ultimo veliero

Marcello Venturi, L’ultimo veliero

 

Fotomare, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

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Marcello Venturi, L’ultimo veliero

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Maestrelli Bernardo fu Giovan Battista, detto il Capitano, è protagonista di un’avventura che sfida la vecchiaia e la morte. Egli è l’anima di un gruppo di vecchi lupi di mare, costretti a vivere in un ospizio di monache. Ogni giorno la madre superiora, li manda in giro con una cassetta sotto il braccio per chiedere l’elemosina ai villeggianti.
Ma il Capitano non si rassegna, non vuole finire i suoi giorni nel chiuso dell’ospizio. Scruta il mare in attesa di un segno. Qualcosa deve succedere prima o poi, prima che la morte lo sorprenda e lo beffi… Aspetta oggi, aspetta domani, ecco che il sogno si materializza, tanto da poterlo toccare.
Una sera, al tramonto, il sogno compare all’imboccatura del porto. Si tratta di un trealberi mal ridotto, simile ad un uccellaccio ferito, il veliero atteso per anni. L’ombra cupa delle alberature sull’acqua.
E il Capitano, Sartiame, Cannocchiale, tutti i vecchi dell’ospizio, ricominciano a sentirsi vivi, il sangue scorre caldo nelle vene, come quando navigavano e conoscevano tutti i segreti del mare e del vento. Il veliero è stato venduto al cavalier Pinotti, arido tipo d’imprenditore, che vuol farne legna da ardere. E i vecchietti vogliono ricomprarlo, rimetterlo in sesto e prendere il largo.
Sogno di libertà, per continuare a vivere. Non importa dove si va, l’importante è allontanarsi da tutto ciò che imprigiona corpo e anima, correre lungo le onde infinite dell’oceano. Un sogno universale di salvezza, una favola per tutti, un libro senza tempo che potrebbe essere stato scritto oggi.
Dialoghi puliti e diretti che dalla mente arrivano al cuore. Felicissimo il brano di conversazione del Capitano con la bonaria monaca che lavora in cucina. Botta e risposta. Come sottofondo, perfettamente si incastrano alle voci dei due interlocutori, le parole in libertà e il clangore degli avventori d’osteria. Essi imbastiscono, (tra abbondanti quarti di vino, risate e chiacchiere), scommesse sulla riuscita o meno del piano del Maestrelli. Ci sembra di vederli, questi personaggi, vestiti di panni popolari. Man mano che ci addentriamo nella lettura tocchiamo l’atmosfera fumosa dell’osteria, tanto aborrita dall’arcigna madre superiora. E lo vediamo, tenero e accogliente, quel mare tanto decantato dai canuti marinai. Mare infinito, senza posa, mare che combatte con la sua ignota forza contro il noto della quotidianità. E’ il mistero libero della vita contro la morte annunciata e la clausura forzata dell’ospizio. E’ il grido di chi non cede e non si rassegna, di chi vuol afferrare con le mani nude il corpo intero del proprio destino e stringerlo fino a possederne interamente l’anima. Maestrelli, novello Odisseo alla rovescia, guarda l’infinità della salsa distesa marina e sente l’angoscia che smaga. Vuole udire chiaro e senza tappi il canto delle sirene. L’ignoto lo attrae come la calamita il ferro, un desiderio irresistibile…

Che dire poi della pericolosità stessa del mare? Di quel suo agitarsi, fremere e impazzire durante le tempeste? Si, anche a questo. La follia degli elementi spezza la monotona sicurezza della vecchiaia passata tra quattro mura. Il rischio si accetta, fa parte del gioco della vita, anzi la rende più saporita. La noia, la certezza, la prevedibilità, il sapere esattamente cosa farai domani alla stessa ora di oggi, niente brividi né scosse! Odiosa prospettiva. Odiosa perché generata dalla morte stessa, da una sensazione di elmintico decadimento.
Ad Achille Tetide, venne offerta la possibilità di scegliere: una vita lunga e noiosa oppure breve e avventurosa? Il semidio non ebbe dubbi, optò per la seconda soluzione.
Il veliero strappato alla morte diventa simbolo del vecchio corpo dei marinai. Lo rimettono in forze, amorevoli curano il fasciame, lo spalmano di pece. Un modo per prendersi cura di se stessi, per buttare in faccia al mondo la tangibilità della loro esistenza terrena. Si, ci siamo, siamo vivi e non siamo rottami, non ci sentiamo ancora pronti per far banchettare Thanatos. Opponiamo alla morte l’energia virile della barca, “l’uccellaccio ferito” che ancora pulsa e sfida la morte, il nostro essere uomini, ancora e per sempre.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=nf6X717A7zk

Comments (2)

  1. Barbara Marenzi

    Mi sembra di vederli questi vecchi lupi di mare,sono li in mezzo a loro mentre piallano e levigano le tavole del veliero per rimetterlo a nuovo,mentre sostituiscono le corde e le vele con il loro rinato entusiasmo. Per loro la vita ha riaperto le braccia!

  2. Destrutturalismo

    Si tratta di un libro intenso e di un autore anche poco conosciuto dai più. Un viaggio avventuroso attraverso la riscoperta di gioielli letterari surclassati dal rumore di autori più popolari.

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