La radice del dio e delle streghe

La radice del dio e delle streghe

La radice del dio e delle streghe

Di Mary Blindflowers©

Foto Mary Blindflowers©

Leggende, riti, miti legati alla pianta di mandragola. Un itineraio sui sentieri della favola e della simbologia con riferimenti bibliografici precisi ed accurati. Il libro di Gianluca Toro, “La radice di Dio e delle streghe”, pubblicato da Yume, ci apre un sentiero ben documentato sugli impieghi nelle varie civiltà della pianta magica più conosciuta al mondo, metafora biblica di dio e allucinogeno stregonesco. “La pianta che grida”, di natura psicoattiva e leggendaria, conserva ancora oggi un fascino inossidabile legato alle storie di vari personaggi e civiltà.

Un libro interessante in cui l’autore sottolinea non solo l’aspetto magico della solanacea nei
vari tempi e società, ma si sofferma sull’aspetto chimico e farmacologico, sugli effetti collaterali successivi alla sua ingestione: “in un ricettario italiano anonimo del ‘500, si riporta
che chi avesse bevuto il succo di mandragora oppure ne avesse ingerito i frutti o le radici, sarebbe caduto in uno stato di alienazione mentale”, con segni di schizofrenia e sonno profondo… “Quattro contadini mangiarono foglie di mandragola come insalata, credendole commestibili. Dopo qualche ora, furono colti da una strana agitazione dello spirito. Il primo non era in grado di stare in piedi, il secondo correva nudo, il terzo salì disperato sul tetto della casa gridando che vi erano i ladri, mentre il quarto si scorticò il corpo con le unghie…”. Il fumo di mandragola, e la radice causano ebbrezza, senso di malessere, narcosi, allucinazioni e visioni di immagini sospese in aria con perdita del senso dell’orientamento. Non a caso la pianta veniva utilizzata come inebriante rituale. Nel nord era in uso una “miscela di cicuta, giusquiamo, zafferano, aloe e mandragora, solano, semi di papavero,
assafetida e rosmarino di palude”, di cui, dopo un digiuno di 8 giorni, l’officiante doveva respirare i fumi, dopo aver riscaldato le piante in una padella. Così si esorcizzavano gli spiriti dei morti. Alla mandragola la tradizione magica attribuiva infatti potere apotropaico di difesa dai demoni: “Nonostante tanti pericoli, questa pianta è molto ricercata per una qualità unica: solamente avvicinandola espelle subito dagli infermi i cosiddetti demoni, cioè gli spiriti degli uomini malvagi che si introducono nei vivi e li uccidono, se non li si aiuta… Lo Pseudo Apuleio, nell’Herbarium, consigliava di tenere una mandragola in casa per espellere tutte le
presenze malvage…”.

Toro si sofferma anche sull’interpretazione cristiana della pianta in forma umana che “grida”,
utilizzata, secondo Origene, come metafora di assopimento delle passioni per evitare di cadere nel peccato: “Come dicono gli studiosi di medicina, la madragola ha l’effetto di addormentare, ma non di uccidere, se presa in dose giusta. Altrettanto deve fare il cristiano: può non uccidersi, ma deve assopirsi al peccato. Come coloro che hanno bevuto la mandragola non si accorgono più dei moti del loro corpo, così gli esperti delle virtù devono vuotare il calice e addormentare placidamente le loro passioni”. Un meccanismo di annullamento dei sensi, boia del cristianesimo, pericolo. Il corpo diventa così, sede del peccato e viene concepito come necessariamente scindibile dal corpo, in una dinamica aberrante, secondo la stessa logica che porterà poi l’invenzione della religione a concepire come unica purezza una donna svuotata dei suoi attributi sessuali, Maria, sempre vergine, e un uomo che partorisce da una costola, sostituendo l’organo femminile con un surrogato
maschile, in prospettiva assurdamente fallocentrica.

L’uomo perfetto è stordito, così non può pensare lucidamente. Dio non ama il sapere perché è pericoloso: “La mandragola è un’erba che da un sonno così profondo che si può operare un uomo chirurgicamente senza che egli avverta dolore. Nella mandragora dunque viene simboleggiato il tendere alla contemplazione. Questa fa cadere l’uomo in un sonno di così preziosa dolcezza, che egli non sente più i tagli cagionati in lui dai suoi nemici terreni, e non bada più alle cose mondane. L’anima, infatti, ha chiuso i suoi sensi ad ogni cosa esteriore e
giace nel buon sonno dell’interiorità”.

L’uomo deve diventare una pecora inconsapevole, stordita, deve trascurare il suo corpo, immergerlo in un sonno da mandragola, per poter capire Dio, ossia per cominciare a non capire quasi niente di tutto il resto.

Il libro di Gianluca Toro, senza moralismi e senza suggerimenti su come interpretare i dati, è prezioso perché raccoglie con pazienza certosina, informazioni che poi il lettore può interpretare, capire, utilizzare per riflettere e pensare, uno sport ormai in disuso nel bel Paese.

Le notizie non sono fini a se stesse, ma operano una stimolazione del pensiero. Leggetelo dunque, e stimolatevi la mente, ne vale la pena.

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