Machiavelli (parte IV)

Machiavelli (parte III), borghesia

Machiavelli (parte IV)

Di Mary Blindflowers©

Foto Mary Blindflowers©

Il clientelismo politico ha viziato e corrotto profondamente il rapporto degli elettori con i loro rappresentanti politici, creando una rete attraverso cui si concretizza il voto di scambio, la corruzione nella pubblica amministrazione, l’assegnazione di certe cariche tramite “raccomandazioni”, in un sistema di “spinte” e “controspinte” che, paradossalmente hanno finito con l’indebolire la politica, considerata oramai da tutti i cittadini italiani come “una sporca faccenda”.

Il concetto di “rete” si configura come categoria ancora più ampia rispetto al clientelismo. Scrive Barnes:

“Ogni persona è in contatto con un numero di altre persone, alcune delle quali sono direttamente in contatto l’una con l’altra mentre altre non lo sono. Similmente ogni persona ha un numero di amici, che a loro volta hanno altri amici; alcuni degli amici di una persona si conoscono l’un l’altro, mentre gli altri non si conoscono. Trovo utile parlare di un campo sociale di questo tipo come di un network”1.

La “rete” che riproduce il detto mafioso “Amici degli amici”, secondo la cosiddetta “logica del beduino”,2ha creato disgusto per la politica. Perfino il voto, l’unico strumento a disposizione del cittadino, ormai è corrotto da cronica e insanabile sfiducia. Ci si accorge che la finta democrazia ha creato, tramite le alleanze trasversali e i favori tra partiti ideologicamente anche molto differenti, il mostro di un voto non voto. In pratica l’elettore non vota veramente chi vota, ma coloro che in virtù di strategiche alleanze, finiscono con l’avere il suo voto, pur non essendo stati, di fatto, mai realmente votati. Un sistema paradossale dalle fondamenta marce. Pur di sedere sullo scranno del potere si rinnegano perfino i fondamenti su cui si basa la storia dei partiti, per cui si vedono spesso partiti di destra allearsi con forze di sinistra, “per avere più voti”. Un gioco al massacro, dei cittadini s’intende. Le informazioni inoltre sono veicolate da giornalisti sempre politicamente schierati che manipolano gli accadimenti adattandoli alle esigenze del partito dentro cui militano o verso cui provano “simpatia”. Le grosse testate sono tutte condizionate dal sistema partitico, per cui la figura del giornalista ha perso credibilità e serietà, dato che si può dire solo ciò che si può dire, per esprimersi con un gioco di parole. I liberi pensatori vengono censurati, come è accaduto agli scritti di Machiavelli. Gli articoli vengono “depurati” di tutto ciò che appare incompatibile con gli interessi di persone che contano. Il giornalista non può opporsi all’epurazione dei suoi articoli, se lo fa viene automaticamente bannato dal sistema e isolato.

I piccoli giornali indipendenti, chiudono, per mancanza di finanziamenti adeguati. Lo Stato italiano infatti, non ha alcun interesse a finanziare giornali che enucleano verità super-partes.

Parlare di libertà di stampa appare davvero azzardato in una realtà del genere.

Nei piccoli comuni italiani ancora vige l’usanza da parte dei candidati sindaci di recarsi assieme ad alcuni amici nelle case del paese “per chiedere il voto”.

Per esperienza diretta avendo vissuto in un piccolo paese dell’entroterra del Logudoro-Mejlogu, so che l’elezione del sindaco avviene tramite “promesse e scambi di favori”. Il candidato o gli amici del candidato, in genere persone del suo partito che lo sostengono e curano la sua campagna elettorale, si accomodano nelle case, iniziano a parlare del tempo, delle mezze stagioni, chiedono al padrone di casa, (che tra l’altro sa perfettamente il motivo della visita), come sta, se i figli stanno bene, se studiano, se hanno bisogno di qualcosa, se il marito sta lavorando, se sta in buona salute, insomma fingono di interessarsi alla sua vita. Dopo una breve significativa pausa chiedono il voto, promettendo che se verranno eletti il marito magari disoccupato troverà miracolosamente il lavoro, i figli avranno sussidi per gli studi, la cultura verrà valorizzata, etc. A volte si sentono rispondere che il voto non lo avranno perché è stato già promesso ad un parente o ad un amico di un amico che ha fatto visita prima di loro…

Una situazione kafkiana in cui tutti sono carnefici e vittime contemporaneamente, succubi di un sistema mostruoso vissuto come normale.

Fino a non molto tempo fa le indicazioni di voto dal pulpito erano molto forti. Il prete indicava ai fedeli la strada politica da percorrere e il simbolo sotto cui nella cabina elettorale, si doveva mettere la X. Praticamente per non andare all’inferno i fedeli dovevano votare “il partito di Dio”, condensato in due belle lettere: DC.

Oggi la DC non esiste più ma le stesse facce di sempre, riciclate in vari partiti, si trovano ancora in formazioni di ispirazione cattolica se non addirittura nei partiti di sinistra, perché il politico corre dove soffia il vento.

E i preti dall’alto dei pulpiti, seguendo le indicazioni del Vaticano, tuonano contro i matrimoni civili dei gay.

Il 28 maggio 2016 Don Massimiliano Pusceddu3, Parroco di Decimoputzu, condannava apertamente le posizioni politiche della sinistra, tuonando dall’alto del pulpito:

“Gli omosessuali sono colmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità, diffamatori, maldicenti, nemici di Dio… Pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa”.

Fino a poco tempo fa i candidati della DC incaricavano le monache che dirigevano gli ospedali di far sapere loro se qualche malato avesse necessità di essere accompagnato al luogo del voto, perché magari non poteva deambulare. Insomma, erano così caritatevoli e altruisti che ci avrebbero pensato loro ad accompagnarli, perfino con l’ambulanza, suggerendo pure dove dovevano mettere la crocetta affinché i poveri elettori non bruciassero tra le fiamme dell’inferno:

“Quando mia madre, anziana, era in ospedale, sto parlando di fine anni 80, vennero due monache tutte sorridenti e ci dissero che se mia madre voleva “votare Dio” e fare il suo dovere, poteva farlo perché due signori molto gentili l’avrebbero accompagnata in ambulanza e riportata poi in ospedale, senza problemi. Fecero un discorsetto sui doveri civici del cittadino che, anche se malato, deve votare per il bene dello Stato e di Santa Madre Chiesa e di Dio che ci vede anche nella cabina elettorale e sa tutto di noi. Mia madre disse che non le interessava niente di quel che andavano cianciando e che non si sarebbe mossa da dove stava e che Dio non si era ancora candidato alle elezioni, per quanto ne sapesse lei, a meno che non le fosse sfuggito qualcosa mentre stava in quel letto d’ospedale. Poi disse che doveva andare in bagno e chiese loro di illuminarla su una questione che l’angustiava da anni, anzi da quando era piccola, una faccenda a cui nessun prete era riuscito a rispondere. Chiese alle due monache che si erano fatte rigide come manici di scopa, se Dio potesse vederla anche mentre faceva quel che tutti fanno al bagno. Lo disse ridendo. Le monache non avevano il senso dell’umorismo, si fecero serie e cambiarono espressione, aprirono la bocca per dire qualcosa, poi rinunciarono, stizzite, si segnarono e se ne andarono senza nemmeno salutare, scure in volto”4.

E in tutto questa dinamica manipolatoria che fine fanno i liberi pensatori? Quelli che vanno, tanto per rifarci al capitolo XV de Il Principe, “drieto alla verità effettuale della cosa”, piuttosto che fermarsi alla “immaginazione di essa”5, sono entità perse nell’anonimato. Quelli che non si sentono in dovere di stendere o alzare il braccio in pubbliche bacheche, quelli che non stanno da nessuna parte e ignorano i deliri dei preti, perché vogliono pensare con la propria testa, finiscono nel dimenticatoio, ignorati e snobbati dalla cultura ufficiale. Essi sono fuori da qualsiasi circolo, bannati, disintegrati, ostracizzati da tutti sia “sinistrati”, che “addestrati” e “catto-bigotti”.

Tutti li odiano e danno loro l’appellativo di folli.

Carriera chiusa, mai iniziata.

Presenze indesiderate in quello strano stivale chiamato Itaglia, sì, Itaglia, avete letto bene, non è un refuso, ma l’Italia che taglia le menti in nome di Super-ego circolare e prestampato da secoli di lassismo e vigliaccheria borghese.

Gli italiani sono questo. E sono così fin dall’epoca di Machiavelli, anzi, dirò di più, fin dall’epoca romana6. Quando ancora gli italiani non erano stati “fatti” nell’Italia unita, c’erano già le basi di corruzione e mafiosità che poi hanno costruito la situazione attuale.

1Barnes citato da F. Piselli (a cura di). Reti. L’analisi di network nelle scienze sociali, Roma, Donzelli editore, 1995, p. XIII. Si veda anche L. Musella, Clientelismo, tradizione e trasformazione della politica italiana 1975/1992, Guida Editori, Napoli, 2000, p. 97 nota 17.

2«Obblighi personali e reciproci, catene di amici degli amici, (secondo la cosidetta logica del beduino: chi è tuo amico è mio amico, chi è tuo nemico è mio nemico) fondati sul rispetto, una rete insomma divincoli di clientela…», F. Mazza (a cura di), Gioia Tauro: storia, cultura, economia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 273.

3 Il parroco, tra l’altro, ex pugile, è stato messo sotto processo per aver minacciato con una pistola il marito di una donna che gli avrebbe confessato alcuni problemi di coppia.

4 Testimonianza di un’anziana.

5 «Resta ora a vedere quali debbano essere e modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere tenuto presuntuoso, partendomi, massime nel disputare questa materia, dalli ordini delli altri. Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso piú conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla imaginazione di essa. E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero. Perché egli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si doverrebbe fare impara piú tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene ruini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità. Lasciando adunque indrieto le cose circa uno principe imaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti gli uomini, quando se ne parla, e massime e principi per essere posti piú alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo lo laude. E questo è che alcuno è tenuto liberale, alcuno misero (usando un termine toscano, perché avaro in nostra  lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l’uno fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato e pusillanime, l’altro feroce e animoso; l’uno umano, l’altro superbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero, l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile; l’uno grave, l’altro leggeri; l’uno religioso, l’altro incredulo, e simili. E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa in uno principe trovarsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone; ma perché le non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, gli è necessario essere tanto prudente che sappi fuggire l’infamia di quelli vizii che li torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano guardarsi se gli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali e’ possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtú, e seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà e il bene essere suo». N. Machiavelli, Il Principe, Cap. XV.

6Cicerone concepiva l’amicizia come un mezzo per ottenere consensi politici. Cicerone cambiò spesso bandiera e opinione a seconda delle necessità del momento, inoltre sulla attendibilità delle prove che raccolse nel processo a Verre, alcuni storici hanno avanzato dei dubbi. Quello a Verre fu un processo spettacolo che garantì a Cicerone una carriera sicura e le sue accuse non furono scevre di evidenti manipolazioni. Si veda a tal proposito L. Fezzi, Il corrotto, un’inchiesta di Marco Tullio Cicerone, Laterza, Bari, 2016. una visione ben diversa da quella greco-epicurea. Per Epicuro infatti l’amicizia serviva al raggiungimento della felicità interiore: «Il saggio non soffre di piú se è messo alla tortura che se è messo un amico, e per lui è pronto a morire; perché se tradirà l’amico tutta la sua vita sarà sconvolta e sovvertita per la sua infedeltà. Non tanto ci occorre aiuto dagli amici, quanto confidare del loro aiuto. Non è da stimare né chi s’abbandona con facilità all’amicizia né chi esita a farlo. È necessario correre rischi, per amore dell’amicizia. Di tutti i tesori che la saggezza può ammassare per la felicità, l’amicizia è il più grande, il più inesauribile, il più dolce. Chi è persuaso che nella vita non c’è nulla di più solido dell’amicizia, conosce l’arte di affermare il suo spirito contro il timore dell’eternità o della durata del dolore…L’amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l’appello di aprire gli occhi sulla felicità». Si veda Gnomologium Vaticanum e Codice Vaticano Graeco 743, De Gruyter, Berlino, 1963. Lo Gnomologium era una raccolta di sentenze ma sulla loro autenticità permangono dei dubbi; Si veda anche Epicuri epistulae tres et ratae sententiae a Laertio Diogene servatae, Accedit Gnomologium Epicureum Vaticanum, B. G. Teubneri, Lipsia, 1922. Si veda anche M. T. Cicerone, M. Tulii Ciceronis De officiis libri 3 Cato maior, vel de senectude, ad T. Atticum. Lelius, vel de amicitia, ad eundem. Paradoxa stoicorum sex, ad m. Brutum. Somnium Scipioni exlib. 6 De republica. Notata in margine lectionum varietate, atque ad scriptis Pauli Mnutij annotationibus. Quibus accersunt Fulvii Vrsini in eodem libros scholia, Brixiae : apud Ludouicum Britannicum, 1600.

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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