La poesia, gabbia del passerotto

La poesia, gabbia del passerotto

La poesia, gabbia del passerotto

L'acchiappanuvole

L’acchiappanuvole, credit Fremmy©

 

Mary Blindflowers©

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La poesia, gabbia del passerotto

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Immaginiamo una gabbia con un passerotto dentro. L’animale non ha le chiavi per uscire, ma vorrebbe prendere il volo. Cerca soluzioni. Inizialmente sbatte le ali e la testa contro le sbarre. Ma l’evidenza satanica della loro forza gli impedisce di vincere. Le sbarre, fredde e dure non si spaccheranno sotto il peso del suo corpo per concedergli l’agognata libertà. Il passerotto è solo. Ogni tanto presenze si agitano attorno alla gabbia, ma si guardano bene dall’aiutarlo ad uscire. Il povero uccello grida. Non è negli altri che troverà l’essenza della libertà. Appena capisce questo si calma. Smette di frullare le ali, si liscia le piume, si mette un paio di occhiali da passero, si siede e comincia a leggere. Le sbarre della gabbia non si aprono, però l’uccello viaggia e conosce cose di cui mai avrebbe sospettato l’esistenza, pagina dopo pagina, lettera dopo lettera, egli apprende che se il corpo è prigioniero perché è fortemente limitato dalla materia, dalle circostanze e sfavorevoli congiunture, la mente ha un valore superiore. Può essere libera e mai rassegnata alla prigionia. Le poesie che seguono nascono in un clima di scelto isolamento, nascono per caso, per ingannare il logorante ticchettio di una sveglia dozzinale appesa alla parete. Invano vi sforzerete di trovarvi fiori, colori, immagini rievocanti felici idilli e fresche primavere, perché questa raccolta è la poesia del verme, della terra, della luna che cade, del marcio svelato, della nausea del dogma, del rifiuto del buon senso. I componimenti di questa raccolta si esauriscono in parte nella galoppante e pulsante visione di flash evocanti spesse negatività, oscure pulsioni, giochi psicologici di logorante e perinatale evidenza. Il passero chiude il libro, tira fuori la chiave da sotto un’ala, apre la porta e vola. La vera libertà è quella del pensiero.  Il corpo è spesso esso stesso una gabbia. Soltanto la mente lucida e sicura di chi crede nel poco che fa può trovare la chiave evitando le illusioni, le false credenze, l’oro di re Mida. Ognuno di noi è la sua casa. Se questa casa non ha porta, tocca a noi costruirla, se questa casa non è nemmeno una casa, tocca a noi provare a immaginarne una. In fondo l’arte è una finzione che aiuta a dire la verità, mentre la cosiddetta verità è spesso convenzionale opinione cristallizzata dall’uso che, col tempo, è diventata certezza, è stata assorbita dalla tradizione che poi a sua volta diventa intoccabile e incontestabile. La poesia non deve e non può avere certezze, ma conficcare lo strale del dubbio dentro il cuore della coscienza individuale e collettiva, perché soltanto il dubbio può salvarci e salvare il passerotto disperato e solo dentro una gabbia artificialmente e arbitrariamente costruita attorno a lui.

 

 

L’acchiappanuvole

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Tristo

nictàlope,

ascèta,

rapitor di brume,

di nembi rappresi

d’albume,

inconcludente

poèta,

soldato

di niente,

acchiappanuvole fosche

dai muscoli tesi,

col grugno

Visto

forse hai

lo iato,

tra le tre mosche

che hai

in pugno

e ciò che hai

sognato?

 

 

Voi anche avete sete?

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Allume spume crune, ideali rampanti
d’albume, cerati d’incapricciati tasti
profondono in guasti lasciti testamentari
i loro testi ormai elitari
destinati ad amici un po’… deficitari.
Decantare col prosciutto,
filare l’aratro sullo strutto,
agganciare olive col cucchiaio,
per ogni utile sbarmaglio ti si vede,
anche quando bevi acqua con la rete,
voi anche avete sete?

L’invito

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“Soldato,
vicino
al fuoco
del camino,
cedi,
al mio gioco,
non noti?
Le biglie
delle mie pupille,
vedono in te
austere meraviglie”.

“Dama,
per questo calore
e le scintille
mi si scioglie
il cuore”.

“Oh, se a me tieni,
soldato,
per favore,
vieni,
siedimi accanto,
averti qui
sarà un vanto”.

“Sì,
ma”.

“Ah,
titubi, soldato?
Mi dolgo”.

“Mi sciolgo
in due sensi”.

“Su, ancora ci pensi?
Un passo soltanto”.

“Lì accanto?”.

“Sì, da chi t’ ama”.

Mesta
la dama,
osserva ciò che resta
del soldato di cera
e cartapesta.

David 

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Piove
su Saul malinconia,
di pensieri un’orda,
una fanghiglia lorda.
Transitiva magia,
la cetra
smuove
la sorda
pietra,
la prende,
la porta via,
non c’è corda
che David non morda,
Saul si distende,
strazia il suono
la polpa d’ogni tuono.

 

Il peccato originale

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Belzebù
invidioso,
non di pane,
ma di frutta,
tu
mi hai reso voglioso,
meno male,
diciamola tutta,
posso voler di più?
Prima ero un nudo cretino,
ora, vestito, infelice,
che ci vado vicino,
si dice.

Le liutoscie

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Le liutoscie degli spartiti ameni
prendono treni dentro nasi di cobalto,
fanno un salto dentro l’orizzonte a macchie,
scrivono haiku tra le pacchie
di non-sense solo autorizzati
da poeti carrozzati in alberi perifrastico-meccanici,
ierofanie di tempi lesocranici,
siamo preda di starnuti di cipolle
e liutoscie che chiamano poesie,
subito a mare nelle ampolle,
ordineranno un manicomio interspaziale
un più che banale baronale appretto.

Ma in fondo cosa aspetto?

Quelli che…

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Quelli che marainicuoricini,
massocratici convinti, pinti, stinti, finti,
mingono le stelle e mungono le fiacche,
sono idioti, salacche di vento,
seguito inerte stentocroce,
gente senza nessuna voce,
guarnacca e patacca sfiacca
del nostro tempo atroce.
Quelli che merinicommentini,
massocratici distinti dentro variopinte bolle,
prozolle servili d’ovinocrazia,
mingono l’anestesia e mungono le casacche,
gente senza nessuna foce,
placca e vacca tacca no scompiglio
d’ogni gheriglio prestanoce

Si muore, prima o poi

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In una lampada non vissi
tra fini lini cere spume e bissi,
e se lisciavi certe corti
intraprendevo sola certe morti,
transumanare è breve, stato a stato,
intendi l’aculeato mitico solfeggio all’aggallato?
Si muore tutti prima o poi,
noi diavoli e anche voi,
scrittori, eroi.

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=pkcJEvMcnEg

 

 

 

 

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